Partito di Alternativa Comunista

Sul lavoro si muore di capitalismo

Sul lavoro si muore di capitalismo

 

 

 

di Diego Bossi

 

 

 

Il crollo del cantiere Esselunga di Firenze, dove hanno perso la vita 5 operai e la recentissima esplosione della centrale idroelettrica sull'appennino bolognese che ha già fatto 3 vittime accertate, 4 dispersi e 5 feriti gravi, hanno riportato l'attenzione sul problema della sicurezza sul lavoro.
Partiamo da un dato macabro che ci accompagna da anni: in Italia, ogni giorno, tre lavoratori perdono la vita sul luogo di lavoro, oppure nel viaggio di andata o ritorno da quest’ultimo. Se questa semplice divisione tra il numero dei morti per i giorni dell’anno dovessimo farla escludendo i giorni di riposo, ferie e festività, le morti medie per giorno lavorativo si avvicinerebbero a quattro. Se dovessimo aggiungere tutti gli infortuni mortali non denunciati nel vasto perimetro del lavoro sommerso e le morti indirette, come ad esempio i decorsi fatali delle malattie professionali non classificate come «infortuni», potremmo ragionevolmente presumere che il numero di morti al giorno tributati al capitale salga di un’ulteriore misura importante.
Se non dovessero bastare questi numeri, occorre ricordare che il lavoro non uccide solo «al lavoro», ma avvelena i territori, l’aria, le falde acquifere, il cibo; così le malattie oncologiche e respiratorie crescono a dismisura: Terra dei fuochi, Taranto, Alessandria, Brescia, Porto Marghera, la strage dell’amianto ecc. Più in generale possiamo aggiungere gli 80.000 decessi prematuri causati dall’inquinamento: un primato europeo che si aggiudica l’Italia (che già si accolla un terzo degli infortuni mortali dell’Unione europea).
In questo articolo ci contrapponiamo all’arroganza dei padroni e della loro maggiore associazione, Confindustria: questi non muovono un dito di fronte ai morti per sfruttamento; e non rinunceremo a mettere a fuoco i problemi concreti e quotidiani relativi alla sicurezza e alla salute sul lavoro, partendo dall’assunto che questi problemi sono tutti generati dal sistema socio economico capitalista che antepone a tutto e tutti il profitto di una minoranza a discapito dell’umanità; e che solo quando i lavoratori conquisteranno il potere potranno rimettere la ricchezza nelle mani di chi la produce e pianificare il lavoro sulla base del soddisfacimento collettivo, coniugando sicurezza, salute, occupazione e rispetto del clima e dell’ambiente.

 

Alcuni dati Inail del 2023

Mentre il primo trimestre del 2024 si è chiuso con decine di morti sul lavoro, mantenendo invariato il ritmo di omicidi del capitale, diamo uno sguardo sui dati provvisori del 2023.
Delle 583.356 denunce d’infortunio registrate dall’Inail, 1041 sono i lavoratori vittime di infortunio mortale: di questi, 799 occorsi sul luogo e in orario di lavoro e 242 in itinere, vale a dire durante il tragitto di andata e ritorno dal lavoro.
Se andiamo a dare una sbirciata ai numeri delle malattie professionali, quindi con un nesso di causalità con l’attività lavorativa, il quadro è sconfortante: 72.754 il totale delle denunce; spiccano, su tutte, le malattie del sistema osteomuscolare e del tessuto connettivo (47.488); ma ad aggravare un quadro a dir poco allarmante ci sono le malattie del sistema nervoso (8.011), le malattie dell’orecchio e dell’apofisi mastoide (4.449), i tumori (2.018) e le malattie del sistema respiratorio (1.989).
Quante di queste malattie si concluderanno con una morte prematura? Quante avranno conseguenze invalidanti? E per coloro che avranno la fortuna di guarire, la situazione rimane comunque complessa, poiché, come vedremo più avanti, la medicina del lavoro e la sanità pubblica sono ammanettate dalle leggi borghesi e stremate da anni di tagli miliardari.

 

Quattro temi generali che inficiano la lotta per la sicurezza sul lavoro

Ci sono quattro tematiche che spesso vengono affrontate in termini generali ma che hanno un forte legame con la salute e la sicurezza sul lavoro. Spesso questa relazione non è immediatamente evidente, ma riconoscerla ha un’importanza centrale in quanto ha ricadute sulla lotta di classe; e la lotta per la sicurezza sul lavoro, per noi marxisti, è lotta di classe!
I quattro punti nevralgici sono: 1) l’attacco al diritto di sciopero; 2) la precarizzazione del lavoro; 3) l’appalto e il subappalto di manodopera; 4) la rappresentanza sindacale.
Su ognuno di questi quattro punti potremmo scrivere un articolo dedicato (cosa che, tra l’altro, abbiamo fatto, come ben sanno i nostri lettori). Quello che qua importa è comprendere che nel contesto di interessi divergenti e inconciliabili tra lavoratori e padroni che anima la società capitalista divisa in classi, i lavoratori dovranno ottenere e mantenere con la lotta le loro conquiste: tutto ciò che uscirà dalla concertazione - vale a dire dalle trattative addomesticate e prive di conflitto reale tra il padronato e dirigenti, burocrati e sindacalisti ammaestrati, sempre più disconnessi dalla classe lavoratrice - sta a zero o zero virgola. Non sarà nelle pieghe della legislazione borghese che potranno difendersi i lavoratori; né sotto gli accordi interconfederali e i contratti collettivi: un concetto che ci teniamo a ribadire perché è proprio in testi e norme come questi che vengono sanciti i quattro punti di cui sopra: le leggi liberticide contro il diritto di sciopero, il Jobs act, l’abolizione dell’articolo 18, l’Accordo vergogna sulla rappresentanza e il sistema criminale degli appalti e dei subappalti spuntano le armi di lotta e rivendicazione dei lavoratori, minano le loro difese, colpiscono il loro diritto a organizzarsi liberamente, isolandoli prima per porli poi sotto il costante ricatto occupazionale.
Quanto potranno tutelare la sicurezza e la salute i lavoratori in questo contesto socio economico? Specialmente in questa fase di decadenza e putrefazione del capitalismo - dove anni di pace sociale diretta ad hoc dalle direzioni dei sindacati confederali hanno arato il terreno fertile su cui la borghesia si è ripresa, una ad una, le conquiste storiche ottenute dal movimento operaio dopo una stagione memorabile di lotte - si rende necessaria una ripresa generale della lotta di classe, senza la quale non sarà possibile compiere alcun passo significativo sul piano della sicurezza dei lavoratori.

 

Punti (e spunti) di attualità pratica

In questo capitolo ci concentriamo su alcune questioni che non risulteranno certamente nuove ai lavoratori e agli attivisti sindacali, poiché rappresentano alcune delle tematiche ricorrenti nelle loro attività lavorativa e sindacale. Andiamo con ordine.

 

1 - L’Inail e la formula bonus/malus

 

Questo è un esempio plastico di come «l’affaire sicurezza sul lavoro» sia trattato nel capitalismo: con un’assicurazione! La formula bonus/malus, che qualsiasi persona abilitata alla guida di un veicolo conosce bene, si applica tale e quale al mondo dell'antinfortunistica: più infortuni ci sono più è alto il premio dell’assicurazione da pagare. Un meccanismo infernale che genera la pratica dell’occultamento dell’infortunio, dove il lavoratore, specialmente se precario e in appalto o subappalto, quindi ricattabile, viene «invitato» a non aprire l’infortunio, a mettersi in malattia, a non recarsi all’ospedale o, nel caso non ne possa fare a meno, a dire che si è ferito o contuso a casa per i fatti suoi. Dal punto di vista padronale è tutto molto chiaro: un infortunio non denunciato è un infortunio che non esiste, una quota Inail che non aumenta, una bella figura di «impresa sicura» da spendersi; dal punto di vista dei lavoratori forse non è così chiaro, ma noi, a scanso di equivoci, lo spieghiamo bene: un infortunio non denunciato è un infortunio che non esiste, quindi, in caso di insorgenza tardiva o prolungamento dei sintomi (si pensi a un trauma cranico o a una microfrattura), non potrà essere riaperto, privando il lavoratore del relativo diritto all’assenza retribuita e giustificata non soggetta a controllo fiscale; ed esentando il padrone dal farsi carico del trauma subìto dal lavoratore.

 

2 - Il medico competente

 

La professione medica, per definizione, è una di quelle professioni che dev’essere scevra da qualsiasi condizionamento, affinché il medico possa operare con obiettività, lucidità e serenità di giudizio, nell’esclusivo interesse del paziente nel preminente contesto della salute pubblica. Premettiamo che nel capitalismo questa «serenità» non sarà mai possibile, poiché la ricchezza prodotta dai lavoratori verrà loro espropriata dai capitalisti, e i governi borghesi infliggeranno tagli draconiani alla sanità pubblica e universale, mentre convoglieranno finanziamenti miliardari a banchieri e industriali. Nella fattispecie del lavoro si palesa un conflitto d’interesse netto, poiché il medico competente, previsto dalla legge borghese, è una figura che in diritto viene definita «ibrida»: funzione pubblica, retribuita da un privato. Siccome il privato è il padrone c’è da domandarsi a quale interesse risponda il medico: non di rado sul tavolo degli attivisti sindacali giungono casi di lavoratori e lavoratrici che hanno già patologie certificate da medici del Ssn e dovrebbero fruire di esenzioni da determinate mansioni o dai turni: ma queste non vengono prescritte dal medico competente.

 

3 - Formazione, leggi e norme

 

Le lavoratrici e i lavoratori devono essere adeguatamente formati e istruiti circa i rischi correlati alla loro mansione. Non è un mistero che queste pratiche spesso sono mere formalità: moduli da firmare per tutelare i capitalisti davanti ai tribunali borghesi. Nel capitalismo la salute e l’incolumità dei lavoratori non è un valore in sé, anzi: spesso la sicurezza viene vista dai padroni come un ostacolo alla produzione e al profitto. Le ore di aula dedicate alla formazione prevista per legge si scontrano sovente con realtà quotidiane che le vanificano: i ritmi corsaioli della produzione e il sistema criminale degli appalti e dei subappalti al maggior ribasso generano condizioni lavorative letteralmente disumane. Da una parte le leggi sanciscono il diritto a riposi settimanali, dall’altra il caporale dell’impresa appaltatrice ti obbliga a lavorare 14 giorni consecutivi con la minaccia del licenziamento alla scadenza del contratto a termine. In assenza di lotte le leggi borghesi, financo le più progressive, altro non fanno che costituire l’ossatura per tutelare i padroni nei loro stessi tribunali e per colpevolizzare i lavoratori degli infortuni di cui sono vittime: «è colpa del lavoratore perché non era concentrato e non ha rispettato la procedura», si dice; poco importa se il lavoratore non era concentrato perché alla quinta notte consecutiva e che in reparto è stato «invitato» a ignorare le procedure per velocizzare la produzione.
Le leggi e i regolamenti non sono mai neutrali, né sono avulsi dallo scontro di classe: se non saranno i lavoratori con la lotta, l’organizzazione e la solidarietà di classe a difendere e concretizzare i diritti, anche quelli tutelati dalla legge (sempre ottenuti con la lotta), saranno i padroni usare quelle stesse leggi a loro difesa e contro i lavoratori.

 

4 - L’infortunio in itinere

 

Le 94.191 denunce registrate nel 2023 per infortunio in itinere corrispondono a circa il 16% degli infortuni totali. Andando però ad osservare gli infortuni dall’esito mortale, prendendo sempre come riferimento il 2023, la percentuale dei morti in itinere raddoppia, posizionandosi al 30%. In termini generali possiamo dire che questi numeri ci avvertono che l’infortunio in itinere, per via delle sue particolari caratteristiche che lo legano indissolubilmente all’incidente stradale, ha un tasso di mortalità più alto rispetto alla media generale (nel 2023 il tasso di mortalità degli infortuni è stato dello 0.18% contro uno 0.26% degli infortuni in itinere). In parole semplici si tratta di una tipologia di infortunio molto pericolosa: dei 20 morti a settimana in Italia, 5 muoiono nel tragitto di andata e ritorno dal lavoro. Un fenomeno da non sottovalutare, che impone una riflessione urgente su come il profitto metta in ginocchio il trasporto pubblico e, con esso, i lavoratori che eroicamente lo garantiscono (vedi durante la pandemia!). Il risultato è che il servizio è insufficiente, eccessivamente costoso, di scarsa qualità e poco sicuro. Molti lavoratori sono costretti ad andare al lavoro con la propria auto perché non esistono linee dirette o mancano corse compatibili coi loro orari di lavoro. E il padronato se ne lava le mani, pensa solo ad arricchirsi.

 

5 - I turni e il lavoro notturno

 

Quando si parla di lavoro notturno spesso si tende a non avere contezza degli effetti che questo ha sullo stato psicofisico delle lavoratrici e dei lavoratori. Rimuovendo questa premessa, per noi imprescindibile, si rischia di minimizzare il turno di notte, derubricandolo a una «seccatura» che spesso, nella percezione sociale, è compensata dal «hai più tempo di giorno per sbrigare le incombenze quotidiane…».
È buona cosa essere molto chiari: la notte uccide! Il lavoro notturno stravolge il ritmo circadiano scompensando il metabolismo, causando problemi cardiovascolari, ipertensione, infarti, ictus, diabete tipo 2, obesità, depressione, ansia, cancro. Durante il lavoro notturno la concentrazione è seriamente compromessa e la mancanza di lucidità spesso si traduce in infortuni gravi, financo mortali.

 

Organizzazione e rivendicazioni di classe

La piaga delle cosiddette «morti bianche», che noi preferiamo definire omicidi del capitale, così come più in generale la questione della sicurezza e della salute sul lavoro, non potranno trovare alcuna soluzione se non colleghiamo la lotta sindacale nei luoghi di lavoro alla lotta politica della nostra classe contro questo sistema criminale che risponde al nome di capitalismo.
I lavoratori devono unirsi nelle lotta superando le loro collocazioni sindacali, contendere la direzione dei loro sindacati ai burocrati che le egemonizzano, organizzarsi in comitati di lotta svincolati dal controllo delle burocrazie sindacali e lottare per la loro sicurezza e salute attraverso un programma di classe che comprenda: 1) una reale riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, in modo da aumentare l’occupazione e coniugare i tempi di vita col lavoro in sicurezza; 2) l’abolizione di tutti i contratti precari e a termine, nessuno dev’essere ricattato se rivendica la propria sicurezza e i propri diritti; 3) abolizione del lavoro notturno e severa regolamentazione con rigidi massimali del lavoro notturno per tutte le categorie che per urgenza e necessità sociale non possono fermarsi; 4) incremento e gratuità dei trasporti pubblici per tutti i lavoratori e le lavoratrici; 5) medici del lavoro pubblici e nominati dai lavoratori e sanità pubblica e universale di qualità per tutte e tutti; 6) abolizione dell’appalto e subappalto di manodopera per tutte le lavorazioni della filiera produttiva; 7) nazionalizzazione sotto il controllo dei lavoratori delle grandi industrie e delle banche.
A 30 anni dal varo della legge 626 del 1994, madre del decreto 81 del 2008, oggi testo unico per la sicurezza sul lavoro, il bilancio annuale di lavoratori uccisi dal capitalismo rimane stabile sulle 1000/1200 vittime. Un dato che dovrebbe far riflettere la classe lavoratrice e le sue avanguardie di lotta: non basteranno le leggi borghesi a fermare la strage, né le lacrime ipocrite e le dichiarazioni reboanti dei governanti di turno al servizio dei capitalisti.
Non ci saranno vie d’uscita all’interno di questo sistema che sfrutta e sacrifica la maggioranza dell’umanità: unità delle lotte, protagonismo delle lavoratrici e dei lavoratori, autorganizzazione e solidarietà di classe sono le nostre parole d’ordine nelle lotte quotidiane; costruire su queste lotte il partito d’avanguardia, rivoluzionario e internazionale che serve a liberare l’umanità dal profitto è l’unica strada per fermare, definitivamente, l’orrenda strage quotidiana, poiché nel capitalismo i lavoratori — per dirla con Ungaretti — staranno sempre «come d’autunno sugli alberi le foglie».

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