Mentre Rifondazione si avvia a passo di marcia verso un governo i cui ministri in pectore annunciano un futuro di "lacrime e sangue"; mentre il Prc di Torino conclude, alle spalle dei militanti No Tav, l'accordo per le comunali con Chiamparino e gli alfieri della Tav; mentre Bertinotti -già indossati i panni di presidente della Camera "di tutti gli italiani"- si affanna a prendere le distanze financo da chi si è limitato a fischiare la Moratti il 25 aprile; mentre succede tutto ciò la cosa più incredibile è la rapidità con cui avviene la capitolazione delle minoranze del Prc.
Questa minoranza (numericamente la più consistente) ha teso a presentarsi fin dalla fase antecedente il Congresso di Venezia come portatrice di un progetto alternativo a quello di Bertinotti. Ha polemizzato contro l'abbandono progressivo di ogni simbologia o riferimento alla storia del movimento operaio. Ha sostenuto una posizione di "contrattazione combattiva" con il resto dell'Unione (i famosi "paletti irrinunciabili"). Ha tuonato per mesi contro l'ingresso diretto del Prc al governo nel caso il programma dell'Unione non avesse compreso elementi "imprescindibili" sulle grandi questioni di politica economica e internazionale. Contro ogni guerra, senza ambiguità! Ovviamente nulla di tutto questo è successo (non lo diciamo solo noi: lo constatava lo stesso Grassi al Cpn di settembre). Anzi: Bertinotti già precisa che in Afghanistan la situazione è diversa e quindi la permanenza delle truppe italiane è in definitiva accettabile e necessaria.
Cosa è dunque cambiato al punto da far dichiarare a Grassi nel Cpn di sabato scorso: "Vogliamo cogliere pienamente e investire sull'apertura di una fase nuova del partito. (...) Occorre lasciarsi alle spalle -senza sottacere o sminuire le differenze politiche- i contrasti del congresso di Venezia e la loro accentuazione nei mesi seguenti."?
Certo, nella dichiarazione si ribadisce che "non sarà affatto facile né scontato far realizzare all'Unione una politica riformatrice" e si ripete stancamente qualche critica al progetto di costituente del partito della Sinistra Europea. Ma si tratta solo delle premesse per un... voto a favore del documento bertinottiano.
La realtà è che l'unica "fase nuova" che si apre per il Prc è quella che riguarda la spartizione dei posti (nel partito, nel governo, nel sottogoverno) per le burocrazie dirigenti. E difatti Grassi sottolinea la volontà di partecipare a pieno titolo (e con i propri numeri) a questa "delicata fase", in cui Bertinotti apre alle minoranze proprio perché vuole andare al governo avendo alle spalle un partito pacificato, in grado di presentarsi come pienamente affidabile alla borghesia che apre le porte del Palazzo ai ministri "comunisti".
Le posizioni espresse da Grassi e Burgio non hanno certamente mai rappresentato una reale alternativa al riformismo governista di Bertinotti. Difatti proprio quest'area -che ha raggruppato tanti giovani e militanti in buona fede, esibendo una simbologia "partitista" e "internazionalista"- è stata spesso all'avanguardia del più profondo governismo nelle giunte locali. Tuttavia bisogna riconoscere che la rapidità di questa piroetta lascia sbalorditi. E' bastato che si spandesse un po' il profumo del governo (e del cuoio delle poltrone) perché qualcuno vedesse addirittura "una fase nuova".
Qualche centimetro più a sinistra si è collocata, come sempre, l'area Erre (Cannavò, Malabarba).
L'ex vicedirettore di Liberazione (ora onorevole), dopo aver spiegato (anche con una certa efficacia) in tanti articoli la natura di classe del blocco sociale e politico che sostiene Prodi; dopo aver per anni cercato invano di convincere Bertinotti che era meglio tornare al bertinottismo di movimento; dopo aver spiegato -anche con le copertine della rivista Erre- che "l'alternanza non è un'alternativa", infine si limita ad ammonire la borghesia e il suo governo: o vi schierate contro voi stessi, oppure guai a voi!
Ben più dignitosa sicuramente la posizione di Falcemartello. Pur restando reperibili e forse imbarazzanti gli articoli della loro rivista di non tanto tempo fa in cui si analizzava la presunta natura "socialdemocratica" dei Ds (si parlava anche, in questi articoli, ce li ricordiamo bene, di una Confindustria schierata strategicamente con Berlusconi e impossibilitata a sostenere il centrosinistra attraversato da una "contraddizione di classe" rappresentata dai Ds); pur avendo sempre rifiutato la posizione classica del marxismo rivoluzionario dell'opposizione di principio ai governi borghesi; pur invocando un "fronte unico" con D'Alema e Fassino... Insomma, pur avendo delle posizioni strategiche assai moderate, quest'area è l'ultima rimasta nel partito a sostenere in qualche modo una opposizione alla deriva governista. Di questo va dato atto al gruppo di Bellotti e Giardiello. Purtroppo gli spazi per una simile battaglia sono con tutta evidenza inesistenti in un partito che sta per diventare il parafango di sinistra del governo e il cui ruolo sarà soltanto quello di tenere bloccate dietro la schiena le braccia dei lavoratori mentre Prodi sferrerà pugni e colpi bassi.
Senza la nascita di una nuova organizzazione che oggi -andando controcorrente- pianti una bandiera di autonomia di classe, per organizzare lotte politiche e sindacali di opposizione al governo, tante energie militani sarebbero destinate alla passivizzazione, stritolate negli ingranaggi burocratici di un Prc i cui circoli e le cui federazioni sono e saranno sempre più ridotti a comitati elettorali, a passivo strumento di sostegno alle giunte e al governo. La stampa liberale di oggi addirittura si lamenta perché Rifondazione non ha "bloccato" chi fischiava la Moratti... figuriamoci se un partito in queste condizioni potrà ancora partecipare realmente a qualche lotta (basti dire che si vocifera di un posto di sottosegretario agli Interni al Prc, che così potrà dare una mano alla "gestione della piazza"!).
La battaglia dei comunisti oggi va condotta fuori dal Prc: questo è chiaro anche a diversi militanti e simpatizzanti di Falcemartello -di qui la necessità, per Bellotti, di dedicare metà dell'editoriale dell'ultimo numero a tentare di spiegare alla sua area il nostro presunto "errore scissionista".
Grottesca, infine, la posizione della pattuglia ferrandiana che pare -come diceva quel tale- (in)decisa a tutto. Ogni giorno c'è un comunicato stampa (l'unico strumento rimasto a Ferrando, con il giornale del gruppo praticamente scomparso, e con un sito che viene aggiornato due volte al mese) che contraddice quello del giorno prima. Un giorno si annuncia la scissione; il giorno dopo si precisa che si apre una fase di "consultazione" (ma su cosa?). Nei giorni dispari Ferrando invita un preoccupato Bertinotti (che gli ha dedicato, pare, venti secondi nella replica all'ultimo Cpn) a ripensarci o sarà scissione. Nei giorni pari si cura di precisare che il Progetto Comunista che ha fatto la scissione (cioè noi) non c'entra nulla con lui (accusandoci poi di varie nefandezze: esclusa per ora solo la bollitura dei bambini) perché lui è "saldamente nel partito". Così, nonostante Ferrando rassicuri sulla volontà di aprire le porte a tutti, "senza delimitazioni" programmatiche, senza strutturazione organizzativa (la sua Associazione ha eliminato persino la distinzione tra militanti e simpatizzanti), il risultato è che il suo gruppo si è praticamente sciolto. Alla manifestazione di Milano del 25 aprile un Ferrando sconsolato, accompagnato da due militanti senza un giornale né un volantino, cercava invano un giornalista per rilasciare qualche dichiarazione. Dentro o fuori dal Prc, sarà solo un gruppo senza un progetto, raccolto attorno a un leader ammirato (specialmente da sé stesso).
Le migliaia di militanti di Rifondazione, delle minoranze interne, che hanno sostenuto -con posizioni anche differenti- una battaglia contro la deriva governista del Prc e che -a differenza di tanti dirigenti- lo hanno fatto credendoci, si meritano qualcosa di meglio dello spettacolo indecoroso offerto dai Grassi, dai Cannavò, dai Ferrando. Con la modestia delle nostre forze ma anche con la chiarezza di una prospettiva di classe e rivoluzionaria, sabato scorso in una sala colma di centinaia di militanti abbiamo avviato il processo costituente di un nuovo partito comunista. Essendo privi di "luminose guide", non promettiamo né "magnifiche sorti" né poltrone imbottite a nessuno. Promettiamo viceversa il sacrificio dell'impegno militante. Ma il progetto comunista vale la pena.