Potete leggere qui sotto un articolo di Patrizia Cammarata, dirigente del PdAC di Vicenza e portavoce del Comitato degli abitanti e dei lavoratori di Vicenza Est, sul che fare dopo la gigantesca manifestazione del 17.
Patrizia Cammarata ha tenuto il 17, a nome dei comitati, uno dei tre interventi dal palco che hanno concluso la manifestazione. Il suo intervento (anche se non integralmente) si può ascoltare sul sito dei comitati: www.altravicenza.it
Nella sezione foto del sito sono disponibili diverse foto della manifestazione e del partecipato spezzone del PdAC.
Dopo Vicenza
VIA TUTTI I GOVERNI DI GUERRA!
Patrizia Cammarata tiene l'intervento conclusivo della manifestazione dal palco
di Patrizia Cammarata
La manifestazione del 17 febbraio 2007 a Vicenza, contro la costruzione di una nuova base di guerra Usa, ha visto la presenza di duecentomila manifestanti e segna un momento storico per la città di Vicenza e per il Paese. I contenuti di cui è stata portatrice, inoltre, hanno travalicato il semplice no al progetto Dal Molin. Moltissimi striscioni presenti erano un vero e proprio atto d’accusa, non solo al sì di Prodi per la nuova base, ma alla politica di guerra del governo. Il 17 febbraio ha segnato la chiusura di una fase e il riaprirsi di un’altra. Le migliaia di manifestanti hanno dimostrato che il movimento cittadino contro il progetto Dal Molin ha saputo parlare, non solo alla città, ma a movimenti e gruppi organizzati di tutta Italia. La presenza di delegazioni straniere ha, inoltre, dimostrato che questo movimento può ulteriormente espandersi e che le argomentazioni di un no alla base per questioni puramente logistiche o d’impatto ambientale sono ormai cosa morta e sepolta. I temi della guerra e delle spese militari sono entrati con forza nel NO al Dal Molin e da qui si deve partire.
I compiti che ci attendono sono impegnativi. Come militanti e simpatizzanti del Partito di Alternativa Comunista continueremo a impegnarci nel movimento affinché questa durissima battaglia possa vincere. E’ necessario continuare a lavorare per rendere più forte il rapporto di collaborazione con l’Assemblea Permanente e con i comitati esistenti, dove ciò è possibile, e aiutare la nascita di altri comitati nel territorio.
E’ assolutamente necessario premere affinché i lavoratori entrino in modo attivo all’interno del movimento. La Cgil, che insieme alla Cub si è da subito pronunciata per il No, è stata ben visibile e organizzata il 17 febbraio portando circa 15 mila persone, ma finora non ha organizzato assemblee informative all’interno delle fabbriche e non sta preparando lo sciopero. “Sia chiaro che noi siamo contro la base ma non contro il governo” è stata la parola d’ordine implicita ma anche a volte esplicitata apertamente. E la “grande” Cgil, che ha portato in piazza migliaia di persone, esprime a gran voce, per bocca del suo segretario Oscar Mancini, la propria richiesta contro la costruzione della più grande base di guerra d’Europa: un referendum! I nostri compagni del PdAC all’interno della Cgil stanno dando invece battaglia affinché i lavoratori della Cgil possano diventare protagonisti di un allargamento reale e radicale della battaglia contro il Dal Molin.
Il comitato Vicenza Est ha recepito come molto importante la proposta dello sciopero e si sta organizzando per la diffusione di un appello che i lavoratori dovranno sottoscrivere e consegnare alla propria organizzazione sindacale; nell’appello si chiedono assemblee nei luoghi di lavoro e preparazione dello sciopero contro la nuova base.
E’ necessario parlare di riconversione delle basi e, nel caso specifico di Vicenza, della caserma Ederle (“caserma della guerra in Irak, la guerra che continua, quella delle 600.000 vittime civili”). La settimana precedente la manifestazione e la settimana successiva si è organizzato un momento di protesta davanti alla caserma Ederle con blocco del traffico. E’ necessario che quest’appuntamento diventi una consuetudine settimanale toccando anche gli altri siti militari presenti in provincia; il movimento così si allarga e i soldati americani cominciano ad avvertire l’inospitalità del territorio. Dobbiamo potenziare l’informazione in ogni quartiere con volantini, incontri, assemblee. Si devono affiggere in giro per la città manifesti in italiano ed inglese che parlano della guerra. Il boicottaggio è importante perché, anche se all’inizio in modo limitato, tocca i profitti e soprattutto punta il dito contro i soggetti economici che sono la nostra controparte nella battaglia. Sarebbe utile diffondere in modo capillare un’economica ma chiara pubblicazione "No alle basi", preparata in collaborazione con i movimenti presenti in Italia.
Lo spezzone del PdAC alla manifestazione
Il PdAC è presente nel movimento attraverso l’impegno quotidiano dei suoi militanti che cercano di rivestire un ruolo d’avanguardia e di stimolo verso una radicalizzazione della lotta, ma anche di collaborazione per la costruzione di nuovi spazi d’analisi e di proposta (es. il Comitato Vicenza Est).
Massima disponibilità al corretto rapporto personale con tutti ma massima chiarezza nelle proposte e nell’analisi. Continua richiesta di costruzione di un fronte unico con gli altri soggetti: un fronte unico contro la guerra, contro il progetto Dal Molin, per la riconversione dell’Ederle e di tutte le basi.
Cerchiamo di rafforzare il Comitato Vicenza Est che, secondo noi, riveste un ruolo avanzato all’interno del movimento proprio per la sua specificità di porre con determinazione, oltre al no al Dal Molin, la questione della riconversione delle basi e il No alla guerra. Nel frattempo cerchiamo di essere parte attiva dell’assemblea permanente, indispensabile soggetto di socialità e scambio, luogo simbolico e reale della lotta contro il Dal Molin. Aiuteremo la creazione di nuovi comitati cercando di continuare a collaborare con quelli già esistenti
Un'altra immagine del nostro spezzone
Al centro della prospettiva che continuiamo ad avanzare vi è la costruzione di un grande sciopero generale contro la base e contro il governo Prodi: quest'ultimo si prepara, dopo lo scivolone parlamentare, a un ulteriore rilancio delle politiche neocoloniali e di guerra, non a caso poste al centro dei "dodici punti" che dovrebbero costituire il fondamento del rinnovato esecutivo.
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