Partito di Alternativa Comunista

1820 – 2020 A duecento anni dalla nascita Engels, il "generale" della rivoluzione

1820 – 2020 A duecento anni dalla nascita

 

Engels, il "generale" della rivoluzione

 

 

 

di Francesco Ricci (*)

 

 

Quella che stiamo per raccontare è la storia vera e poco conosciuta di un testo che è stato fondamentale nella storia del movimento operaio. Si tratta della Introduzione di Engels al libro Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 di Marx. E' una storia che sembrerebbe inventata dalla fantasia di Edgar Allan Poe: lettere scomparse, un testamento falsificato, inganni ed equivoci, infine la soluzione del caso, affidata in questo caso non a monsieur Dupin ma a David Riazanov e ad altri storici che hanno finalmente svelato il mistero.
Il testo di Engels di cui stiamo parlando è del 1895: sono passati dunque oltre 120 anni dalla sua pubblicazione, eppure la stragrande maggioranza dei libri e degli articoli sulla storia del marxismo continua a offrirne una versione alterata. Migliaia di libri, migliaia di articoli continuano a raccontare una storia inventata di questo testo. E' ormai una leggenda.
Eppure è importante conoscere la vera storia di questa Introduzione perché la leggenda è servita e serve da oltre un secolo a tutti gli opportunisti per giustificare il loro opportunismo, per coprire con l'autorità di Engels la loro rinuncia (esplicita o implicita) alla prospettiva rivoluzionaria di conquista del potere da parte della classe operaia, l'abbandono del programma fondamentale del marxismo: il dominio (o dittatura) del proletariato come fase transitoria in direzione di una società senza classi e quindi liberata dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.

 

Bernstein, il primo falsario

E' curioso il fatto che il primo a falsificare la storia dell'Introduzione sia stato Eduard Bernstein, cioè colui che da Engels era stato scelto come proprio esecutore testamentario.
Bernstein, impiegato di banca con confuse idee più liberali che socialiste, aveva aderito nel 1871 agli "eisenachiani", cioè il partito socialdemocratico diretto da August Bebel e Wilhelm Liebknecht (padre del Karl che fu ucciso nel 1919 insieme con Rosa Luxemburg da un governo "delle sinistre" che cercavano di rovesciare). Gli "eisenachiani" erano l'ala socialista più vicina alle posizioni di Marx ed Engels, che nel 1875, col Congresso di Gotha, si fuse con l'ala influenzata da Lassalle.
Come la gran parte dei dirigenti "eisenachiani", Bernstein aveva una conoscenza superficiale del marxismo e anche per questo il partito fondato a Gotha era nato sulla base di un programma a cui Marx aveva dedicato un'aspra critica per le troppe concessioni al lassallismo (1). La formazione marxista del gruppo dirigente tedesco fu tardiva e basata essenzialmente sulla lettura del solo Anti-Duhring di Engels (1878).
Nel 1881 Bernstein assunse la direzione di Der Sozialdemokrat a Zurigo e con i suoi articoli su questo giornale conquistò la fiducia di Engels, divenendone in breve, insieme con Karl Kautsky (di cui fu amico e maestro), il principale collaboratore. Engels si fidava talmente di Bernstein che lo nominò suo esecutore testamentario. La coppia Kautsky-Bernstein, avvalendosi anche della stima di cui godevano presso Engels, divenne così, alla morte del compagno di Marx, il punto di riferimento teorico per tutta la socialdemocrazia organizzata nella Seconda Internazionale.
Ma nel 1896, cioè un anno dopo la morte di Engels, Bernstein inizia a pubblicare su Die Neue Zeit (principale rivista teorica del partito tedesco) una serie di articoli in cui, in modo via via più deciso, pone in discussione i fondamenti del marxismo di Marx ed Engels. Questi articoli, letti con crescente disappunto da Kautsky (direttore della rivista) vengono infine sistematizzati e pubblicati in un libro intitolato I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia (1899) che fa scalpore nell'Internazionale (2).
La tesi di fondo del libro è chiara: bisogna revisionare il marxismo, rigettandone la parte "invecchiata" e quelli che Bernstein definisce "gli schemi della dialettica", e sostituire alla prospettiva del rovesciamento rivoluzionario della società (teorizzata in tutta l'opera e la vita di Marx ed Engels) la democratizzazione graduale della società, per via parlamentare.
Nel giro di pochi anni, quello che era stato il principale collaboratore di Engels si trasformò nel principale teorico di un "socialismo liberale". Le sue teorie inizialmente non incontrarono un seguito esplicito nel partito, anche grazie alla totale sconfessione che ne fece Kautsky (3).
Kautsky si convinse a un certo punto che Bernstein fosse "irrecuperabile per il marxismo" (così scrisse in varie lettere ad altri dirigenti), ma temeva che una immediata e netta rottura avrebbe potuto consolidare attorno alle posizioni di Bernstein l'area revisionista che stava crescendo all'ombra del gruppo parlamentare sempre più numeroso e di una pratica sindacale sempre più moderata.
Il Congresso di Dresda della Spd, nel 1903, condannò a larga maggioranza le posizioni revisioniste e in quell'occasione August Bebel pronunciò una dura requisitoria contro Bernstein. Ma le posizioni revisioniste, sconfitte sul piano teorico, si facevano strada in ampi settori della Spd: nella Germania meridionale, ad esempio, il partito votava con regolarità a favore dei bilanci dei governi borghesi; nei sindacati diretti dalla Spd le posizioni riformiste dominavano l'attività quotidiana. E fu lo stesso Bebel, nel 1907, ad aprire la porta al concetto di "difesa nazionale" che porterà sette anni dopo, nel 1914, al crollo della Seconda Internazionale, con il voto dei "crediti di guerra" e dunque il sostegno della maggioranza dei partiti socialdemocratici ai "propri" governi impegnati nel macello della prima guerra mondiale. Ma torneremo più avanti sulla parabola della socialdemocrazia tedesca: per adesso soffermiamoci sulla famosa Introduzione e sull'uso che ne fece Bernstein.
La tesi espressa dal citato libro di Bernstein è questa: negli anni Quaranta e Cinquanta Marx ed Engels sarebbero stati ancora fortemente influenzati da posizioni "blanquiste" (vedremo poi il significato di questo termine), cioè vedevano la rivoluzione come un colpo di mano di una minoranza; con l'esperienza si erano poi allontanati da questa concezione, imboccando la via parlamentare al socialismo che, a suo dire, Engels avrebbe teorizzato (anche se in forma incompiuta) nella Introduzione di cui stiamo parlando. La socialdemocrazia secondo Bernstein avrebbe dovuto proseguire sulla strada indicata dal maestro poco prima di morire.

 

L'equivoco di Rosa Luxemburg

Di fronte a un Bernstein che brandiva l'Introduzione come una sciabola con cui fare a pezzi il marxismo, i marxisti difesero la teoria e la prassi di Marx ed Engels: pur trovandosi in imbarazzo di fronte a quel testo che obiettivamente risultava in contraddizione con la loro strategia.
Nel suo anti-Bernstein del 1899, il celebre Riforma sociale o rivoluzione?, Rosa Luxemburg parla di una "revisione della tattica" da parte di Engels e precisa che mai nel testo si fa riferimento a un cambio di strategia e sorvola con un malcelato imbarazzo su alcune contraddizioni che in ogni caso il testo di Engels (o meglio: il testo che all'epoca era conosciuto) contiene (4). La grande rivoluzionaria, insomma, non esita a difendere l'Engels rivoluzionario, ma non sa bene come collocare l'Introduzione.
Parecchi anni dopo, nel pieno della rivoluzione tedesca, al congresso di fondazione del partito comunista tedesco (Kpd), il 31 dicembre del 1918, la Luxemburg pronuncia il "Discorso sul programma" in cui una parte importante è dedicata all'Introduzione di Engels (5). Qui la Luxemburg prende le distanze dall'Introduzione in modo netto: "Io non voglio dire con questo che Engels con queste affermazioni si sia reso corresponsabile personalmente di tutto l'ulteriore andamento delle cose in Germania; io dico solo: ecco un documento classico della concezione che era viva nella socialdemocrazia tedesca, o anzi: che la uccideva."
Tuttavia anche in questo caso la Luxemburg non intende regalare Engels ai revisionisti e per questo aggiunge che bisogna tenere conto che "Engels ha scritto questa prefazione sotto la diretta pressione della frazione al Reichstag di allora." E si dice convinta che se non fosse morto dopo poco, Engels avrebbe protestato contro l'uso che venne fatto di quel testo. Affermando questo, Rosa non sa di essere molto vicina alla realtà, una realtà che è ancora ignorata in quegli anni tanto da lei come dagli altri grandi rivoluzionari.
E' importante ricordare che il dibattito sull'Introduzione che si sviluppò in tutta la prima parte del Novecento non era di tipo puramente filologico, per esegeti del marxismo. Al contrario, era un dibattito di massa che si intrecciava strettamente con l'involuzione della socialdemocrazia. Già nel 1910 anche Kautsky, considerato il "papa rosso" dell'Internazionale, dopo aver inizialmente contrastato Bernstein, si spostava progressivamente sempre più a destra. A partire da quell'anno (e cioè l'anno successivo alla pubblicazione di La via al potere, un libro ancora sostanzialmente marxista e rivendicato da Lenin, anche se non privo di ambiguità) lo scontro nella Seconda Internazionale non fu più solo tra rivoluzionari e riformisti, ma si allargò a comprendere anche la battaglia contro le posizioni di quel "centro" dove appunto si collocava Kautsky. E, prima di Lenin, fu proprio Rosa Luxemburg (che aveva il "vantaggio" di conoscere direttamente l'involuzione della Spd, in cui militava) a scontrarsi col "centrismo" di Kautsky.
Kautsky iniziava in quel periodo a teorizzare l'esistenza di differenze tra "Oriente e Occidente", cioè cambiando la posizione che aveva tenuto sino a pochi anni prima, indicava la rivoluzione russa del 1905 come un'esperienza unica e differente ("Oriente") in contrapposizione alla tattica e alla strategia necessarie in Germania e nel resto dell'"Occidente". Fu il primo a teorizzare una "strategia del logoramento" distinta (anche se all'epoca non contrapposta) alla "strategia dell'annientamento". Non abbiamo qui l'occasione di approfondire questo dibattito ma ci basti dire che questo ragionamento kautskiano sarà ripreso anni dopo (anche se in forma parzialmente differente) da Gramsci nei Quaderni del carcere e sarà utilizzato (anche di là dalle intenzioni di Gramsci) dal riformismo togliattiano e infine sarà riesumato dall'eurocomunismo negli anni Settanta.
Fu così che Kautsky e Bernstein, duellanti nel dibattito di inizio secolo, si ritroveranno insieme nel 1917 nel partito centrista Uspd (nato da una scissione della Spd) e siederanno insieme - come sottosegretari - nel governo "di sinistra" che assassinò Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht e soffocò nel sangue la prima rivoluzione tedesca.

 

Anche Lenin cade nell'equivoco

Sono rari i riferimenti di Lenin all'Introduzione di Engels nei testi scritti prima del 1917. E' menzionata in un articolo del 1901, "Un nuovo eccidio", in cui si addebita a Engels (pur precisando che si trattava di una considerazione relativa alla sola Germania di quel periodo) il concetto secondo cui "la lotta contro l'esercito moderno è impossibile e priva di sbocco vittorioso" (6). Concetto che in effetti appariva tra le righe del testo dell'Introduzione così come era conosciuta all'epoca. Un'altra menzione dell'Introduzione è in una lettera del 1916 che Lenin scrive alla dirigente bolscevica Inessa Armand: qui Lenin sottolinea come il testo di Engels "fu distorto a Berlino contro la sua volontà" (7).
Ma nel suo libro più importante di quegli anni, Stato e rivoluzione (pubblicato solo dopo la presa del potere ma fonte di ispirazione per la svolta bolscevica segnata dalle Tesi di Aprile che mutò il corso storico del 1917), Lenin non fa nessun riferimento all'Introduzione: nonostante, come si ricorderà, Stato e rivoluzione consista in una puntigliosa ricostruzione cronologica delle posizioni di Marx ed Engels sul tema dello Stato.
Il mancato riferimento a quel testo engelsiano è ancora più significativo se si considera che nel "quaderno azzurro" (Il marxismo sullo Stato), compilato a Zurigo tra gennaio e febbraio del 1917, un riassunto di 48 pagine con tutte le principali citazioni di Marx ed Engels sul tema, schema generale di Stato e rivoluzione, Lenin cita l'Introduzione e fa anche riferimento a una importante lettera del 3 aprile 1895. In questa lettera Engels si lamentava con Lafargue di "un brutto scherzo" che Liebknecht (padre) gli aveva fatto pubblicando sul Vorwarts il testo mutilato. Lenin cita anche un'altra lettera (del 1 aprile 1895), in questo caso a Kautsky, in cui Engels chiedeva che su Die Neue Zeit venisse pubblicato il suo testo integrale.
Dunque Lenin nel 1917 sa che il testo dell'Introduzione era stato manipolato in qualche modo dai dirigenti socialdemocratici ma ancora non conosce nel dettaglio la vicenda e soprattutto non può conoscere il testo originale (che sarà pubblicato solo dopo la sua morte) e dunque preferisce non menzionarlo. Anche per Lenin, insomma, l'Introduzione risulta un testo ingombrante, difficilmente utilizzabile. In ogni caso Lenin esclude che vi sia stato un "ripensamento" del vecchio Engels e per questo apre Stato e rivoluzione sottolineando che "la necessità di educare sistematicamente le masse in questa (...) idea della rivoluzione violenta, è alla base di tutta la dottrina di Marx e di Engels." Poi dedica una larga parte del libro (in particolare il capitolo IV: "La degradazione del marxismo negli opportunisti") a dimostrare (in parte anche a sé stesso, dato che percepì il "centrismo" di Kautsky solo quando divampò) che anche il Kautsky di prima della guerra, che si ergeva a difensore della "ortodossia" contro Bernstein, già era infettato dai germi dell'opportunismo. Analizzando l'involuzione che ora gli appare evidente nella successione dei libri di Kautsky, Lenin comprende che il problema non stava in quanto Kautsky aveva scritto ma in ciò che "nascondeva", che "faceva sparire" (le espressioni tra virgolette sono di Lenin): e cioè quella necessità di "spezzare" la macchina statale borghese e di sostituirla con la dittatura del proletariato, necessità che Marx aveva già espresso negli articoli di Le lotte di classe in Francia, anticipando di vent'anni nella teoria quello che poi gli operai parigini tradurranno nella pratica con la Comune del 1871.

 

L'interesse di Trotsky per la vicenda

Essendo tutta la vicenda dell'Introduzione intricata e all'epoca ancora in parte sconosciuta, anche Trotsky, così come Rosa Luxemburg e Lenin, convinto che quel testo "stonasse" con il resto delle opere di Engels e con tutta la sua prassi di dirigente rivoluzionario, avanzò alcune prudenti critiche.
Nel suo libro sulla rivoluzione del 1905 Trotsky fa un rapido accenno critico alla Introduzione (8). Poi il tema tornò a interessarlo anni dopo, quando Riazanov pubblicò il testo originale di Engels. In una lettera del 1931 al figlio Lev Sedov, uno dei suoi principali collaboratori, Trotsky scrive: "Avrei bisogno delle pubblicazioni di Riazanov. (...) Ciò di cui ho bisogno soprattutto è il testo dell'Istituto [Marx Engels, che Riazanov dirigeva, ndt] in cui Riazanov ha ristabilito il testo esatto della prefazione di Engels alle Lotte di classe in Francia." (9). Dato che Sedov non riusciva a procurarsi la rivista dell'Istituto, Trotsky scrive qualche settimana dopo di nuovo al figlio suggerendogli di cercare almeno l'edizione in tedesco: "Si dovrebbe poter trovare questo libro in Germania. Sarebbe auspicabile avere questo libro (...)."(10).
Nel 1935, conoscendo la vicenda (anche se, come vedremo, solo in parte) Trotsky torna sul tema in un articolo in cui smentisce ogni lettura di un Engels gradualista. E afferma categoricamente: "La famosa introduzione di Engels (...) suscitò innumerevoli polemiche; al tempo i tedeschi la modificarono e la tagliarono per un problema di censura. Negli ultimi quaranta anni, filistei di ogni colore hanno affermato in centinaia e migliaia di occasioni che 'lo stesso Engels' apparentemente aveva rinnegato una volta per tutte gli antichi metodi 'romantici' della lotta di piazza. Tuttavia, se c'è qualcosa che Engels ripudiò fu essenzialmente l'idea del putsch, che in ultima istanza si riduce a scaramucce di piccole minoranze; in secondo luogo, ripudiò i metodi antiquati, cioè forme e metodi della lotta di piazza che non corrispondono ai progressi della tecnica. (... ) [per Engels, ndr] è necessario che la terza parte o, meglio ancora, i due quinti dell'esercito (...) acquisiscano simpatia per il socialismo; in questo caso, l'insurrezione non sarà un 'putsch'; le barricate torneranno a essere utilizzate, chiaramente non le barricate del 1848, ma le barricate 'nuove', che, senza dubbio serviranno per i medesimi propositi: fermare l'offensiva dell'esercito contro gli operai, offrire ai soldati l'opportunità e il tempo necessario per constatare il potere dell'insurrezione e creare così le migliori condizioni perché l'esercito passi dalla parte degli insorti." (11).
Ancora ignorando molti aspetti della tormentata genesi dell'Introduzione engelsiana, che tra poco racconteremo, il capo dell'Armata Rossa aveva ben compreso che Engels, non a caso soprannominato "il Generale", intendeva solo fare delle considerazioni tecniche su come meglio preparare l'insurrezione quale primo atto della rivoluzione.

 

Genesi e censura dell'Introduzione

Contrariamente a quanto spesso si legge, Marx non ha scritto un libro intitolato Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850. Tanto la scelta del titolo come dei testi contenuti in quella antologia fu fatta da Engels nel 1895, selezionando tra gli articoli che Marx aveva pubblicato sulla Neue Rheinische Zeitung (12).
L'Introduzione fu scritta da Engels tra la metà di febbraio e i primi giorni di marzo del 1895. Ed è qui che inizia la storia della sua falsificazione. Per comprendere questa storia è necessario sapere che Engels, scrivendo il testo, già si era imposto alcuni limiti, per non creare problemi al partito tedesco che viveva in una situazione particolare.
Nel 1878 erano state emanate in Germania da Bismarck delle leggi speciali (con il pretesto di una presunta responsabilità della Spd in attentati anarchici contro il kaiser Guglielmo I). Le leggi speciali avevano portato in carcere decine di dirigenti del partito, i circoli erano stati chiusi, le pubblicazioni proibite (tanto che il celebre libro di Bebel La donna e il socialismo, del 1879, per essere diffuso fu fatto circolare con la copertina di un altro libro). La Spd poteva continuare a presentarsi alle elezioni ma non poteva fare propaganda diretta né assemblee di partito e i parlamentari eletti non erano formalmente rappresentanti del partito. La Spd aveva così dovuto utilizzare vari stratagemmi, coprendo l'attività politica con associazioni culturali e sportive.
Le leggi speciali furono prorogate più volte e furono sospese solo nel 1890, alla caduta di Bismarck. Ma nel dicembre del 1894 il governo aveva presentato un nuovo progetto di legge "contro le attività sovversive" e questo progetto era in discussione in parlamento proprio nelle settimane in cui Engels curava l'antologia di Marx e ne preparava l'Introduzione.
Il 6 marzo Engels ricevette una lettera di Richard Fischer, dirigente della Spd e responsabile delle pubblicazioni del partito. Fischer chiedeva a Engels di attenuare il tono del suo testo e di fare alcuni tagli.
Nella risposta dell'8 marzo, Engels contesta con preoccupazione gli argomenti usati da Fischer e vede in essi un nuovo cedimento opportunista della direzione del partito; un cedimento simile a quelli contro cui stava combattendo già dal 1891, quando si era deciso a pubblicare l'inedita Critica al Programma di Gotha di Marx, per utilizzarla nella battaglia per preparare l'imminente importante Congresso che la Spd terrà a Erfurt. Engels, dunque, polemizza con Fischer e respinge alcune richieste di modifica, mentre ne accetta altre.
E' importante anticipare qui, prima della ricostruzione riassuntiva che tra poco faremo di tutta la vicenda, che questo scambio di lettere tra Engels e Fischer non era conosciuto da Rosa Luxemburg, né da Lenin, né da Trotsky, e che la risposta di Engels dell'8 marzo è rimasta inedita fino al 1967, quando è stata pubblicata dallo storico Hans Josef Steinberg (13).
Il carteggio Engels-Fischer è molto importante perché smentisce in maniera completa varie tesi false: non solo la tesi della "conversione" di Engels; ma persino la premessa stessa della tesi, e cioè che l'Introduzione fosse da Engels intesa come un "testamento" in cui proporre un cambio di strategia. Ma il carteggio smentisce anche chi sostiene che in definitiva i cambi accettati da Engels non avrebbero mutato la sostanza del testo. Quest'ultima tesi è distrutta dalla semplice lettura della lettera del 6 marzo di Fischer. E' infatti proprio Fischer a spiegare che ritiene necessario fare dei tagli al testo perché "(...) dovrai ammettere tu stesso che non sarebbe difficile ad un avversario in cattiva fede affermare che la quintessenza del tuo testo è: noi non facciamo oggi la rivoluzione per la sola ragione che non siamo abbastanza forti, perché non abbiamo ancora sufficientemente infiltrato l'esercito (...); che in caso di guerra noi brandiremo la bandiera della rivoluzione contro il nemico nazionale, ecc.".
Il riassunto che Fischer fa della versione originale dell'Introduzione è inequivocabile: nonostante Engels si fosse già "auto-censurato" per non dare ulteriori pretesti al governo per far approvare le nuove leggi speciali, il testo che aveva inviato perché fosse stampato affermava, con alcuni prudenti giri di frase, che: 1) bisognava preparare le forze nella prospettiva della rivoluzione; 2) che per questo era necessario "infiltrare" l'esercito, cioè guadagnare una parte dei militari (di leva) alla causa per poi "spezzare lo Stato"; 3) che in caso di una nuova guerra, la Spd avrebbe dovuto schierarsi contro il proprio Stato e contro il governo borghese, brandendo "la bandiera della rivoluzione contro il nemico nazionale".
Altrettanto importante è la replica dell'8 marzo di Engels: "Ho tenuto conto, per quanto possibile, delle vostre gravi preoccupazioni (...). Tuttavia non posso ammettere che vogliate consegnarvi anima e corpo all'assoluta legalità (...). Legalità solo fino a quando e nella misura che ci convenga, però nessuna legalità a qualsiasi prezzo (...). Penso che voi non abbiate nulla da guadagnare (...) dalla rinuncia assoluta al ricorso alla violenza. Nessuno vi crederà. (...) Inoltre devo tenere conto degli stranieri - francesi, inglesi, svizzeri, austriaci, italiani, ecc. - che leggeranno questi scritti: non posso compromettermi a tal punto ai loro occhi." (14).
Dunque Engels ammette la necessità di una certa prudenza tattica in Germania in quelle settimane: ma respinge decisamente il tentativo della direzione del partito di utilizzare la situazione per abbracciare pericolose teorie "legalitarie", pacifiste, gradualiste. Soprattutto è preoccupato perché sa che il suo testo sarà letto anche dai militanti delle altre sezioni dell'Internazionale e non vuole che possa essere interpretato come l'indicazione di un cambio di strategia.
Il 14 marzo Fischer risponde, cercando di sminuire le divergenze e comunque accettando il testo con le sole modifiche che Engels ha - seppure senza entusiasmo - accettato. Si noti, di passata, che in tutto il carteggio Fischer si rivolge ad Engels con il soprannome scherzoso con cui lo chiamavano amici e compagni: "Generale". Un soprannome che certo non si adatta all'immagine che per oltre un secolo hanno voluto presentarci di un vecchio Engels convertito al riformismo che scrive questo "testamento" per indicare una via parlamentare al socialismo.

 

Il "vergognoso equivoco": alla censura si somma la falsificazione

Ma la tormentata storia dell'Introduzione non finisce con le richieste di censura di Fischer. Prima che il testo due volte censurato da Engels (una prima volta durante la stesura originaria, una seconda volta su richiesta di Fischer) venga dato alle stampe, il 30 marzo l'organo principale della Spd, il Vorwarts, pubblica un articolo dal titolo "Come si fanno oggi le rivoluzioni" in cui vengono selezionate con cura ed estratte dal contesto alcune frasi dell'Introduzione in modo da deformare ulteriormente il pensiero di Engels. L'autore di questa operazione è Wilhelm Liebknecht.
Il Generale va su tutte le furie e inizia a scrivere lettere di protesta a tutti i dirigenti tedeschi e anche a quelli di altre sezioni dell'Internazionale, denunciando l'abuso. A differenza del carteggio con Fischer, pubblicato integralmente solo nel 1967, l'esistenza di queste lettere è pubblica dal 1909, come vedremo tra poco.
Aggiungiamo comunque che non è da escludere che le lettere in nostro possesso non siano tutte quelle effettivamente scritte da Engels e che qualcuna sia stata distrutta dai suoi esecutori testamentari (Bernstein e la direzione del partito) o sia andata persa. In ogni caso quelle trovate già sono sufficienti per gettare ulteriore luce sulla vicenda (15).
Come abbiamo visto, Engels non era per niente soddisfatto dei tagli che gli aveva chiesto Fischer e che aveva in parte accettato. Infatti, in una lettera a Kautsky del 25 marzo scrive: "Il mio testo ha sofferto a causa delle obiezioni eccessivamente apprensive ispirate ai nostri amici di Berlino dal progetto di leggi speciali - obiezioni che, in queste circostanze, non ho potuto ignorare."
Ma l'ulteriore manovra censoria operata da Liebknecht - senza nemmeno avvisarlo - arriva a trasformare Engels, come egli denuncia in una lettera del 1 aprile a Kautsky, in un "adoratore della legalità a tutti i costi". Si tratta di "un vergognoso equivoco", scrive Engels, che giudica la censura di Liebknecht inaccettabile. Per questo ritiene necessario che il testo venga ora pubblicato al più presto su Die Neue Zeit.
Qui segnaliamo un punto controverso: quando Engels invoca la pubblicazione sulla rivista di Kautsky, sta chiedendo che venga stampata la sua versione originale o quella già con i tagli di Fischer che ha accettato? Cercheremo tra poco di dare una risposta.
Fatto sta che su Die Neue Zeit, nel numero 27-28 del 1895, viene pubblicata la "versione Fischer" (che, ripetiamolo, è già passata per il processo di auto-censura di Engels e ha subito in parte i tagli imposti dalla direzione della Spd).
Il 3 aprile, Engels scrive a Paul Lafargue, dirigente della sezione francese, per avvisarlo che "Liebknecht mi ha appena giocato un bel tiro. Ha preso dalla mia introduzione (...) tutto ciò che potesse servirgli per sostenere tattiche pacifiche e non-violente ad ogni costo. Ma io (...) sostengo queste tattiche solo per la Germania di oggi e per di più con molte riserve." In altri Paesi, continua Engels, questa tattica (cioè l'utilizzo del parlamentarismo e degli spazi democratici borghesi) non è applicabile già oggi: "e per la Germania potrebbe diventare non più applicabile domani."

 

La pubblicazione dell'Introduzione originale

Bisogna aspettare trent'anni perché venga alla luce il testo originale della Introduzione così come Engels lo aveva scritto originariamente, cioè la versione che aveva inviato a Fischer e su cui poi operò egli stesso una parte dei tagli che gli venivano chiesti.
Fu lo studioso sovietico David Riazanov, direttore dell'Istituto Marx-Engels, a pubblicare nel marzo 1925 sul primo numero della rivista Unter dem Banner des Marxismus un articolo sulla vicenda e a pubblicare poi nel 1930 il testo integrale dell'Introduzione.
L'articolo di Riazanov tuttavia non chiarisce l'esistenza di due passaggi: prima le richieste di Fischer di tagliare il testo; poi la falsificazione di Liebknecht sul testo già auto-censurato (16). Ciò è dovuto anche al fatto che Riazanov stesso non era a conoscenza di tutto il carteggio con Fischer. Leggendo il suo articolo si può intendere (e così alcuni hanno capito, aggiungendo equivoco all'equivoco) che nelle citate lettere a Kautsky e a Lafargue dei primi di aprile Engels si stesse riferendo alla versione poi pubblicata su Die Neue Zeit e a quella (uguale) edita nel libro con gli articoli di Marx: cioè che si stia riferendo a quella che potremmo definire "versione Fischer" mentre le sue proteste si riferiscono alla smaccata falsificazione operata da Liebknecht.
Uno dei pochi, all'epoca, che conosceva tutta la vicenda e poteva dunque distinguere tra i due distinti episodi era Karl Kautsky con cui Engels, come abbiamo visto, si era lamentato sia per le richieste di Fischer che per il "tiro" di Liebknecht. Ma nella prefazione all'edizione francese del suo Le marxisme et son critique Bernstein Kautsky (1899) si limita a negare che l'Introduzione potesse essere letta come un "testamento" (17). E dieci anni dopo, nel 1909, in La via al potere, fa un riferimento alla lettera che Engels gli aveva scritto per protestare contro i tagli di Liebknecht ma non spiega del precedente carteggio con Fischer e fa solo un rapido accenno alla richiesta della direzione della Spd a Engels di "auto-censurarsi" (18).
Un altro che conosceva la storia nei suoi diversi passaggi era ovviamente Bernstein ma non poteva rivelarla perché sarebbe crollato uno dei pilastri della sua revisione: il presentarsi come il più fedele continuatore dell'evoluzione di Engels. Così, per continuare a difendere l'invenzione del "testamento", di cui era stato l'inventore, nel 1926 rispose indirettamente alla pubblicazione di Riazanov dando alle stampe (sul Sozialistische Monatshefte) le lettere di Fischer a Engels del 6 e 14 marzo in una versione purgata. In questo modo cercò di confondere ulteriormente la vicenda, cercando di dimostrare che Engels era stato avvisato delle modifiche. Si trattava di una verità parziale, resa ancora più parziale dalla omessa pubblicazione della lettera di Engels a Fischer dell'8 marzo. In questo modo veniva tenuto nascosto sia il motivo per cui Fischer aveva chiesto i tagli (cioè il giudizio su un testo ritenuto troppo rivoluzionario!), sia il rifiuto opposto da Engels ad alcune modifiche, sia la precisazione di Engels che le modifiche accettate (di malavoglia) non implicavano un cambio di strategia per il mondo intero.
Solo nel 1967, come abbiamo già anticipato, tutta la vicenda diventerà comprensibile grazie alla pubblicazione dell'intero carteggio Engels-Fischer a cura dello storico tedesco Steinberg sulla Review of Social History.

 

Sei introduzioni invece di una

Come si vede la vicenda è più intricata di un romanzo di Agatha Christie. E' allora bene, come fa spesso Hercule Poirot verso la metà della storia, provare a riassumere cosa sappiamo, per poi procedere a vedere come ancora questa vicenda venga falsificata, consapevolmente o inconsapevolmente, nella gran parte dei libri anche recenti che si occupano del tema.
Abbiamo fin qui ricostruito l'esistenza di ben sei versioni della Introduzione di Engels. Proviamo a enumerarle.
- La Introduzione n. 1 è un testo virtuale: è il testo che Engels avrebbe scritto se non si fosse da subito autocensurato per non creare problemi alla Spd in quel passaggio delicato in cui erano in discussione nuove leggi repressive. Un buon filologo potrebbe ricostruirlo almeno in parte esaminando le correzioni che Engels apportò al manoscritto. Chiaramente è impossibile conoscere le altre auto-censure che, per gli stessi motivi detti, Engels fece al testo direttamente mentre lo ideava. L'importante è comunque tenere conto che anche la versione "originale" fu scritta in una situazione sociale particolare che impediva la libera espressione.
- La Introduzione n. 2 è il primo testo che Engels inviò a Fischer. E' un abuso parlare di questo testo come di un "testamento": sia perché Engels non intendeva proporre con esso nessun cambio strategico verso una qualche forma di gradualismo, sia perché - al contrario - proprio in quegli anni stava conducendo una battaglia (la sua ultima battaglia) contro l'opportunismo e il gradualismo di alcuni dirigenti della Spd: ma su questo torneremo tra poco. Soprattutto è bene notare che Engels non sospettava che la morte sarebbe arrivata dopo poco: come prova il fatto che in quelle stesse settimane stava pianificando una gran quantità di altri lavori di cui parlava nelle lettere dando ad essi un peso che non dava a questa Introduzione. Dunque la Introduzione (che abbiamo numerato come seconda) avrebbe dovuto nelle intenzioni di Engels essere un pezzo relativamente marginale, una delle innumerevoli prefazioni che scriveva per le edizioni in varie lingue dei testi suoi e di Marx.


- La Introduzione n. 3 è un altro testo virtuale: si tratta della introduzione così come sarebbe risultata se Engels avesse accettato tutte le modifiche richieste da Fischer (e cioè dalla direzione della Spd). E' un testo che potrebbe facilmente essere scritto utilizzando il carteggio Engels-Fischer.

- La Introduzione n. 4 è il testo che Engels riscrive accettando in parte le richieste di Fischer. E' un testo di cui non è contento (come spiega a Kautsky nella lettera che abbiamo citato) perché potrebbe essere mal interpretato. Questo è il testo che viene pubblicato su Die Neue Zeit e nel libro con gli articoli di Marx. E' il testo che per anni è stato considerato la versione originale: finché Riazanov non ha dimostrato che ne esisteva un'altra, pubblicando quella a cui qui abbiamo attribuito il numero 2.

- La Introduzione n. 5 è il testo che Liebknecht pubblica sul Vorwarts, manipolando la Introduzione n. 4 fino a trasformare Engels, come avrebbe detto la vittima stessa, in un volgare filisteo. E' il testo che suscita l'ira furibonda di Engels e che lo porta a chiedere a Kautsky di pubblicare la versione originale.

Come si è accennato sopra, non è chiaro se a questo punto Engels stia pretendendo la pubblicazione della Introduzione n. 2 (la versione che non piaceva alla direzione della Spd) o della Introduzione n. 4 (il testo faticosamente concordato con Fischer). La nostra impressione è che Engels si riferisse alla numero 2, l'unica in grado di dissipare gli equivoci prodotti da Liebknecht: anche perché la n. 4 era già avviata alle stampe con gli articoli di Marx e dunque non si capisce perché Engels avrebbe dovuto "pretenderne" la pubblicazione anche su Die Neue Zeit. Più probabile che la pubblicazione richiesta fosse quindi del testo "scomodo", un modo per replicare con la chiarezza ai pasticci della direzione della Spd fugando ogni equivoco sulla rivista teorica che era letta da tutti i quadri del partito.

- La Introduzione n. 6, infine, è un testo che non esiste né in formato cartaceo né virtuale ma è quello a cui tutti fanno riferimento. Stiamo parlando del testo che da Bernstein in poi ogni buon riformista cita senza il bisogno di indicare le frasi precise in cui Engels avrebbe fatto determinate affermazioni che gli vengono attribuite. E' un testo che viene semplicemente evocato nel ritornello: "in fondo, anche l'ultimo Engels sosteneva che..."

La Introduzione n. 6, cioè, non ha più nessun rapporto con le altre versioni: né con l'originale né con quella auto-censurata; ha una parentela stretta con la sola versione falsificata pubblicata da Liebknecht, che in ogni caso non viene più richiamata come prova perché in molti sanno ormai che è un falso.

E' dunque solo un titolo a cui si allude come prova di una inesistente conversione di Engels, poco prima di morire, al pensiero dei filistei riformisti, i sostenitori di una via al socialismo dalla quale la rivoluzione venga o del tutto espunta in favore della via parlamentare o sia perlomeno (questo è l'uso che ne fanno tanti opportunisti) anestetizzata, attribuendo alla partecipazione alle elezioni borghesi un peso strategico in luogo del peso meramente tattico sostenuto da Engels.
Quando si parla della Introduzione come di un "testamento", già si sta facendo uso di questa Introduzione che abbiamo numerato come sesta: un testo evocato e inesistente che nulla ha a che fare con Engels e col marxismo.

 

L'uso abituale del testo evocato

Quella che abbiamo definito "Introduzione n. 6", il testo evocato, è non solo l'unica delle sei introduzioni che viene abitualmente citata da storici e politici, ma è anche di gran lunga il testo più citato "di" Engels: nonostante Engels non lo abbia mai scritto!
Una delle due principali edizioni italiane in commercio del libro di Marx e della relativa Introduzione engelsiana, quella degli Editori Riuniti, contiene un saggio di Angelo Bolaffi che afferma la teoria per cui Engels avrebbe voluto assegnare alla Introduzione "il significato di un vero e proprio testamento politico", che contiene una "ridefinizione delle coordinate strategiche" (19). Nella pur ampia prefazione, Bolaffi sorvola sulla vera storia del cosiddetto "testamento". Solo in una breve "nota ai testi" fa riferimento alle richieste di Fischer: ma dimentica le risposte di Engels e non fa nessun cenno alla successiva falsificazione di Liebknecht e all'utilizzo di un testo mitico e inesistente reiterato da oltre un secolo. Tutto ciò non è casuale perché Bolaffi continua a servirsi del testo evocato come prova del presunto cambio di "coordinate strategiche" che il vecchio Engels avrebbe operato. In questo modo Bolaffi conferma le tesi generali che sosteneva il Pci, all'epoca proprietario di quella casa editrice.
L'altra edizione importante in lingua italiana è quella curata per Einaudi da Leandro Perini (20). L'ampio saggio introduttivo di Perini non fa alcun riferimento alla questione delle falsificazioni. Solo una nota a piè di pagina parla di "correzioni e mitigazioni" fatte da Engels per andare incontro "alle preoccupazioni di Fischer in relazione alla minaccia di leggi antisovversive" e si accenna rapidamente alla edizione mutilata pubblicata da Liebknecht sul Vorwarts. Anche in questo caso, comunque, tutta la vicenda - che ha segnato la storia di questo libro e che ha attraversato e diviso il movimento operaio per un secolo - è ridotta a una precisazione a fondo pagina che non consente al lettore ignaro di conoscere il maneggio che è stato fatto del testo.
Potremmo continuare a lungo, citando decine di edizioni, in lingue diverse, del libro di Marx e della Introduzione di Engels: il metodo impiegato è lo stesso: in qualche caso per ignoranza dei curatori, in altri casi perché minimizzare le manipolazioni è funzionale a legittimare la leggenda del "testamento". Limitiamoci alla principale edizione in lingua portoghese, in commercio in Brasile: l'edizione Boitempo (casa editrice che ha in catalogo la gran parte dei testi di Marx ed Engels in portoghese) dedica una nota di esattamente due righe per alludere a "brani cancellati" per volere della direzione della Spd. I brani soppressi, qui come negli altri casi che abbiamo citato, vengono pubblicati tra parentesi quadre: ma non essendo richiamata l'attenzione del lettore sulle manipolazioni subite dal testo né sulle condizioni in cui venne scritto, non si percepiscono le differenze importanti tra l'originale (su cui, ripetiamo, Engels già si era "autolimitato") e il testo pubblicato. Tanto meno è chiaro al lettore che il testo effettivamente utilizzato in tutti i dibattiti, da Bernstein in poi, è il testo che abbiamo definito "evocato" (21).
Se consideriamo che la miglior biografia di Engels, scritta da Gustav Mayer, di quasi mille pagine, non spiega la genesi e la vita travagliata del testo engelsiano (22), capiamo come per decenni i revisionisti di ogni risma abbiano avuto buon gioco a utilizzare Engels a sostegno delle loro teorie: limitandosi ad "evocare" l'Introduzione del 1895.
Uno dei testi più noti in questo senso - e che ha fatto scuola, essendo poi ripreso e citato centinaia di volte in libri e saggi - è la prefazione che nel 1970 Lucio Colletti (all'epoca "marxista", poi finito in vecchiaia a fare il senatore di Berlusconi!) ha scritto per presentare il libro con cui Bernstein aveva per primo sperimentato l'uso distorto del testo di Engels. Colletti si distingue perché riesce contemporaneamente ad accreditare la leggenda del "testamento", cioè della "revisione" (inventata) di Engels in punto di morte, e a non dire una parola sul processo di "revisione" (questo sì reale) subito dal testo. Il tutto serve a Colletti per concludere che Engels avrebbe indicato una "nuova prospettiva strategica", in cui la rivoluzione è sostituita dalle elezioni e dunque la Introduzione sarebbe "un preambolo non cosciente" del revisionismo (23).
Un caso a parte è la lettura dell'Introduzione fatta da Jacques Texier, uno dei più noti esperti francesi del pensiero di Marx, morto pochi anni fa. Texier riesce nell'impresa di ricostruire in modo più o meno corretto l'iter dell'Introduzione (dalle richieste di censura di Fischer alla falsificazione di Liebknecht) per poi concludere minimizzando l'importanza di questi passaggi nella definizione del testo e accettando così la leggenda del "testamento" su cui poi basa tutta una lunga tirata anti-leninista (24).
Simile è la ricostruzione che fa nel 1976 Steinberg, uno dei più importanti storici della Seconda Internazionale (di orientamento riformista, vicino alla Spd dell'epoca). Nel suo studio principale, Il socialismo tedesco da Bebel a Kautsky, sottolinea una cosa vera: che le lettere di Engels di protesta si riferiscono alla pubblicazione falsificata fatta da Liebknecht e non alla versione poi apparsa su Die Neue Zeit (25). Tuttavia, nel precisare questo, Steinberg minimizza le precedenti censure richieste dalla direzione della Spd e accettate (in parte e con resistenze) da Engels. Soprattutto non evidenzia che la grande confusione suscitata attorno al testo di Engels facilitò l'uso che abbiamo definito "evocativo" del testo come legittimazione di una presunta conversione "parlamentarista" di Engels. L'interpretazione equivocata di Steinberg è paradossale, specie se si considera che fu proprio Steinberg a trovare e pubblicare nel 1967 il carteggio integrale tra Fischer ed Engels che chiarisce la storia.

 

La ricostruzione vera della storia

Prima di vedere come la ricostruzione falsa della storia dell'Introduzione continui a girare anche oggi, dobbiamo segnalare che esiste un ristretto numero di studiosi che ha ricostruito la vicenda correttamente. Tra le centinaia di interpretazioni che abbiamo letto nel preparare questo articolo, tra una gran quantità di ricostruzioni false, omissive o distorte, abbiamo trovato solo quattro storici che offrono la ricostruzione veritiera (non escludiamo esistano anche altri storici informati dei fatti di cui scrivono: ma in proporzione non superiore all'1% dei testi dedicati alla questione).
Il primo a farlo nel dettaglio è stato nel 1969 lo svedese Bo Gustafsson nella sua monografia sul revisionismo, uno dei testi più importanti sulla storia della Seconda Internazionale, più volte tradotto in varie lingue (26).
La migliore e più dettagliata ricostruzione di tutta la travagliata vicenda della Introduzione di Engels è però nella monumentale opera dello studioso e militante di origine trotskista Hal Draper: Marx's Theory of revolution, pubblicata a partire dalla fine degli anni Settanta negli Stati Uniti dalle edizioni della Monthly Review (27). Draper chiarisce come Bernstein, pur sapendo del carteggio tra Engels e Fischer, e conoscendo dunque la verità, approfittò del suo ruolo di esecutore testamentario per occultare per anni una parte dei testi engelsiani (tra cui la versione originale dell'Introduzione) e così inventare la leggenda del "testamento". E' merito di Hal Draper anche aver chiarito che la stessa pubblicazione da parte di Riazanov dell'Introduzione non tagliata indusse comunque molti a fare confusione tra il testo falsificato da Liebknecht (che suscitò le ire di Engels) e la versione mutilata dai tagli richiesti da Fischer. Una confusione che perdura e che è stata segnalata anche da uno dei più recenti biografi di Engels, Manfred B. Steger (28).
In tempi più recenti, infine, Hernan Ouvina, in un'antologia sulle analisi marxiste dello Stato, curata da Mabel Thwaites Rey, parte da una corretta ricostruzione dei fatti che dimostra le profonde alterazioni che l'Introduzione ha subito fin dalla sua genesi. Eppure, seguendo l'atteggiamento quasi unanime degli storici, anche Ouvina nelle conclusioni fa una capriola logica e attribuisce al testo di Engels il valore di un testo "di svolta" e lo legge come una specie di anticipazione di Gramsci e della sostituzione della "guerra di manovra" con la "guerra di posizione", cioè si unisce al già folto coro e addebita a Engels la rinuncia alla conquista del potere attraverso l'insurrezione e la rivoluzione (29).

 

L'ultima battaglia di Engels

Arrivati a questo punto della storia, resta da porsi una domanda: erano necessari studi filologici per convincersi che Engels non intendeva lasciare un "testamento" contenente un'abiura del marxismo? Era necessario, cioè, che Riazanov pubblicasse il testo originale e che poi Steinberg pubblicasse il carteggio con Fischer? La risposta è categoricamente negativa.
Viceversa, per accettare la leggenda del "testamento" era (ed è) necessario ignorare non solo tutta l'opera teorica e l'azione pratica di Marx ed Engels, alla cui base, per ripetere la citazione di Lenin, sta "la necessità di educare sistematicamente le masse in questa (...) idea della rivoluzione violenta", ma era ed è necessario anche ignorare tutti gli scritti di Engels di quegli stessi ultimi anni di vita.
Oltre a curare le opere di Marx, e in particolare a completare il secondo libro del Capitale, pubblicato nel 1885, e il terzo, pubblicato nel 1894, oltre a scrivere alcuni libri propri, Engels divenne dopo la morte di Marx (1883) la principale guida di tutti i partiti della Seconda Internazionale (fondata nel 1889), il punto di riferimento teorico a cui si rivolgevano i dirigenti per avere suggerimenti politici.
Ciò è confermato dalle dimensioni impressionanti della corrispondenza che teneva quotidianamente con Bebel e Liebknecht (principali dirigenti della sezione tedesca), Paul Lafargue e sua moglie Laura, figlia di Marx (dirigenti della sezione francese), Eleanor (altra figlia di Marx) ed Edward Aveling (dirigenti del movimento in Inghilterra), e poi i dirigenti della sezione austriaca, polacca, e i marxisti statunitensi, russi, italiani e di ogni altra parte del mondo (30).
Ora, leggendo le lettere di Engels e i libri dell'ultimo periodo, non si trova nessuna traccia della presunta "revisione" che secondo il 99% degli storici avrebbe voluto fare con la Introduzione. Al contrario: si scopre che Engels era consapevole dei rischi di una deriva opportunista della socialdemocrazia e in particolare studiava i primi germi del male nel partito più grande della Seconda Internazionale, la Spd, che stava crescendo esponenzialmente in termini politici ed elettorali (fino ad arrivare al 20% dei voti nel 1890) e che disponeva di un apparato burocratico sempre più grande, centinaia di eletti nelle istituzioni, funzionari, giornalisti, come si disse, "uno Stato nello Stato".
Proprio per questo nel 1891, nel pieno della discussione sul nuovo programma che la Spd avrebbe poi adottato nel congresso di Erfurt, decise di pubblicare su Die Neue Zeit la inedita Critica al programma di Gotha che Marx aveva scritto nel 1875, quando avveniva l'unificazione su basi confuse della socialdemocrazia tedesca (31). La pubblicazione del vecchio testo di Marx, che conteneva aspre critiche ai cedimenti dei dirigenti "marxisti" al riformismo dei lassalliani, suscitò l'ira di quegli stessi dirigenti, a partire da Wilhelm Liebknecht (che rispose con un editoriale sul Vorwarts, respingendo le critiche di Marx). Ma il vecchio testo di Marx fu uno strumento utile, insieme al nuovo testo elaborato da Engels in quelle settimane (e rimasto inedito fino al 1901): le Critiche del progetto di programma di Erfurt, inviato ai dirigenti socialdemocratici e a Kautsky e Bernstein che di fatto riscrissero il programma, cestinando la prima bozza (quella a cui si riferisce appunto la Critica), riuscendo a far approvare ad Erfurt il primo programma su basi sostanzialmente marxiste varato da un congresso della socialdemocrazia (32). L'essenziale delle Critiche di Engels (come noterà Lenin in Stato e rivoluzione) erano dirette proprio contro ogni idea di gradualismo: è credibile dunque che poco dopo il "Generale" in guerra contro l'opportunismo si convertisse a sua volta al gradualismo?
Tutti gli altri testi di Engels di quegli anni, che non abbiamo qui modo di esaminare, vanno nella medesima direzione, tutti sono strumenti per rafforzare una battaglia contro le prime avvisaglie di opportunismo nella Spd (33). Purtroppo la morte (per un cancro all'esofago) lo sorprese il 5 agosto 1895. La battaglia che aveva iniziato sarà continuata, per un periodo, da Karl Kautsky (che poi capitolerà), e fino in fondo da Rosa Luxemburg, Lenin e Trotsky.

 

Il "filisteo socialdemocratico"

Alcuni storici, pur conoscendo le pressioni a cui il gruppo dirigente socialdemocratico aveva sottoposto Engels perché modificasse la Introduzione, come abbiamo visto minimizzano le differenze tra il testo originale e quello effettivamente pubblicato su Die Neue Zeit (34). Per sostenere questa interpretazione è però necessario dimenticarsi di due cose: primo, del fatto che la stessa direzione della Spd considerava il testo troppo rivoluzionario (come dimostra la già citata lettera di Fischer del 6 marzo); secondo, che a prescindere dall'interpretazione dei dirigenti, la semplice comparazione dell'originale con la "versione Fischer" pubblicata rende evidenti le differenze qualitative tra i due testi.
Come ha spiegato Riazanov nel pubblicare l'originale, i tagli sono pochi ma vanno tutti nella direzione di snaturare il significato di quanto Engels aveva scritto. Engels scrive (seppure auto-censurandosi) un testo che spiega come le innovazioni tecniche e militari apportate dopo il 1848 richiedano... nuove tattiche per meglio affrontare le battaglie di strada. Si legge ad ogni riga l'interesse del "Generale" per le questioni militari: con precisi riferimenti alle modifiche degli armamenti, dal fucile non rigato a percussione del '48 al fucile a ripetizione di piccolo calibro "che tira quattro volte più lontano ed è dieci volte più preciso."
Altro che conversione pacifista! In ogni caso non c'è né nell'originale né nella "versione Fischer" nessuna fiducia in una via parlamentare al socialismo. Scrive Engels: "le istituzioni dello Stato, in cui si organizza il dominio della borghesia, offrono ancora altri appigli per mezzo dei quali la classe operaia può combattere queste stesse istituzioni statali."
Dunque Engels è inequivocabile: dà una definizione dello Stato come Stato borghese (rifiutando l'idea riformista dello Stato "neutro") e poi precisa che in determinate circostanze (sta pensando alla Germania del periodo) è possibile combattere lo Stato borghese utilizzando strumentalmente il parlamentarismo.
E' questo che spiega perché Liebknecht non si accontentò dei tagli fatti e ne fece altri più profondi. E questo spiega anche perché i riformisti (di ieri e di oggi) preferiscono non citare nemmeno il testo già tagliato ma rifarsi semplicemente a un inesistente testo che evocano con la spudorata qualifica di "testamento".
Come scriveva Engels in un testo di quegli stessi anni, la prefazione del 1891 alla Guerra civile in Francia di Marx: "Il filisteo socialdemocratico recentemente si è sentito preso ancora una volta dal sacro terrore sentendo l'espressione dittatura del proletariato." E' un terrore di oggi e di ieri: non a caso l'editore (cioè il partito) pensò bene di sostituire alla espressione "filisteo socialdemocratico" la meno offensiva (per gli editori stessi!) "filisteo tedesco". Ma è di alcuni dirigenti socialdemocratici che Engels stava parlando, non di imprecisati "tedeschi".

 

Marxismo e blanquismo

L'attenzione di Engels in quelle settimane del 1895 è rivolta a lavori che considera più importanti dell'Introduzione: come il libro di Marx sulle Teorie del plusvalore, noto anche come "quarto" libro del Capitale (e che verrà pubblicato da Kautsky). Al contempo aveva iniziato altri lavori: sugli scritti giovanili di Marx, sulla corrispondenza tra Marx e Lassalle, sulla storia dell'Internazionale e infine aveva in progetto una biografia di Marx.
Quando invia il testo dell'Introduzione a Fischer non immagina l'uso che ne verrà fatto dopo la sua morte. Notiamo poi di sfuggita che è davvero paradossale che l'Introduzione sia stata presentata per decenni come il punto di partenza del gradualismo, dimenticando che fu scritta per introdurre proprio i testi di Marx in cui compare per la prima volta l'esplicita espressione "dittatura del proletariato" (che nel Manifesto era già presente ma solo come concetto).
Bernstein fu il primo (di centinaia) a voler utilizzare l'Introduzione per leggervi una critica di Engels a un presunto "blanquismo" del marxismo del '48 e degli anni d'esordio del socialismo scientifico. Per sostenere questa tesi, Bernstein fece per prima cosa una caricatura di Auguste Blanqui, di cui peraltro Marx ed Engels avevano grande stima e che definivano "testa e cuore del proletariato francese". Da allora sempre il riformismo (e lo stalinismo) ha usato una caricaturale immagine di Blanqui per respingere insieme al suo "sostitutismo" della classe il concetto stesso di partito d'avanguardia e per rifiutare, insieme alla riduzione blanquista della rivoluzione all'insurrezione (e dell'insurrezione alle barricate), la rivoluzione stessa. Ma Marx criticava il blanquismo come pensiero di un rivoluzionario di un'altra epoca, dai tratti utopistici, mentre Bernestein e i riformisti criticavano e criticano Blanqui in quanto rivoluzionario (35).
E' Trotsky, in Terrorismo e comunismo, a chiarire la questione in polemica con Kautsky: i blanquisti, precisa, "comprendevano perfettamente l'importanza del potere rivoluzionario e si guardavano bene, nel porre il problema della conquista del potere, di rispettare religiosamente gli aspetti formali della democrazia." Ed è questo che definisce un solco tra l'eroico Blanqui e i suoi critici riformisti. Ma i bolscevichi, aggiunge, a differenza di Blanqui, costruirono un partito radicato nella classe operaia (non un gruppo che si sostituisse ad essa) e videro nell'insurrezione non un surrogato concentrato della rivoluzione ma il suo atto conclusivo (36). Ed è sempre Trotsky a tornare sul tema chiarendo, indirettamente, la posizione che Engels esprime anche nel cosiddetto "testamento". Vale la pena di fare una lunga citazione dalla Storia della rivoluzione russa:
"L'insurrezione è un'arte e come ogni arte ha le sue leggi. (...) L'errore di Blanqui consisteva non nella sua teorizzazione positiva, ma in quella negativa. Dal fatto che l'inconsistenza tattica condannava l'insurrezione al fallimento, Blanqui traeva la conclusione che la pura e semplice applicazione delle norme tattiche insurrezionali poteva assicurare la vittoria. Solo a partire da questo punto è legittimo contrapporre il blanquismo al marxismo. La cospirazione non sostituisce l'insurrezione. La minoranza attiva del proletariato, per quanto organizzata, non può impadronirsi del potere indipendentemente dalla situazione generale del Paese: in questo senso, il blanquismo è condannato dalla storia. Ma solo in questo senso. La teorizzazione in forma positiva conserva tutto il suo valore. Per la conquista del potere non basta al proletariato un'insurrezione di forze spontanee. Ha bisogna di un'adeguata organizzazione, ha bisogno di un piano, ha bisogno della cospirazione. Lenin pone il problema in questi termini.
La critica di Engels, diretta contro il feticismo delle barricate, si basava sull'evoluzione della tecnica militare e della tecnica in generale. La tattica insurrezionale del blanquismo era adeguata alla struttura della vecchia Parigi, di un proletariato per metà composto da artigiani, alle strade strette, e al sistema militare di Luigi Filippo. In linea generale, l'errore di Blanqui consisteva nel ridurre la rivoluzione a insurrezione. Sul piano tecnico, l'errore del blanquismo consisteva nel ridurre l'insurrezione alle barricate. La critica marxista era diretta contro questi due errori. Ritenendo, d'accordo con il blanquismo, che la rivoluzione è un'arte, Engels metteva in luce non solo la funzione secondaria dell'insurrezione nella rivoluzione, ma anche la funzione declinante della barricata nell'insurrezione. La critica di Engels non significava affatto una rinuncia ai metodi rivoluzionari per un parlamentarismo puro, come pretesero di dimostrare ai loro tempi i filistei della socialdemocrazia tedesca con l'aiuto della censura degli Hohenzollern. Per Engels il problema delle barricate era un problema concernente uno degli elementi tecnici dell'insurrezione. I riformisti, invece, dalla negazione del valore decisivo della barricata cercarono di dedurre una negazione della violenza rivoluzionaria in generale." (37).

 

Una leggenda dura a morire

Chi è realmente interessato ad approfondire lo studio di Engels oggi dispone di elementi di conoscenza (che mancavano alla Luxemburg e a Lenin) che non giustificano più una lettura equivocata della famosa Introduzione.
Eppure la leggenda del "testamento" è dura a morire. Se prendiamo in mano la recentissima Storia del marxismo (in tre volumi) pubblicata pochi mesi fa da Carocci, vediamo che anche un buon conoscitore di Marx come Stefano Petrucciani insiste in una interpretazione priva di fondamento quando, pur accennando alle richieste di modifica della direzione Spd e alla successiva falsificazione di Liebknecht, conclude sostenendo che l'Introduzione "fu occasione per far emergere (...) i mutamenti che erano intervenuti nelle concezioni politiche dello stesso Engels, che sottolineava con forza l'importanza delle battaglie elettorali e parlamentari (...) (38).
Ma gli equivoci ritornano persino in alcuni studiosi che pure si oppongono alla lettura dell'Engels convertito al riformismo. Facciamo due esempi. Il primo è Paul Kellogg che, sulla prestigiosa rivista Science and Society, in un articolo specificamente dedicato a chiarire la vicenda del "testamento" in polemica con Colletti e con le altre letture analoghe, invece di chiarire la genesi del testo confonde i due episodi distinti che abbiamo raccontato: le richieste di tagli fatte da Fischer (episodio che Kellogg pare non conoscere) e i tagli praticati da Liebknecht all'insaputa di Engels. Davvero paradossale per un articolo che vorrebbe chiarire l'intrigo! (39).
Il secondo esempio riguarda uno storico brasiliano, Valerio Arcary. Vale la pena di soffermarsi su questo esempio perché qui il paradosso è elevato alla massima potenza: nonostante Arcary assegni al tema del cosiddetto "testamento" una grande importanza per l'uso che ne è stato fatto nella storia del movimento operaio, al punto di tornare su questo tema con insistenza praticamente in tutti i suoi libri, pare sia rimasto purtroppo anch'egli vittima degli equivoci di questa storia ingarbugliata.
In As esquinas perigosas da historia (uscito nel 2004, quasi quarant'anni dopo la pubblicazione integrale del carteggio Engels-Fischer) al tema che ci interessa è dedicato un capitolo specifico ma l'argomento ritorna come filo conduttore di tutto il libro (40). Arcary polemizza giustamente con la lettura (che abbiamo citato sopra) del francese Texier e respinge la tesi dell'Introduzione engelsiana indicata quale premessa del riformismo. Tuttavia non spiega i due distinti episodi di manipolazione che ha subito il testo, limitandosi in una nota a fondo pagina a segnalare che fu pubblicato con "tagli". L'impressione è che stia sovrapponendo i due episodi distinti (le pressioni di Fischer e la falsificazione di Liebknecht).
Ma è nel successivo libro di Arcary che l'incomprensione della vicenda diventa evidente e più grave. Infatti, nel libro del 2006, O encontro da revolucao com a Historia, Arcary dedica al tema il capitolo centrale dell'opera, intitolato: "Controversie sulla teoria della rivoluzione nel 'Testamento' di Engels." E' un capitolo che occupa circa 50 pagine del libro: probabilmente l'analisi più ampia dedicata all'Introduzione engelsiana tra i libri di storia dell'ultimo ventennio. Ma per quanto il titolo lasci sperare che sia offerto al lettore un definitivo chiarimento delle citate "controversie", al contrario Arcary si limita a parlare di una edizione tagliata "per decisione di Bebel" (probabilmente si sta riferendo all'episodio del Vorwarts, confondendo Liebknecht con Bebel) ma non fa alcuna menzione del precedente episodio, cioè alla censura richiesta da Fischer. Anzi: il nome di Fischer e il carteggio con Engels (indispensabile per comprendere l'Introduzione) non compare mai nelle cinquanta pagine dedicate al tema, lasciandoci il dubbio che Arcary, pur essendo tornato sull'Introduzione praticamente in tutti i suoi libri, sia incorso in buona fede nell'errore dell'interpretazione prevalente (41). In ogni caso, purtroppo, la mancata ricostruzione della vicenda, che di per sé basterebbe a sfatare il mito del "testamento", finisce con l'indebolire la pur corretta polemica con le tesi in stile Texier perché Arcary si espone all'accusa di non conoscere la materia su cui pure ha scritto tante volte e da molti anni (42). Precisiamo comunque che questo non toglie nulla all'interesse che sempre mantengono i libri di questo intellettuale brillante.

 

Conclusione

A fronte dell'opera infaticabile dei riformisti, autentici falsari del marxismo, il cosiddetto "testamento" di Engels è così diventato una leggenda che, come tutte le leggende, si diffonde senza nessun bisogno di prove, tanto che persino storici e studiosi seri non riescono più a distinguere, nella intricata vicenda che abbiamo raccontato, il falso dal vero.
Eppure la verità storica dimostra - se mai ce ne fosse bisogno - che quando ancora oggi qualche riformista o semi-riformista cerca di usare l'Introduzione per trovare in essa un salvacondotto per vecchie e nuove imprese opportuniste, all'insegna di una presunta centralità delle elezioni o della conquista di qualche seggio nel pollaio del parlamento borghese, sta solo cercando di imbrogliare così come quel "filisteo socialdemocratico" di cui parlava più di un secolo fa Engels. Perché oggi come ieri i filistei continuano a riconoscersi per la loro subalternità ai governi e al potere della borghesia, per il loro "sacro terrore" di fronte alla prospettiva del potere dei lavoratori.

 

 

Note

Premessa: sono citati nelle note solo i testi principali a cui si fa riferimento diretto nell'articolo. Per una bibliografia più approfondita si rimanda alla rubrica Razzolare tra i libri nelle ultime pagine di questo stesso numero della rivista.

(1) La critica di Marx al programma di unificazione della socialdemocrazia tedesca è nota come Critica al programma di Gotha (Massari editore, 2008). Il testo, inviato ad alcuni dirigenti (Bracke, Bebel, Liebknecht, Geib ed Auer), sarà reso pubblico da Engels solo nel 1891, sul numero 9 di Die Neue Zeit.
Il termine "lassallismo" è in riferimento a Ferdinand Lassalle (1825 - 1864), uno dei padri storici del riformismo, fondatore nel 1863 della Associazione generale degli operai tedeschi il cui programma poneva al centro la lotta per il suffragio universale e la formazione di associazioni operaie sovvenzionate dallo Stato. Alla sua morte (nell'agosto 1864, poco prima che venisse fondata la Prima Internazionale), la sua Associazione (ora diretta da von Schweitzer) aveva come rivale a sinistra la Unione delle associazioni operaie diretta da Liebknecht e Bebel. Nel 1869, a Eisenach, questi ultimi due diedero vita al Partito operaio socialdemocratico, influenzato dalle posizioni di Marx. Nel 1875, quanto era rimasto dell'organizzazione di Lassalle e l'organizzazione "marxista" si fusero su un programma confuso a cui appunto Marx dedicò la sua Critica. Il nuovo partito (Partito operaio socialista tedesco) nel 1890 assumerà il nome di Partito socialdemocratico tedesco, Spd.

(2) E. Bernstein, I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia (1899), Edizioni Laterza, 1968, con prefazione di Lucio Colletti.

(3) L'attacco di Kautsky è contenuto in vari articoli sulla Neue Zeit poi ricomposti nel libro: Le marxisme et son critique Bernstein (1899). Abbiamo consultato il libro nell'edizione in francese pubblicato da P.V. Stock Editeur, Paris, 1900 (trad. di Martin Leray), reperibile in pdf in internet.

(4) Rosa Luxemburg, Riforma sociale o rivoluzione? (1899), Editori Riuniti, 1973.

(5) Rosa Luxemburg, "Discorso sul programma", in: Scritti scelti, pag. 651 e sgg., Einaudi, 1976.

(6) V.I. Lenin, "Un nuovo eccidio", in Opere complete, volume 5, pag. 17 e sgg., Editori Riuniti, 1958.

(7) V.I. Lenin, lettera a Inessa Armand del 25 dicembre 1916, in Opere complete, volume 35, pag. 185, Editori Riuniti, 1958.

(8) L. Trotsky, 1905, (1906-1909), pag. 261, La Nuova Italia, 1970.

(9) L. Trotsky, Lettera a Lev Sedov, 6 luglio 1931, da noi consultata nella versione in francese pubblicata in www.marxists.org/francais/trotsky/oeuvres/1931/07/19310706.htm

(10) L. Trotsky, Lettera a Lev Sedov, 26 settembre 1931, da noi consultata nella versione in francese pubblicata in www.marxists.org/francais/trotsky/oeuvres/1931/09/19310926.htm

(11) L. Trotsky, "L'Ilp e la Quarta Internazionale. Nel mezzo del cammino", 18 settembre 1935, da noi consultata nella versione in spagnolo in Escritos, Tomo IV, pag. 352 e sgg., ed. Ceip.

(12) Gli articoli di Marx furono pubblicati sulla Neue Rheinische Zeitung coi titoli "Dal 1848 al 1849", "Il 13 giugno 1849", "Ripercussioni del 13 giugno sul continente"; un quarto articolo "La situazione attuale: l'Inghilterra" rimase inedito. Agli articoli, pubblicati con nuovi titoli (rispettivamente: "La disfatta del giugno 1848"; "Il 13 giugno 1849"; "Le conseguenze del 13 giugno 1849"), Engels aggiunse nell'antologia da lui curata un ulteriore articolo di Marx: "La soppressione del suffragio universale del 1850".

(13) Il carteggio fu pubblicato da Hans Josef Steinberg in "Revolution und legalitat" sulla rivista International Review of Social History, volume 12, n. 2, pagg. 177-189, 1967.

(14) Vedi nota 13, citato anche da L. Longinotti in "Friedrich Engels e la 'rivoluzione di maggioranza", in Studi Storici, anno 15, n. 4, 1974. Da notare che Liana Longinotti ricostruisce correttamente la vicenda del testo engelsiano ma trae conclusioni funzionali a difendere le politiche opportuniste del Pci, che all'epoca editava la rivista Studi Storici (che contiene, di là dalle posizioni che esprimeva, articoli interessanti).

(15) Abbiamo utilizzato le lettere prendendole dall'edizione in inglese pubblicata nel volume 50 dei Marx and Engels Collected Works. Letters 1892-1895, di cui è reperibile sul web la versione in pdf dell'edizione Lawrence & Wishart. La traduzione dall'inglese è nostra. L'insieme del carteggio è reperibile anche nella antologia in lingua francese: Karl Marx et Friedrich Engels, La social-democratie allemande, 1975, a cura di Roger Dangeville, reperibile in www.marxists.org/francais/marx/works/00/sda/sda.htm

(16) L'articolo di Riazanov sulla Introduzione di Engels venne pubblicato nella rivista Unter dem Banner des Marxismus, 1925-1926, n. 1. Da noi è stato consultato nella versione in francese "Introduction d'Engels aux Luttes de classe en France, 1848-1850", reperibile in
www.marxists.org/francais/marx/works/00/sda/sda_6_1.htm

(17) K. Kautsky, Le marxisme et son critique Bernstein (1899): vedi nota 3.

(18) K. Kautsky, La via al potere, pag. 65 e sgg., Laterza, 1974.

(19) Si tratta della classica edizione di: K. Marx, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, con la traduzione curata da Palmiro Togliatti e più volte ristampata. Noi l'abbiamo consultata nell'edizione del 1987.

(20) E' l'edizione Einaudi del 1976 apparsa col titolo: K. Marx, Rivoluzione e reazione in Francia. 1848-1850.

(21) E' l'edizione Boitempo Editorial del 2011.

(22) G. Mayer, Friedrich Engels (1936). In italiano ne esiste solo una versione ridotta pubblicata da Einaudi, 1969. Abbiamo comunque usato la versione integrale nella traduzione in spagnolo (di W. Roces) pubblicata Ediciones Fce, 1978. La questione del testo di Engels è affrontata nelle pagine 857 e sgg.: pur sottolineando che l'introduzione non contiene nessuna "revisione" da parte di Engels, Mayer non fornisce nessuna indicazione sulle alterazioni che ha subito il testo.

(23) La prefazione di Lucio Colletti è al libro di Bernstein, I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia: vedi nota 2. Il testo di Colletti è stato ripubblicato anche nella sua antologia Ideologia e società, con il titolo: "Bernstein e il marxismo della Seconda Internazionale". Si tratta di un testo più volte tradotto in svariate lingue.

(24) Il testo di J. Texier è in Aa.Vv., Friedrich Engels, savant et révolutionnaire, atti del "Colloque Engels" organizzato a Parigi nel 1995 (edizioni Puf, 1997). La medesima interpretazione di un Engels "revisionista" e precursore di Bernstein è ripresa nel libro anche da Christian Saves che pure utilizza in questo senso la celebre introduzione engelsiana.

(25) Si vedano le pagg. da 91 a 94 del libro di Steinberg, Il socialismo tedesco da Bebel a Kautsky (1976), Editori Riuniti, 1979.

(26) Il libro di Bo Gustafsson è stato pubblicato in Germania nel 1969. Non esiste in traduzione italiana: abbiamo consultato il libro nella edizione in spagnolo: Marxismo y revisionismo, ed. Grijalbo, 1974; i riferimenti alla vicenda che ci interessa sono a pag. 81 e sgg.

(27) Hal Draper, Marx's Theory of revolution, Monthly Review Press, 1977-1990. La vicenda del presunto "testamento" di Engels è ricostruita nel volume V, "War & Revolution".

(28) Manfred B. Steger, "Engels and the origins of german revisionism: another look" in Political Studies, vol. 45, n. 2, giugno 1997, alle pagg. 247-259. Steger segnala l'equivoco in cui è caduto anche Paul Kellogg, di cui abbiamo riferito.

(29) Il saggio di Hernan Ouvina, "Reforma y revolucion. A proposito del 'testamento politico' de Engels" si trova in Mabel Thwaites Rey (a cura di), Estado y marxismo: un siglo y medio de debates (Prometeo libros, 2007).

(30) Per un primo rapido approfondimento sulle battaglie politiche di Engels ci permettiamo di rinviare al nostro articolo "1895 - 2015, a centovent'anni dalla morte di Friedrich Engels. Il Generale della rivoluzione" reperibile sul sito www.alternativacomunista.org e, in traduzione in spagnolo, portoghese, francese ed inglese, sul sito www.litci.org.

(31) Vedi nota 1.

(32) Spesso il testo di Engels viene letto come se fosse una critica al programma approvato a Erfurt che viene da alcuni indicato come il punto di partenza del riformismo: in realtà la Critica di Engels si riferisce alla prima bozza che fu poi radicalmente riscritta da Kautsky e Bernstein seguendo i suoi suggerimenti. Per questo Lenin (nel 1899) sosteneva che fosse necessario "imitare" il programma (nella versione conclusiva) approvato a Erfurt: si veda "Progetto di programma del nostro partito" in Opere complete, volume 4, pag. 229 e sgg., Editori Riuniti, 1958.

(33) Tra i testi di Engels scritti dopo la morte di Marx (1883) ricordiamo: L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884); Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca (1886), in appendice del quale pubblicò le inedite e importantissime Tesi su Feuerbach che Marx aveva scritto nel 1845; la introduzione a La guerra civile in Francia di Marx, dove rivendica la Comune come primo embrione di dittatura del proletariato; e poi un gran numero di prefazioni alle nuove edizioni di opere sue o di Marx o di entrambi: in nessuno di questi testi appaiono accenni di una volontà di "revisionare" il marxismo in senso gradualistico.

(34) Tra il testo scritto da Engels e la versione poi pubblicata con i suoi "auto-emendamenti" ci sono comunque differenze sostanziali. Ad esempio, nella parte dove si sta parlando delle barricate Engels aveva scritto questo brano, poi soppresso (citiamo dall'edizione degli Editori Riuniti: v. nota 19: "Vuol dire ciò che nell'avvenire la lotta di strada non avrà più nessuna funzione? Assolutamente no. Vuol dire soltanto che dal 1848 le condizioni sono diventate molto più sfavorevoli ai combattenti civili, e molto più favorevoli all'esercito. Una futura lotta di strada potrà dunque essere vittoriosa soltanto se questa situazione sfavorevole verrà compensata da altri fattori. Essa si produrrà perciò più raramente all'inizio di una grande rivoluzione che nel corso ulteriore di essa, e dovrà essere impegnata con forze molto più grandi. Ma allora queste, come è avvenuto nel corso della grande rivoluzione francese, e poi il 4 settembre e il 31 ottobre a Parigi, preferiranno l'attacco aperto alla tattica passiva delle barricate."
Come si vede, non c'è in Engels nessun gramscismo ante-litteram (a differenza di quanto sostenuto da Texier e tanti altri - v. nota 24), nessuna teorizzazione della "guerra di posizione".

(35) Auguste Blanqui (1805-1881), straordinaria figura di rivoluzionario intransigente, passò metà della sua vita in carcere (era rinchiuso anche durante la Comune). Pur con le differenze di cui parliamo in questo articolo, in particolare ben sintetizzate da Trotsky nelle citazioni che riportiamo nel capitoletto "Marxismo e blanquismo", bisogna ricordare che dal blanquismo il marxismo riprende (e rielabora) il concetto di "dittatura del proletariato" così come quello di organizzazione "centralizzata". Nella bibliografia segnaliamo qualche titolo per chi voglia conoscere meglio il personaggio.

(36) Il tema della comparazione tra il blanquismo e il bolscevismo è affrontato da Trotsky nel terzo capitolo di Terrorismo e Comunismo (1920), Mimesis, 2011.

(37) Lev Trotsky, Storia della rivoluzione russa, citiamo dal capitolo "L'arte dell'insurrezione", pag. 1067 e sgg., Mondadori, 1969.

(38) Il giudizio di Stefano Petrucciani è contenuto nel saggio "Da Marx al marxismo attraverso Engels", pubblicato nella recentissima (2015) Storia del marxismo, in tre volumi, pubblicata da Carocci " (vol. I, pag. 11 e sgg.).

(39) L'articolo di Paul Kellogg è "Engels and the Roots of 'Revisionism': A Re-Evaluation" in Science and Society, 55, 1991.

(40) V. Arcary, As esquinas perigosas da historia, ed. Xamà, 2004. La nota citata è a pag. 280.

(41) V. Arcary, O encontro da revolucao com a Historia, ed. Xamà, 2006.

(42) Il tema del "testamento" di Engels è ripreso da Arcary anche nel suo più recente libro: O martelo da historia, ed. Sundermann, 2016. Ma pure qui il tema delle alterazioni del testo engelsiano non trova la necessaria spiegazione.

 

 

(*) Questo articolo è stato pubblicato, col titolo "Il 'testamento' falsificato di Engels. La leggenda più amata dagli opportunisti",

su Trotskismo oggi n. 9.

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