Irak: grazie alla resistenza
PER L'IMPERIALISMO E' ANCORA NOTTE FONDA
di Alberto Madoglio
Dopo tre anni di occupazione militare,
l'imperialismo americano in Iraq si trova in un pantano dal quale ha sempre più
difficoltà a tirarsi fuori: gli obiettivi politici e militari del post Saddam
Hussein non si sono realizzati; l'idea che "liberare" il Paese dalla dittatura
baathista avrebbe dato il via ad un processo di "democratizzazione" (cioè di
completo controllo coloniale Usa) che poi si sarebbe esteso a tutti i Paesi del
Medio Oriente, per arrivare fino all'Afghanitan e al Pakistan, è oggi solo una
illusione consegnata ai libri di storia.
Una sorte simile ha avuto il tentativo di dotare il Paese di istituzioni "democratiche" di tipo occidentale. Il governo e il parlamento nati dopo elezioni farsa svoltesi sotto occupazione straniera (ai pochi votanti venivano dati buoni per acquisto di generi alimentari), non riescono a svolgere nessuna funzione che non sia quella di dare una parvenza di legalità alla presenza americana di occupazione. Anche il tentativo di costituire un nuovo esercito e una nuova forza di polizia è a oggi senza alcun risultato, dimostrando che, come fu per il Vietnam, ogni ipotesi di "irachizzazione" del conflitto (cioè di una soluzione interna della crisi) è destinata a rimanere sulla carta.
Insomma, possiamo affermare che l'imperialismo statunitense sta subendo degli scacchi più o meno gravi per la sua egemonia, in varie zone del pianeta nelle quali pensava di poter agire indisturbato.
E' probabile che ora alla politica unilaterale proposta dai neo-conservatori se ne sostituirà una che preveda una azione maggiormente concertata con le altre potenze imperialiste (vedi Libano), pur continuando a riservare una posizione privilegiata a quella che, nonostante tutto, rimane la maggiore potenza politica economica e militare a livello mondiale.
La soluzione militare di sconfitta dell'imperialismo ad oggi può venire solo dalle organizzazioni della resistenza, ma anche da questo lato le prospettive sociali per i lavoratori e le masse popolari irachene non sono buone. Se alcune di queste forze prospettano la creazione di una teocrazia sul modello di quella al potere in Iran o Arabia, a seconda che esse siano di ispirazione sciita o sunnita, cioè di un governo altamente oppressivo e reazionario, le tendenze laiche dimostrano anch'esse tutti i loro limiti politici. In un'intervista apparsa su un quotidiano in lingua araba pubblicato a Londra, un leader di una di queste organizzazioni della resistenza ha detto chiaramente quali sono le loro rivendicazioni: nuove elezioni e la creazione di un governo di unità nazionale, cioè di collaborazione tra le varie fazioni etniche di borghesia e proletariato. Non una parola che riguardi un qualsivoglia programma di rivendicazioni sociali, su come risolvere la disoccupazione e la povertà sempre più diffuse, niente che riguardi il saccheggio di ricchezze fatto dalle multinazionali in questi anni (Eni in testa), nulla circa il riconoscimento dei diritti politici e sindacali ai lavoratori iracheni.
Pur schierandoci incondizionatamente al loro fianco nella coraggiosa lotta che stanno sostenendo contro le truppe di invasione, come rivoluzionari dobbiamo avanzare una chiara proposta politica fondata sull'indipendenza di classe del proletariato iracheno. Un programma politico basato su un programma di rivoluzione permanente, in cui cioè un partito rivoluzionario del proletariato iracheno si costruisca legando la lotta di liberazione dall'occupazione imperialista -che sta segnando già grandi risultati e avrà un effetto importante per la lotta di classe internazionale- alla lotta per l'emancipazione sociale delle classi sfruttate, emancipazione che può avvenire solo per mezzo della rivoluzione proletaria. Il compito dei comunisti in ogni Paese non può limitarsi dunque a un pur indispensabile sostegno alla resistenza irakena ma consiste nel porsi il problema di favorire la nascita di un partito comunista rivoluzionario, internazionalista, che possa legare una vittoria contro le truppe imperialiste a una sconfitta di quella borghesia irakena che è stata e continuerà a essere subalterna all'imperialismo.