Partito di Alternativa Comunista

Il Venezuela marcia verso il socialismo?

Il Venezuela marcia verso il socialismo?
 
 
La tendenza a cercare esaltazione e rifugio in realtà politiche lontane (almeno geograficamente) dalla nostra è assai diffusa. Da qualche tempo diversi settori della sinistra indicano come nuovo "modello" il Venezuela di Chavez, confortati dalle altisonanti dichiarazioni del presidente venezuelano. Ma quella che si presenta è una immagine di comodo della prospettiva "chavista": se viceversa si analizzano i fatti per quel che sono, si ha la conferma che a ogni latitudine non esistono surrogati alla costruzione di un partito e di un'Internazionale basati sul programma del marxismo rivoluzionario.
 

 

 

 

 

Presentiamo qui la traduzione in italiano di un documentato dossier pubblicato sul Correo Internacional, la rivista internazionale della Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale di cui il nostro partito è sezione italiana. Gli articoli prendono le mosse dalle dichiarazioni di Chavez, dopo la sua rielezione, secondo le quali il Venezuela starebbe iniziando "la fase della costruzione del socialismo" basata su alcune nazionalizzazioni e sulla costruzione del Psuv, (il Partito Socialista Unico del Venezuela).
 
Le nazionalizzazioni di Chavez
 
di Cesar Neto - Nacho Silva  
Sicuramente il maggior impatto è stato provocato dall'annuncio delle nazionalizzazioni (la prima delle quali inizia a concretizzarsi con l'acquisto dell'impresa elettrica Edc) che è stato appreso con entusiasmo dal popolo venezuelano e dalle masse latinoamericane. E' logico: dopo tanti anni di privatizzazioni, governi come quelli di Chavez o di Evo Morales sembrano iniziare a marciare nella direzione opposta. Quel che è certo è che, pur segnate dal carattere profondamente limitato e parziale imposto da questi governi, queste nazionalizzazioni contengono un elemento progressivo: recuperano per lo Stato, dalle tasche delle imprese straniere, parte del patrimonio nazionale che queste utilizzavano per saccheggiare il Paese. In questo senso, possiamo dire si tratta di un successo, anche se parziale, della lotta di molti anni dei popoli di questi Paesi.  
 
Il caso della Cantv  
 
Questa impresa telefonica è stata statale e monopolistica fino al 1991, quando fu privatizzata e comprata dal consorzio Venworld Telecom, dominato dall'impresa statunitense Verizon Comunications Inc. Al momento di farsi carico della Cantv, ridusse drasticamente il personale: licenziò 8 mila lavoratori e si impegnò a pagar loro la liquidazione secondo le leggi venezuelane (non meno di un salario minimo). Poiché non mantenne questo impegno pagandoli molto meno, i licenziati iniziarono azioni legali e una serie di mobilitazioni. D'altra parte, anche i negoziati telefonici, l'acquisto di azioni della Cantv in Venezuela, pagate in bolivares, ed il loro arrivo nella borsa di New York si convertì in una forma "legale" di saccheggiare risorse dal Paese. I giornali, nel rendere noti i pagamenti, parlano di dollaro ufficiale, dollaro parallelo e dollaro Cantv. Ricordiamo, anche, che i proprietari della Cantv hanno appoggiato il golpe dell'aprile 2002 e la serrata padronale che iniziò alla fine dell'anno.  
 
Un'azione molto limitata  
 
Per questo, la nazionalizzazione della Cantv e delle imprese di elettricità è molto più che giustificata. Ma ora crediamo sia necessario analizzare il carattere profondamente limitato e parziale delle misure.
In primo luogo, non si tratta di una"nazionalizzazione senza indennizzo", ma di un acquisto, in accordo con le norme accettate dal diritto borghese e dai criteri capitalisti. Nel caso della Cantv, la Verizon aveva messo in vendita le sue azioni, come parte di un piano di ristrutturazione continentale. Quello che tuttavia è in discussione e ha irritato il governo degli Usa, è il prezzo, perché Chavez chiese di considerare come pagamento il fatto che lo Stato venezuelano si sarebbe fatto carico dei licenziati. Per parte sua, per l'acquisto della compagnia elettrica Edc, si pagarono 730 milioni di dollari. I giornali informano del fatto che "l'operazione non causò maggiori controversie con la firma nordamericana. Il rappresentante dell'impresa che ha firmato l'accordo, Paul Narran, affermò: ‘crediamo fortemente nel Venezuela e nell'Edc come compagnia" (Clarìn, 10/2/07).
In secondo luogo, le nazionalizzazioni non si estendono ad altri settori chiave dell'economia dove le imprese imperialiste hanno un grosso peso, come la produzione di petrolio o l'industria automobilistica, dominata da General Motors, Ford, Mitsubishi e Toyota (con grandi benefici da parte dello Stato venezuelano).
D'altra parte il governo non richiede nessun tipo di controllo da parte dei lavoratori di queste nazionalizzazioni, né nell'acquisto né nella gestione delle future imprese statali. Per questo, è molto probabile che in queste si ripetano i negoziati che i principali quadri del chavismo stanno facendo per il Pdvsa e in altre aree dello Stato (a partire da quella che hanno iniziato a chiamare "borghesia bolivariana"  
 
Avanzare nella mobilitazione  
 
La conclusione è che queste nazionalizzazioni, sebbene contengano quegli elementi progressivi di cui abbiamo parlato, non sono parte di una vera politica antimperialista del governo di Chavez, e, ancora meno, un passo nella "marcia verso il socialismo".
Secondo tutta la nostra analisi precedente, per avanzare in questo cammino sarebbe necessario che le imprese fossero espropriate senza indennizzo e non acquistate (i loro proprietari hanno già saccheggiato il Paese per un valore molto maggiore di quello che perderebbero). Allo stesso tempo, se realmente si intendesse recuperare la sovranità economica del Paese, queste misure dovrebbero estendersi agli altri settori dell'economia, specialmente a quello petrolifero. Infine, affinché queste nazionalizzazioni portino un beneficio reale ai lavoratori e alle masse, dovrebbero essere poste sotto il controllo democratico dei lavoratori e delle loro organizzazioni, come i sindacati di ogni settore e la Unt (Unione Nazionale dei Lavoratori).
Non crediamo che Chavez avanzerà in queste misure. Al contrario, crediamo che vi si opporrà. Ma il popolo venezuelano confida in lui. Per questo, chiamiamo i lavoratori e le masse venezuelane a organizzarsi e a mobilitarsi per esigere che applichi questa politica. Se, come noi crediamo, Chavez non la porterà avanti, questa mobilitazione e questa organizzazione permetteranno che siano i lavoratori e le masse a prenderla direttamente in mano.  
 
Il settore petrolifero  
 
Nel 1995, Rafael Caldera iniziò la politica di "apertura petrolifera" e così tornarono le compagnie straniere, attraverso le "imprese miste" con la Pdvsa e l'integrazione di aree per lo sfruttamento esclusivo. In altre parole, eliminò il monopolio statale.
Contrariamente a quello che si crede, il governo di Hugo Chavez ha approfondito questa politica: ha creato nuove "imprese miste" tra Pdvsa (51% della proprietà) e le compagnie straniere (49%). D'altro canto, concesse loro altre zone di sfruttamento esclusivo, ora chiamate "associazioni strategiche". Sommando questi due meccanismi, la Conoco-Philips, la Chevron-Texaco, la Exxon-Mobil ecc... controllano il 40% della produzione del Paese e ottengono un guadagno di 11 milioni di dollari al giorno (4.015 milioni di dollari all'anno). Le misure annunciate recentemente elimineranno le concessioni e le trasformeranno in "imprese miste". Sebbene questo possa rappresentare una diminuzione della percentuale di petrolio controllato dalle compagnie straniere, implica anche il loro consolidamento nel paese, perché così ora diventeranno comproprietari dei pozzi che sfruttano nella Faja del Orinoco.
Nel caso del gas, fin ad ora poco sfruttato commercialmente ma con forti prospettive di crescita per il futuro "gasdotto latinoamericano", il governo ha dato in concessione completa a Chevron-Texaco, British, Statoli e Total i giacimenti ubicati nella Piattaforma Del tana, mentre la Gazprom (russa) ha ottenuto il progetto Rafael Urdaneta, nell'ovest del Paese.
Questa politica ha acquistato un carattere costituzionale: la Costituzione approvata nel 1999, anche se conferma che le azioni di Pdvsa possono essere solo statali, nell'articolo 303 autorizza a privatizzare parzialmente l'industria petrolifera attraverso "filiali, imprese e associazioni strategiche" che Pdvsa deve creare nel suo sviluppo.  
 
(traduzione dallo spagnolo di Leonardo Spinedi)  


Cos'è il socialismo del XXI secolo    
 
Segretariato Internazionale della Lit    
 
Hugo Chavez ha affermato che il Venezuela è entrato decisamente nella tappa di "costruzione del socialismo". Insieme ad alcune figure di intellettuali che lo accompagnano, lo chiama del "socialismo del XXI secolo", per rimarcare che avrà caratteristiche differenti sia dalla proposta più generale realizzata da Marx, nel secolo XIX, sia dalle esperienze che si realizzarono nel XX secolo in diversi Paesi. Il Venezuela dunque marcia realmente in questa direzione?  
 
Un cambiamento nella realtà latinoamericana  
 
Prima di entrare nel pieno del dibattito, ci pare importante segnalare che il fatto stesso che si sia prodotto mostra quanto siano cambiate la situazione latinoamericana e la coscienza delle masse del continente dalla decade del 1990. In questi anni dopo la caduta del Muro di Berlino e la sconfitta degli stati del  cosiddetto "socialismo reale", l'imperialismo ha lanciato una forte campagna ideologica sulla "morte del socialismo ed il "trionfo del capitalismo", che ha accompagnato un'offensiva generale fatta di privatizzazione di imprese statali ed attacchi alle conquiste sociali e lavorative ottenute negli anni precedenti, tanto nei Paesi dell'Est come in America Latina.
Questa politica fu presentata come il cammino per lo sviluppo economico e l'ingresso nel "primo mondo".
Una parte del movimento di massa latinoamericano, prima del collasso del cosiddetto "socialismo reale", credette per un periodo in queste idee e, come conseguenza, governi come quello di Fernando Enrique Cardoso in Brasile o di Carlos Menem in Argentina dominarono la scena.
Ma le bugie hanno le gambe corte, e in pochi anni le masse comprovarono che il risultato era solo un aumento della povertà e della miseria, come parte di una maggiore colonizzazione imperialista dei Paesi latinoamericani e che dovevano lottare contro questa politica ed i governi che la applicavano. Questo si espresse, all'inizio del XXI secolo, con l'aprirsi di continui processi rivoluzionari in vari Paesi (Ecuador, Argentina, Bolivia e Venezuela).
Queste lotte, con le loro rivendicazioni contro il capitalismo imperialista e la colonizzazione (rifiuto della dollarizzazione dell'economia, nazionalizzazione senza indennizzo delle risorse naturali, no al pagamento del debito estero, rottura col Fmi), tornarono a collocare il socialismo come una prospettiva necessaria per le masse.
Parafrasando Marx, il socialismo è un "fantasma" presente che si rifiuta di morire.  
 
Due alternative  
 
Le dichiarazioni e i discorsi di Chavez sono all'interno di questa nuova realtà continentale, e, per interpretare il loro significato, abbiamo due alternative. La prima è che Chavez stia guidando un processo che marcia realmente verso il socialismo. La Lit-Ci ed altri settori non capirebbero e, a partire da questa incomprensione, avrebbero una politica settaria e sbagliata.
La seconda alternativa è che Chavez non voglia avanzare nella costruzione del socialismo, ma sia  obbligato a utilizzarlo nei suoi discorsi, per la situazione che abbiamo analizzato, come un meccanismo per ingannare il movimento di massa. Sarebbe a dire: parla di socialismo per nascondere  il suo progetto che il Venezuela continui ad essere un Paese capitalista.
Crediamo che questa seconda alternativa sia quella che corrisponde alla realtà.  
 
Come affrontare il dibattito?  
 
Potremmo iniziare il dibattito con un riassunto delle analisi ed idee di Karl Marx, il primo a formulare la prospettiva della rivoluzione socialista basata su un'analisi scientifica del capitalismo e dei processi che in esso si sviluppavano (idee che dopo furono approfondite e messe in pratica da Lenin e Trotsky nella Rivoluzione Russa del 1917). Ci pare che questa sarebbe un'impostazione sbagliata che porterebbe il dibattito in un vicolo senza uscita. Non solo perché ci sono state altre esperienze che hanno seguito percorsi differenti (Jugoslavia, Cina, Cuba) ma anche perché la corrente chavista afferma che la sua proposta è differente da quella di Marx perché risponde ad una realtà diversa.
Per questo ci pare meglio inquadrare il problema, per così dire, a negativo. Cioè, analizzare le politiche e le misure portate avanti dal chavismo e verificare se queste rappresentano o no una rottura con il sistema capitalista-imperialista.  
 
La politica del chavismo  
 
Debito estero. Il Venezuela è uno dei più importanti Stati paganti dell'America Latina. Nei suoi primi otto anni il governo Chavez ha pagato un totale di 24.835 milioni di dollari (cifra superiore alla quantità ereditata). Solo nel 2006 circa 6.500 milioni, essendo questo Paese pioniere della moda del "pagamento anticipato". Oltretutto, il chavismo applica la politica portata avanti dall'imperialismo di convertire una parte del debito estero (i buoni del piano Brady) con nuovi buoni, che ora si contabilizzano come "debito pubblico interno" (tra il 1998 ed il 2004, quest'ultimo è cresciuto da 5.480 a 15.193 milioni di dollari). In cosa si differenzia questa politica da quella degli altri governi dei Paesi capitalisti semicoloniali del continente? Politica petrolifera. Si tratta di uno dei settori chiave perché è la base dell'economia venezuelana. In questo Correo Internacional analizziamo più dettagliatamente la politica chavista nel settore petrolifero. Quello che si evince da queste analisi è che questa politica fa si che la Pdvsa sia oggi in una situazione molto simile a quella di Petrobras, Petroecuador, Ypfb ed altre imprese latinoamericane. Sarebbe a dire, si è accantonato il monopolio statale e si è iniziato, in diversi modi, un processo di privatizzazione a favore delle imprese straniere. Interventi stranieri. Al di là delle oscillazioni congiunturali, la politica del chavismo è stata quella di offrire le migliori condizioni per l'intervento imperialista. Per esempio, l'articolo 6 della legge di protezione e promozione degli interventi definisce: "Le inversioni internazionali andranno verso un carattere giusto ed equo, conforme alle norme ed ai criteri del diritto internazionale e non saranno oggetto di misure arbitrarie e discriminatorie che ostacolino il loro mantenimento, gestione, utilizzazione, sfruttamento, ampliamento, vendita o liquidazione". Per questo, il deputato chavista Ricardo Sanguino, vicepresidente della commissione finanze dell'assemblea nazionale, dichiara che grazie alla politica incrementata dal governo, "il Venezuela sta nelle migliori condizioni per l'inversione straniera". Ciò si vede chiaramente, come abbiamo osservato, nell'industria automobilistica. Salari e condizioni di lavoro. Attualmente il salario minimo (guadagnato dalla maggioranza dei lavoratori) è di 250 dollari, mentre un paniere familiare più o meno completo si stima intorno ai 650 dollari. Il governo lo aggiorna periodicamente per l'inflazione, ma fin'ora non si è avuto un miglioramento reale, considerando i grandi introiti petroliferi del Paese. Le condizioni lavorative sono in generale pessime, in fabbriche obsolete che non hanno ricevuto inversioni importanti negli ultimi anni. Ricordiamo, infine, che il 50% della popolazione attiva si mantiene con fatica, col risparmio informale, senza che il governo chavista abbia modificato questa realtà. In cosa si differenziano queste politiche da quelle degli altri governi dei Paesi capitalisti semicoloniali del continente dei vari Lula, Kirchner, Tabaré Vázquez ecc...?  
 
Passi verso il socialismo?
 
Ci sono due aspetti importanti della sua politica che Chavez presenta come passi verso il socialismo: 1) Le nazionalizzazioni di imprese straniere, che analizziamo nell'altro articolo, e le imprese miste. Senza dubbio, si tratta di cose perfettamente normali nel sistema capitalista, dove molte volte si presenta la necessità di una associazione tra lo Stato borghese e le imprese private, o che lo Stato si faccia carico di qualche settore dell'economia, in un momento determinato. Se portassimo il ragionamento chavista fino in fondo dovremmo dire che tutti i Paesi latinoamericani hanno "elementi di socialismo" perche hanno imprese statali. E che li hanno anche Paesi imperialisti come la Francia, perché le ferrovie e alcune grandi imorese come la Citroen o la Renault sono statali.
2) Tantomeno le Missioni, attraverso cui una piccola parte della rendita petrolifera si converte in alcuni benefici per il movimento di massa, possono esser considerati come l'espressione di un avanzamento verso il socialismo. Molte volte, il capitalismo ha utilizzato questo meccanismo di politiche compensatorie per ammortizzare la lotta di classe e mantenere il sistema. In questo senso, le  missioni sono simili al salario minimo di molti paesi europei, ai sussidi per disoccupati in Argentina, alla "bolsa familia" di Lula, ecc...  
 
Due misure imprescindibili
 
Fin qui abbiamo visto che le politiche applicate da Chavez non rompono il quadro del capitalismo. Ora vogliamo riferirci a due questioni centrali per avanzare realmente verso il socialismo, quale che sia il "modello" che si intende applicare.
La prima è che un'economia che marci verso il socialismo deve sopprimere il principio cardine su cui si regge il capitalismo (la ricereca del guadogno da parte della borghesia) e rimpiazzarlo con una pianificazione economica statale e centralizzata, organizzata per soddisfare le necessità dei lavoratori e delle masse. Affinché questo piano possa funzionare è necessario che lo Stato espropri e assuma il controllo dei principali rami dell'economia, perché in caso contrario la borghesia e l'imperialismo combatteranno e boicotteranno permanentemente le direttive di questa pianificazione  economica. La possibilità di integrare le imprese imperialiste e di grandi gruppi nazionali nella "costruzione del socialismo" come propone il chavismo, non è che, nel migliore dei casi, un'illusione utopica. Nessuna classe o settore sociale abbandona tranquillamente i propri privilegi.  Al contrario, lotta ferociemente per difenderli, come dimostrano tutte le esperienze storiche in cui, in buona o cattiva fede, si è tentato di farlo.
Questo ci porta, di conseguenza, alla seconda questione centrale: non c'è modo di marciare verso il socialismo senza che, prima, non si sia sconfitto e distrutto il potere armato della borghesia. Quest'ultimo è il pilastro fondamentale dello Stato e del sistema capitalista, l'ultima riserva incaricata di difendere lo Stato e la proprietà capitalista quando tutti gli altri meccanismi hanno fallito. Sarebbe molto lungo elencare tutte le esperienze storiche che dimostrano questa affermazione. A positivo ed a negativo. Per questo, senza distruggere le forze armate borghesi per costruire una forma di organizzazione militare dei lavoratori e delle masse, non c'è nessuna possibilità di liquidare il capitalismo e di iniziare la costruzione di uno Stato si un nuovo tipo. Questo ci porta ad un problema centrale: si può sperare che Chavez, prima alto ufficiale delle FF.AA. borghesi ed oggi loro massimo comandante, sia colui che porterà avanti la loro distruzione?  Evidentemente no. Al contrario, vediamo che la sua politica è stata quella di ricomporle e rafforzarle, dopo la profonda crisi che hanno vissuto con il Caracazo, nel 1989, acutizzata dal fallimento del golpe del  2002. Per questo, ha perdonato gli ufficiali che guidarono il golpe, ha attuato un forte aumento salariale per i militari, li ha dotati di nuove armi e mezzi tecnici, ecc...  
 
Un programma per  il socialismo
 
Non possiamo qui sviluppare per esteso un programma di misure che riteniamo necessarie per avanzare realmente verso il socialismo. Per questo segnaleremo appena quelle che riteniamo centrali: smettere di pagare il debito e rompere con il Fmi, annullare i contratti firmati da Pdvsa con le imprese imperialiste, espropriare senza indennizzo le imprese e le banche impersialiste ed i grandi gruppi economici venezuelani (come Cisneros e Mendoza). Oltre a questo, pensiamo che tutto il processo debba essere sotto il controllo dei lavoratori e del popolo, affinchè, nei loro organismi (soviet, consigli o assemblee popolari) discutano e decidano democraticamente come applicare i provvedimente e come utilizzare la ricchezza che si produce. Allo stesso tempo, riaffermiamo la necessità di distruggere le forze armate borghesi e di formare un'armata militare dei lavoratori e delle masse .
Attualmente, Hugo Chávez mantiene una stretta amicizia con Fidel Castro. Senza dubbio, entrambi sembrano aver dimenticato gli insegnamenti dell'esperienza cubana del 1959-1961. L'Ejército Rebelde sconfisse e distrusse le forze armate di Fulgencio Batista e dopo espropriò le imprese dell'imperialismo e della borghesia cubana. Questa fu la base che permise  a Cuba, uno dei Paesi più poveri del continente, di superare in pochi anni i peggiori mali del capitalismo, come la carestia, la miseria, l'alfabetismo e la mortalità infantile. Purtroppo, la stessa direzione cubana, guidata da Fidel, oggi ha restaurato il capitalismo nell'isola, e molti di questi mali  iniziano a ricomparire.
Quel che è certo  è che  Chávez applica la politica del Fidel restaurazionista, e non del Fidel riivoluzionario. Per questo, non solo non porterà avanti queste misure, ma gli sarà contrario. La conclusione è che l'unica strada reale per avanzare verso il socialismo in Venezuela sarà quello dell'organizzazione e della moblilitazione rivoluzionaria indipendente dei lavoratori e delle masse, in lotta contro il governo di Chavez e la sua politica.  
 
(traduzione dallo spagnolo di Leonardo Spinedi)  


Perché ci opponiamo al Psuv    
 
di Alejandro Iturbe  
 
Tra gli atti principali di Chavez vi è stata la formazione del Psuv (Partito Socialista Unico del Venezuela). Tutte le organizzazioni e i settori che appoggiano Chavez dovrebbero integrarsi in esso e inquadrarsi nella sua struttura. Dato che questa proposta è stata fatta contemporaneamente all'annuncio della "fase di costruzione del socialismo", il Psuv (di qui il suo nome) viene presentato come l'organizzazione politica che guiderà questa "fase".
Al contrario, noi crediamo che gli obiettivi reali del Psuv e il suo contenuto di classe come organizzazione siano altri, ben diversi.  
 
Il "bonapartismo sui generis"  
 
In questa stessa edizione del Correo Internacional  caratterizziamo il Venezuela come un Paese capitalista semi-coloniale e analizziamo come la politica di Chavez non intenda modificare questa situazione. Ciò significa che Chavez guida un apparato statale e un regime politico il cui obiettivo è difendere il sistema capitalistico. Per questo il Psuv sarà, fin dalla sua costituzione, un partito borghese, costruito dallo Stato borghese e con una direzione borghese, quantunque la sua base sia operaia e popolare.
Il progetto del Psuv non rappresenta, in realtà, nessuna novità storica in quanto assomiglierà molto a ciò che fu il peronismo argentino, il Pri messicano o i partiti del nazionalismo arabo. Questi partiti guidarono un tipo di regime politico che Trotsky chiamò "bonapartismo sui generis". Sono espressione delle borghesie di Paesi arretrati che cercano un appoggio nel movimento di massa per provare a compensare la propria debolezza di fronte all'imperialismo, e poterlo così "ricattare" per riuscire a ottenere un margine meno stretto di "indipendenza".
Ma nel fare ciò, questi regimi giocano col fuoco perché vi è il serio pericolo che la mobilitazione delle masse cresca in direzione di un processo indipendente e rivoluzionario che infranga il quadro dello Stato borghese. Di qui la necessità imperiosa per questi regimi di esercitare un ferreo controllo sulle masse, di costruire "dighe di contenimento" per evitare che l'energia delle masse "straripi".
I movimenti come quello di Chavez utilizzano due strumenti classici per controllare la mobilitazione delle masse. Il primo è la trasformazione delle strutture sindacali in un apparato statale completamente dominato dal governo, attraverso i suoi agenti, e senza nessun margine (o con margini ristretti) di democrazia operaia. L'altro strumento chiave è quello della costruzione di un partito ultra-centralizzato attorno a un leader o a una direzione con poteri illimitati. Le conquiste o concessioni che governi di questo tipo fanno alle masse sono un modo per guadagnare il loro sostegno e, al contempo, per giustificare questo controllo assoluto.  
 
L'esempio del peronismo  
 
Una vicenda della storia argentina è una chiara dimostrazione di come una direzione borghese controlla e disciplina le masse. Nella sua prima vittoria elettorale, nel 1946, Peron si basò sul Partito Laburista, organizzato dai sindacati e sostenuto dalla burocrazia sindacale. Dopo il suo trionfo, Peron sciolse questo partito, incarcerò divesi dei suoi principali dirigenti che si opponevano (come Cipriano Reyes) e costituì il Partito Giustizialista, rigidamente sottoposto alla sua direzione personale. In effetti, nonostante l'appoggio leale alla sua candidatura e al suo governo, il Partito Laburista rappresentava un pericoloso processo di organizzazione operaia indipendente.  
 
Una necessità acutizzata  
 
Nel caso del chavismo questa necessità di controllare le masse è acutizzata dal fatto che le masse hanno fatto l'esperienza di due grandi mobilitazioni rivoluzionarie indipendenti: il caracazo (1989) e la lotta contro il golpe e la serrata padronale (2002-2003). Per questo, il vero obiettivo del Psuv non è certo quello di "alimentare la rivoluzione" e dirigere la "fase della costruzione del socialismo" [citazioni dai discorsi di Chavez, ndt] quanto piuttosto quello di ingabbiare e disciplinare il movimento dal basso sotto la direzione borghese del comandante Chavez e della sua politica di freno al processo rivoluzionario. Il primo passo per fare ciò è irregimentare tutti i quadri e le organizzazioni "chaviste autonome", specialmente la Unt (Unione Nazionale dei Lavoratori).  
 
La nostra posizione  
 
Per questi motivi ci opponiamo all'ingresso delle organizzazioni operaie nel Psuv, tanto più che l'ingresso è sollecitato dallo Stato e dal governo. Difendiamo il diritto di tutte le organizzazioni politiche, sociali e sindacali a rimanere fuori dal Psuv.
Al contempo, di fronte alla proposta di formare il Psuv, sosteniamo, viceversa, la necessità di costruire un partito dei lavoratori, indipendente da ogni settore borghese, ivi incluso il governo chavista. In questo quadro sosteniamo la necessità della costruzione di un partito operaio rivoluzionario che lotti per il vero socialismo, contro la politica dello chavismo che consiste nel mantenere il capitalismo in Venezuela.  
 
Chavez trotskista?  
 
Recentemente la stampa ha pubblicato un dialogo di Hugo Chavez con il suo appena designato ministro del Lavoro, in cui il presidente venezuelano esprime simpatia per il trotskismo e per l'idea della rivoluzione permanente.
In realtà Chavez non ha nulla di trotskista e non basa la sua politica sulla concezione della rivoluzione permanente, visto che essa è la teoria-programma che Lev Trotsky elaborò per orientare la rivoluzione socialista mentre Chavez nei fatti mantiene il Venezuela come Paese capitalista.
Comunque, alcuni trotskisti hanno preso le parole di Chavez alla lettera. E' il caso della deputata Luciana Genro, dirigente del Mes, corrente del Psol brasiliano, la quale ha dichiarato: "Ci riempe di orgoglio che il presidente Chavez (...) abbia affermato di essere anche trotskista, sostenitore della linea della rivoluzione permanente di Trotsky."
In realtà non è Chavez che è diventato trotskista ma sono, purtroppo, diversi trotskisti che sono diventati chavisti.  
 
(traduzione dallo spagnolo di Francesco Ricci)  

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