Davvero il capitalismo
Come donne comuniste e rivoluzionarie, vogliamo recuperare il senso più profondo del 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, una data storica istituita a partire dalla vicenda delle sorelle Mirabal, seviziate e uccise perché si opponevano ad una dittatura voluta e sostenuta dal capitalismo, una data di lotta, di lotta di classe, delle donne povere e sfruttate contro un sistema che le vuole ai margini, oppresse e succubi, perché questo consente un maggior controllo e una maggiore possibilità di sfruttamento dell’intera classe lavoratrice.
Le donne sono oggi la metà della classe lavoratrice di tutto il mondo e sono sempre più inserite nella produzione sociale. Tuttavia, questa incorporazione nel mercato del lavoro si è sviluppata nel tempo con livelli di disuguaglianza salariale enormi, con impieghi peggio pagati, con peggiori condizioni lavorative e molte volte fuori dal mercato formale. Tale disuguaglianza lavorativa storica si è approfondita in conseguenza della crisi economica mondiale tanto che spesso sono le prime ad uscire dal mercato del lavoro per lasciare posto agli uomini.
A ciò si associano i tagli alla spesa pubblica e la privatizzazione dei servizi che colpiscono più duramente le donne poiché riguardano i settori professionali (sanità, istruzione, servizi di cura e alla persona) in cui sono maggiormente occupate e la cui mancanza viene spesso sopperita in prima persona: le carenze nei servizi vengono infatti compensate da ogni donna individualmente, secondo un’idea, socialmente condivisa, di “sussidiarietà” con cui viene ratificata la clausura delle donne nella sfera privata della cura familiare e del lavoro domestico. Particolarmente grave in un contesto sociale in cui la vita è più difficile per le donne, in particolare per le madri, è l’attacco ai diritti e alle libertà individuali in tema di maternità, di sostegno alla gravidanza, di diritto all’aborto, di contraccezione, di educazione sessuale.
Il capitalismo in crisi, nella logica del “profitto ad ogni costo”, spinge le donne ai margini, fino all’interno della casa, non avendo più bisogno di loro. Le condizioni materiali di una società basata sul profitto e sullo sfruttamento della maggioranza dell’umanità causano oppressione e violenza. La differenza innegabile che esiste tra gli esseri umani e che di per sé non sarebbe un problema, viene utilizzata per sottomettere o mettere in svantaggio le donne, creando così la scusa perfetta per giustificare tutti i tipi di violenza maschilista che porta persino all'omicidio delle donne da parte dei loro compagni: donne uccise “in quanto donne” perché la loro colpa è stata quella di aver trasgredito al ruolo ideale di donna obbediente, brava madre e brava moglie; donne che si sono prese la libertà di decidere cosa fare delle proprie vite, di essersi sottratte al potere e al controllo del proprio padre, partner, compagno, amante e per la loro autodeterminazione, sono state punite con la morte. Ma anche stupri, tentati stupri, aggressioni sessuali e maltrattamenti domestici non diminuiscono affatto; senza contare le minori vittime di mutilazioni genitali e matrimoni forzati.
Ciò che però le cifre e le statistiche non dicono, è che esiste un sommerso di violenze “ordinarie” su bambine, ragazze e donne di drammatiche proporzioni, nel quale rientrano anche forme più subdole, meno eclatanti, che annientano la soggettività della donna sul piano psicologico, economico e sociale, con conseguenze insidiosamente distruttive di vasta portata. La violenza sulle donne è la molestia sessuale sul posto di lavoro o di studio. È la pubblicità e la propaganda che pone le donne come oggetti sessuali. È il traffico di esseri umani a scopi sessuali che riguarda per l'80 per cento le donne. È l'uso del corpo femminile come un trofeo di guerra, esibito come simbolo del potere dei conquistatori e sottomissione dei popoli e delle nazioni vinti. È negare l'asilo alle famiglie e alle donne con i loro bambini che dopo viaggi estenuanti e pericolosi raggiungono i confini dei Paesi europei e sono ripagate con altra violenza e con la repressione da parte degli apparati di polizia.
La radice della violenza contro le donne è da ricercare nel sistema capitalista putrefatto che utilizza l’ideologia maschilista per sfruttare, opprimere e discriminare in generale i più deboli della società, nel caso le donne. Il capitalismo si nutre della innata differenza tra uomini e donne e la utilizza per dividere la classe lavoratrice e per trarne il maggior profitto. Questo sistema non può e non vuole risolvere la questione di genere perché su queste differenze si basa il controllo sociale di una classe su un’altra. L’ondata di violenza che ha investito l’universo femminile mondiale, non è frutto di un’emergenza, ma la conseguenza di scelte precise, operate da un sistema in crisi, quello capitalistico, che cerca di autoconservarsi. E’ perciò ipocrita pensare che lo stesso Stato capitalista che contribuisce a creare e a fomentare questa situazione di isolamento domestico delle donne, questa mancanza di autonomia economica e di autodeterminazione, possa poi tutelarle nei loro diritti. Le condizioni di miseria e di povertà sono il terreno ideale perché la violenza ed i maltrattamenti verso le donne si esasperino.
Come donne proletarie, oppresse e sfruttate, siamo chiamate a partecipare alle mobilitazioni che verranno organizzate su questo tema perché lotteremo fino alla morte per sconfiggere la violenza maschilista e l’oppressione della donna.
È necessario trasformare questa giornata in un momento di lotta contro le cause concrete della violenza, ma, soprattutto, contro il sistema capitalista che promuove guerre, genocidi e sfruttamento contro i popoli, rendendo il mondo sempre più pericoloso per le donne, specialmente per le più povere, le nere, le immigrate e le lavoratrici di tutti i Paesi; contro i governi che ingannano le donne con le loro politiche di empowerment e di welfare, lasciando credere loro che questa è la via per risolvere il problema dell’oppressione e della violenza, mentre scaricano sopra alle spalle dei lavoratori e dei poveri, i loro violenti piani di miseria e sfruttamento.
E’ necessario avviare un percorso di lotta in grado di estendersi a tutti i settori della classe lavoratrice, in cui siano chiamati a partecipare, esprimendo solidarietà alla condizione femminile, anche gli uomini, perché non c’è liberazione dell’umanità che non passi per la liberazione della donna. È attraverso l'unità della classe lavoratrice sulla base di una comune posizione di classe indipendente da genere, razza od orientamento sessuale, e con la lotta per le mete comuni del socialismo che si abbatte il pregiudizio. La lotta per il socialismo si basa sul potere dei lavoratori – non maschi o femmine, ma tutti i lavoratori. In questa lotta ogni lavoratore ha un ruolo fondamentale e una vittoria dei lavoratori di sesso maschile sarà impossibile senza una eguale lotta da parte delle lavoratrici. Il sistema economico socialista rende impossibili le basi materiali per l'oppressione di genere, e la lotta per instaurarlo abbatterà i pregiudizi sessisti dimostrando nella prassi l'uguaglianza tra uomini e donne.