Verso lo sciopero del 22 giugno
No alla "riforma del lavoro"
Cacciamo il governo dei banchieri
La "riforma" del lavoro Monti-Fornero è stata approvata in Senato. Ora la discussione passa alla Camera, dove nulla cambierà nella sostanza. Si tratta di uno dei più pesanti attacchi alla classe lavoratrice dal dopoguerra ad oggi, che arriva dopo decenni di manovre, leggi finanziarie che hanno progressivamente eroso i diritti conquistati dai lavoratori con le lotte degli anni Sessanta e Settanta. I governi di centrodestra, di centrosinistra e "tecnici", in ossequio alla volontà del grande capitale industriale e dei banchieri, hanno messo in discussione prima il diritto ad un lavoro a tempo indeterminato (governo Prodi), poi il contratto nazionale di lavoro (governo Berlusconi), ora persino le minime tutele contro il licenziamento, con la cancellazione dell'art. 18 (governo Monti).
La "riforma" Monti-Fornero è simile alle misure di austerità che stanno applicando gli altri governi europei su mandato della Troika (Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo onetario internazionale): ai governi con un alto debito pubblico viene richiesta l'attuazione di misure che lascino la massima libertà al mercato e allo sfruttamento padronale. Parallelamente, si porta a compimento l'opera di smantellamento dello stato sociale, con tagli miliardari alla spesa pubblica (la spending review, come eufemisticamente vengono definiti questi tagli indiscriminati). Se la riforma del lavoro verrà approvata, le aziende avranno la massima libertà di licenziare e nessun lavoratore avrà più alcuna garanzia di continuare a lavorare. Come ha precisato Monti, “solo in casi rarissimi ed eccezionali” i lavoratori avranno diritto al reintegro. Contemporaneamente, dopo aver approvato una "riforma" delle pensioni che ha drasticamente allungato l'età pensionabile, con questa "riforma" il governo oggi riduce persino i sussidi di disoccupazione e la cassa integrazione. E non è che l'inizio. La Fornero ha già annunciato l'intenzione di estendere la libertà di licenziamento anche ai lavoratori del pubblico impiego, già pesantemente tartassato: dal licenziamento di 180 mila precari della scuola all'introduzione della mobilità obbligatoria, dal blocco del turn over al blocco degli scatti stipendiali.
Ma
se le misure di austerità dei governi dei Paesi europei che si sono indebitati
per finanziare banche e imprese sono simili, molto diversa è la reazione da
parte dei lavoratori. Mentre in Grecia specialmente, ma anche in Spagna e
Portogallo, le masse sono scese in strada bloccando il Paese e portando avanti
azioni di sciopero prolungato, in Italia la reazione dei lavoratori non è stata
adeguata all'attacco in corso. Questo a causa anzitutto dell'operato delle
burocrazie sindacali di Cgil, Cisl e Uil che ancora esercitano un forte
controllo sulla maggioranza della classe lavoratrice. Mentre Bonanni e
Angeletti si sono limitati a qualche lamentela, approvando di fatto tutte le
nefandezze del governo Monti dopo aver sostenuto quelle di Berlusconi, la
Camusso ha chiamato a una mobilitazione meramente simbolica: scioperi
frammentati, di categoria, organizzati in giorni diversi in città diverse. E'
mancata la proclamazione dello sciopero generale e ora, a tempo quasi scaduto, Cgil,
Cisl e Uil annunciano un'altra innocua manifestazione nazionale il 16 giugno.
La
direzione della Fiom dopo lo sciopero generale di marzo ha messo in campo solo
azioni di sciopero a livello loocale, rinunciando a una mobilitazione su scala
nazionale e prolungata. E oggi si limita a proclamare manifestazioni meramente
simboliche il 13-14-15 giugno, senza prendere posizione sullo sciopero generale
del 22 giugno indetto dai sindacati di base. Questo conferma la subalternità
della direzione di Landini al progetto governista della sinistra di Vendola che
punta a un nuovo centrosinistra nonostante le precedenti disastrose esperienze
dei governi Prodi.
Anche
se in ritardo, i sindacati di base hanno proclamato lo sciopero generale per il
22 giugno.
E'
fondamentale partecipare a questa data, trasformando lo sciopero in un'azione
di lotta prolungata fino a piegare il governo, per respingere gli attacchi di
Monti e della Troika, nella prospettiva di un'alternativa di classe.