Stellantis: l’Italia alla vigilia del massacro
di Diego Bossi (operaio Pirelli)
Non mi ero ancora abituato a chiamarla Fca che in men che non si dica è arrivata Stellantis, magari tra qualche mese il colosso industriale dell’automotive inghiotte qualche altro marchio e si chiamerà Galattica, chi può saperlo? A ben vedere il nome in sé non sarebbe così importante, se non fosse che un nome si porta dietro una storia e quando viene pronunciato o scritto ha un valore evocativo.
Così, mentre i padroni per eccellenza dell’Italia industriale si ingrandiscono e si fondono con altri gruppi di produttori di automobili, oltre a scaricare per strada migliaia di operai, si scaricano di dosso il peso di quel nome ingombrante intriso di storia, quasi a rifarsi una verginità per proiettarsi nel futuro con una veste di modernità: suvvia, il mondo cambia, non rimaniamo ancorati al passato, guardiamo avanti: «Stellantis», pare il nome di un’astronave che viaggia nell’universo, dà sicurezza, cosa mai potrà scaturire di negativo da un nome così?
Sì, il mondo cambia ed è un mondo sempre più invivibile per la classe operaia; e no, non ci importa come vi volete chiamare, noi il vostro nome ce lo ricordiamo bene, è l’acronimo di Fabbrica italiana automobili Torino: Fiat, di proprietà della famiglia Agnelli dall’inizio del secolo scorso.
Questo non è un saggio storico né un mio vezzo nostalgico da tributare ai tempi che furono, ma ricordare che quando parlo di Stellantis (già Fca) sto parlando di Fiat, significa evocare la storia di una delle peggiori borghesie italiane, che ha piegato ai suoi desiderata i governi succhiando un numero indefinito di miliardi pubblici in incentivi, sussidi e acquisizioni a prezzi stracciati di altre industrie; che ha fatto scuola di sfruttamento aprendo varchi per l’intero padronato italiano e che ha portato sotto il suo controllo la rappresentanza sindacale.
Ma quando parlo di Fiat parlo anche dei suoi operai, di quella gloriosa classe operaia protagonista della lotta di classe in Italia; e la storia della lotta di classe, è la storia dell’umanità.
La fusione, il prestito e il massacro occupazionale
In un precedente articolo scritto per Progetto comunista abbiamo spiegato che le fusioni industriali, presentate dai padroni come occasioni di rafforzamento e crescita per dare stabilità e certezze a tutti i lavoratori, in realtà rispondono alle sole esigenze della borghesia di superare le crisi generate dal loro stesso sistema capitalista, licenziando migliaia di operai e riducendo i salari e i diritti di quelli che non licenziano. Per fare ciò, ossia per mettere in pratica ristrutturazioni che hanno un violentissimo impatto sociale come quella che sta attuando Stellantis, i padroni necessitano dell’aiuto del governo, dei media e delle direzioni dei maggiori sindacati confederali. Senza questi elementi il piano del padrone non potrebbe nemmeno lontanamente realizzarsi, ma questo concetto, che ritengo sia il più importante, lo riprenderò più avanti. Tornando alla fusione Stellantis, Fca aveva chiesto e ottenuto un prestito di 6,3 miliardi dallo Stato italiano a condizioni molto vantaggiose, motivando la richiesta con la scusa di dover far fronte ai pagamenti della rete di fornitori. Subito dopo la fusione col gruppo Psa, le cronache ci raccontano di una lettera inviata ai fornitori dell’indotto torinese, in cui la Direzione della neonata Stellantis scrive che Fca aveva scherzato e siccome la piattaforma delle nuove produzioni sarà quella di Psa, ordina di sospendere tutte le forniture in essere fino a nuove disposizioni: poco importa se l’indotto Fca della provincia di Torino e del Piemonte conta 58 mila lavoratori. Oggi quel prestito di 6,3 miliardi a interessi zero è stato restituito da Stellantis che ha ottenuto a condizioni molto meno vantaggiose una linea di credito di 12 miliardi da 29 banche internazionali. Questa, che pare una contraddizione inspiegabile, in realtà ha una spiegazione molto chiara: Stellantis si è liberata dalla zavorra di un prestito subordinato al rispetto dei vincoli di mantenimento dei livelli occupazionali e di reinvestimento nelle imprese italiane e, pur rinunciando a migliori condizioni economiche del prestito, ha chiesto un’apertura di credito che le lasciasse mano libera sui licenziamenti; e stiano pur certi i nostri lettori che questi licenziamenti arriveranno eccome, tant’è che da un documento interno a Stellantis è trapelata una prima stima di 12 mila esuberi nella sola Italia.
Le crisi nascoste dai media borghesi
Questa estate i giornali borghesi hanno pompato i dati di ripresa di Stellantis riportando un innalzamento in termini assoluti delle vendite: un giochetto fin troppo facile da smascherare poiché l’anno di confronto era il 2020, quello del pieno scoppio della pandemia, dove ancora non si registravano gli effetti di tutto l’impianto retorico orchestrato dalla borghesia tramite i suoi media e i suoi governi per instillare nelle masse la percezione del ritorno alla normalità, stimolando così la compravendita. Vale la pena fare un breve excursus sui media, perché non a caso i principali quotidiani a tiratura nazionale, che a loro volta dettano o influenzano l’informazione televisiva, sono totalmente controllati dalla borghesia: La Stampa e tornata nelle mani della famiglia Agnelli che non ha perso l’occasione di comprare anche la quota che li ha portati ad avere la maggioranza del gruppo editoriale che controlla La Repubblica, L’Espresso e altri 13 importanti quotidiani locali, nonché un polo di radio che comprende Radio Deejay e Radio Capital; Il Sole 24 ore è uno dei principali quotidiani economici nel panorama internazionale ed è controllato da Confindustria; il Corriere della sera è controllato da Cairo, Mediobanca, Luxottica, Generali, Pirelli, Mediolanum, Tod’s, Piaggio, Bialetti, Italo NTV ecc. Serve sapere altro su chi controlla l’informazione e quali interessi tutelerà quest’ultima?
Ma la «percezione» delle masse ha le gambe corte e si scontra presto con la realtà, per quanto i padroni abbiano il potere di pilotare l’informazione per raccontare le loro favole, la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro, l'impoverimento generale delle masse popolari sono le conseguenze materiali di una crisi economica che esiste; per quanto vogliano convincerci che la battaglia contro la pandemia sia prossima alla vittoria, il Covid-19 continua a circolare, a riempire gli ospedali e a uccidere.
La realtà è la realtà, puoi mascherarla fino a quando non ci sbatti contro. E la realtà di Stellantis è molto preoccupante.
La «cura dimagrante» di Tavares, il top manager che ha detto, senza alcuna vergogna, di essere felice, si è già abbattuta su centinaia di precari che «felici» di aver perso il posto di lavoro non sono. Oltre alla ristrutturazione sulla filiera produttiva sono già note le annunciate misure che ridimensioneranno notevolmente l’intera rete di vendita e assistenza in Europa.
La Sevel e gli altri stabilimenti fermi
Gli stabilimenti italiani sono praticamente tutti fermi, il macigno della crisi dei semiconduttori per i chip delle centraline elettroniche sta paralizzando il settore automotive mondiale, l’unico stabilimento italiano che aveva scampato la cassa integrazione, la Sevel di Atessa, che conta 6000 lavoratori, oltre ad aver subìto fermate per le mancate forniture di chip, sarà costretto a ridurre le ore lavorate causando una «eccedenza» di oltre 900 lavoratori che in queste ore stanno perdendo il lavoro, un dramma nel dramma, dove 380 precari non verranno riconfermati e 653 operai in trasferta da altri siti in cassa integrazione verranno rispediti a casa a cercare di mettere insieme il pranzo con la cena coi pochi soldi di un sussidio che garantisce risparmi milionari ai padroni. Ma parliamo anche dell’uso politico della cassa integrazione, gestita discrezionalmente dai padroni per colpire i lavoratori più attivi in ambito sindacale o comunque coloro che non piegano la testa e non fanno i lacchè del capetto di turno.
Incombe poi la preoccupante questione del futuro dello stabilimento abruzzese e della relativa tenuta economica e occupazionale della Val di Sangro, poiché lo stabilimento polacco di Gliwice, entro la primavera del 2022, avvierà la produzione di veicoli commerciali leggeri (ora prodotti alla Sevel); una produzione che a regime arriverà a sfornare 100 mila furgoni l’anno e si avvarrà di tecnologie e macchinari di ultima generazione che permetteranno di ridurre drasticamente il personale necessario al padrone.
Molto preoccupante rimane la situazione per gli altri stabilimenti, gli annunci trionfalistici dell’ennesimo piano industriale, presentati dai soliti pennivendoli proni al padrone come un tripudio alla ripresa, si schiantano anch’essi contro il muro della realtà, così Grugliasco, Melfi, Cassino e Pomigliano stanno annaspando da anni per riemergere in superficie, oggi si chiamerà pure «Stellantis», ma devo chiamarla «Fiat» per evocare decenni di piani industriali falliti, promesse tradite, annunci di modelli mai visti, poli industriali dismessi e trasformati in centri commerciali e parcheggi e decine di migliaia di operai scaricati per strada.
I nostri nemici: conoscerli per riconoscerli
Voglio tornare sul ruolo che i governi e le direzioni dei maggiori sindacati confederali hanno nella lotta di classe, come anche sul ruolo dei media e della stampa, poiché, come in ogni guerra, è necessario distinguere e riconoscere nemici e traditori, per poter combattere i primi e non riporre fiducia nei secondi.
La guerra di classe non ce la siamo inventata noi, la guerra di classe c’è, è reale, concreta, palpabile, lascia scottature e ferite sulla pelle di ogni lavoratore salariato che abita il mondo. Ovunque i lavoratori dovranno lottare per ottenere salari dignitosi, carichi e orari di lavoro umani che permettano loro di vivere; ovunque, per converso, i padroni cercheranno di massimizzare i loro profitti cercando di ridurre i salari, di aumentare la produttività per singolo lavoratore e di allungare al limite del possibile le giornate lavorative. Ma questo tiro alla fune tra padroni e lavoratori si disputa anche sul campo della sicurezza, dell’ambiente, della sanità, perché i costi della messa in sicurezza di un macchinario non generano profitto, così come i costi per il rispetto dell’ambiente, per non parlare della salute e della vita, dove i padroni non hanno fermato la produzione nemmeno per proteggere i lavoratori da una pandemia che ha mietuto milioni di vittime in tutto il mondo. Come può succedere tutto questo? Com’è possibile che una minoranza di miliardari pieghino l’intera umanità alle loro esigenze di profitto? Com’è possibile che due famiglie (Agnelli e Peugeot) si arricchiscano sfruttando mezzo milione di lavoratori in tutto il pianeta? Com’è possibile che migliaia di operai, dopo anni che si sono rotti la schiena nelle fabbriche, vengano scaricati in mezzo a una strada? La risposta è molto semplice e ve la anticipo subito: non potrebbero mai farcela da soli. La borghesia ha bisogno di un governo che sia la loro espressione organizzativa, giudiziaria, militare; ha bisogno di convincere, attraverso i suoi media, che la lotta di classe sia roba d’altri tempi; ha bisogno di dividere e indebolire i lavoratori, alimentando il maschilismo, il razzismo la lgbtfobia; ha bisogno di legalizzare il suo sfruttamento attraverso il suo parlamento, di accollare perdite e spese strutturali al suo Stato; di fare una «giustizia» compatibile col suo sistema attraverso i tribunali; di usare i suoi eserciti dell’ordine borghese per reprimere con la forza le lotte operaie. La borghesia ha bisogno di organi di «informazione» che quotidianamente propinino una narrazione dei fatti e degli avvenimenti funzionale ai loro interessi.
Ma soprattutto il padrone ha bisogno di dirigenti sindacali venduti, per corromperli e piegarli ai propri interessi, esattamente come ha fatto la Fca capitanata da Marchionne negli Usa, corrompendo i dirigenti del sindacato Uaw. Questi dirigenti sindacali, noi operai, li conosciamo bene; Lenin un secolo addietro li definiva «agenti della borghesia nel movimento operaio». Questi dirigenti abili a condurre le lotte alla disfatta o, nella migliore delle ipotesi, a vittorie effimere che il capitale si rimangerà appena possibile; questi traditori del megafono in piazza e della penna nel palazzo vanno disconosciuti dalla classe operaia, la loro firma è posta in calce ai peggiori accordi e ai peggiori contratti nazionali, il loro silenzio ha preceduto i peggiori attacchi dei padroni e dei loro governi, la loro finta indignazione è giunta sempre tardiva e ipocrita. Questi dirigenti sindacali, nella lotta di classe, hanno tradito la classe che avrebbero dovuto rappresentare.
La via d’uscita
Cosa possiamo fare se pure i sindacati che dovrebbero difenderci ci tradiscono? Per prima cosa è importante dire che i sindacati sono importanti e rispondono a un’esigenza immediata dei lavoratori di organizzarsi per migliorare le loro condizioni economiche e normative. Detto ciò, è importante ribadire che i sindacati, per assolvere il loro compito, devono essere l’espressione organizzativa dei lavoratori in lotta che pongono alla loro testa le avanguardie operaie coscienti: i lavoratori devono sapere che nessuno farà giustizia al posto loro, la delega in bianco a funzionari e rappresentanti solitamente non paga, il padrone sa bene come portare costoro dalla sua parte, offrendo piccoli e grandi privilegi, col risultato che i rappresentanti, in men che non si dica, cambiano il soggetto da rappresentare: nella migliore delle ipotesi, sé stessi; nella peggiore, alle volte, direttamente e spudoratamente il padrone.
Stabilito come dovrebbe essere un sindacato di base propriamente detto, è importante che i sindacati siano di classe, vale a dire che non commettano mai il peccato mortale di far prevalere la concorrenza tra sigle alle comuni condizioni di sfruttamento che uniscono i lavoratori di tutto il mondo.
È probabile che nei prossimi anni i lavoratori Stellantis si troveranno a lottare contro un piano di ristrutturazione «lacrime e sangue» che li attaccherà duramente, e dovranno farsi trovare uniti e compatti, unendo la loro lotta alla lotta delle lavoratrici e dei lavoratori Alitalia che in questi giorni hanno assediato, superando le divisioni sindacali, la sede di Ita, la fantomatica società concepita dai governi Conte e Draghi per smembrare la compagnia di bandiera e licenziare oltre 7 mila lavoratori. Dovranno unirsi alla lotta dei 422 lavoratori Gkn di Firenze, a cui si è unita, in una imponente manifestazione, la classe operaia di tutto il Paese.
Whirlpool, Gianetti, Ex Embraco, Elica, Riese, Indelfab, Timken e tutti i lavoratori degli oltre 87 tavoli aperti al Mise stanno lottando per il posto di lavoro: è anche a loro che i lavoratori Stellantis dovranno unirsi, perché nessuna conquista sindacale sarà mai realmente guadagnata senza una lotta politica generale contro il capitalismo che genera ingiustizia.
Gli operai Stellantis sono gli operai Fiat. Ed è emozionante chiamarli così, perché questo ci restituisce un quadro molto più chiaro: poco più di mezzo secolo fa migliaia di giovani hanno lasciato le campagne del meridione per emigrare a Torino e unirsi ad altre migliaia di operai, le loro tute avevano lo stesso sporco di fabbrica degli operai di oggi. Era l’inizio del 1968 e lo stabilimento Mirafiori era soprannominato «il cimitero delle lotte»: non si muoveva una foglia. Pochi mesi dopo quei giovani, insieme, furono i protagonisti della più grande stagione di lotte dell’Italia repubblicana, la stagione che scosse le fondamenta del capitalismo.
Allora mancò un partito rivoluzionario a dirigere fino al totale compimento quelle lotte leggendarie. Ma oggi quel ricordo, che scalda i nostri cuori, offre a noi tutti una grande lezione: costruire il partito che serve a liberare i lavoratori dallo sfruttamento e a costruire una società libera dal profitto.
(Pubblicato su Progetto Comunista n. 106 di Ottobre 202)