Rinnovo contratto metalmeccanici:
ora serve una mobilitazione vera!
di Massimiliano Dancelli (metalmeccanico)
Lo scorso 7 ottobre, Federmeccanica e Assistal hanno rigettato la piattaforma presentata da Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm-Uil per il rinnovo del contratto nazionale del settore metalmeccanico scaduto a dicembre 2019 e tirato ulteriormente per le lunghe a causa dell’emergenza covid. Le tre organizzazioni sindacali hanno abbandonato il tavolo della trattativa annunciando lo stato di mobilitazione.
Una piattaforma che non condividiamo
La rottura tra le associazioni padronali e le tre sigle del sindacalismo confederale è avvenuta dopo che le prime hanno rigettato la possibilità di ogni aumento salariale che non coincida con l’indice Ipca (1) di calcolo dell’inflazione, così come previsto dallo scorso contratto (firmato da tutte e tre le sigle sindacali confederali quattro anni fa).
La piattaforma presentata dal sindacato, e fatta passare dalla maggioranza dei suoi iscritti quasi un anno fa, prevedeva un aumento dell’8% del salario attuale (circa 150€ lordi al quinto livello), cancellando ogni riferimento all’indice Ipca.
Al di là della richiesta salariale, che rivendichiamo e riteniamo essere più che legittima (anzi, ci vorrebbero aumenti ben più sostanziosi), non condividiamo gli assi generali di questa piattaforma rivendicativa, come abbiamo già avuto modo di analizzare in nostri precedenti articoli (2). Innanzitutto non modifica in maniera sostanziale il contratto precedente che abbiamo sempre giudicato pessimo, infatti anche in questa piattaforma viene ribadito il potenziamento del welfare aziendale, anticamera dello smantellamento di quello pubblico a favore di un sistema privato in cui anche la stessa burocrazia sindacale si ingrassa attraverso la compartecipazione negli enti di gestione bilaterali. Inoltre a livello normativo non sono previsti miglioramenti sostanziali per i lavoratori sia in termini di orario di lavoro che in termini di sicurezza e salute sul lavoro, dal momento che la piattaforma introduce sì qualche obbligo in più per i padroni riguardo la sicurezza e la formazione dei lavoratori, ma sappiamo bene che se non vengono ridotti i ritmi di lavoro, specialmente nelle catene di montaggio, gli infortuni resteranno sempre all’ordine del giorno. Per questi motivi invitammo a suo tempo i lavoratori a respingere questa piattaforma (3).
Le ragioni della rottura
Le direzioni di Fiom-Fim-Uilm hanno sfruttato la loro egemonia in molte fabbriche per ingannare ancora una volta i lavoratori, presentando loro questa piattaforma di rinnovo contrattuale come la migliore e l’unica possibile. La richiesta di aumento salariale è stata utilizzata dalle direzioni sindacali per far digerire una piattaforma che riuscirono a far passare quattro anni fa, all’epoca dello scorso rinnovo contrattuale, ma con il voto contrario nelle più grandi fabbriche del paese (Ilva, Finmeccanica, Ast Terni, Whirpool etc), che sono anche quelle con più tradizione di lotta.
Il settore metalmeccanico attraversa una pesante crisi economica, sopratutto il settore dell’automotive, che viveva un importante calo produttivo con conseguente ricorso alla cassa integrazione già nella seconda metà del 2019. In queste condizioni e in assenza di una vera mobilitazione dei lavoratori, anche perché la mobilitazione non è mai stata nell’agenda di queste direzioni sindacali, chiedere ai padroni un importante aumento salariale sarebbe un puro esercizio di stile. Il padrone non concede nulla se non è costretto a farlo e ora che la situazione è stata aggravata dalla pandemia, con la conseguente maggiore contrazione dei mercati e del profitto, è impensabile aspettarsi una risposta diversa rispetto alla richiesta di aumento salariale, anche perché Confindustria su tutti si appella a quel reietto “patto per la fabbrica”, utile solo alla causa padronale, sottoscritto con la Cgil, quindi anche con la Fiom, in cui viene definito l’impianto di regole entro le quali vanno firmati i contratti e che comprende anche il ricorso all’indice Ipca per gli aumenti salariali.
Ora Fiom, Fim e Uilm di fronte al rifiuto dei padroni hanno deciso di rompere il tavolo della trattativa e convocare lo stato di mobilitazione con un ciclo assemblee nei territori e nelle fabbriche, lo sciopero delle ore straordinarie e quattro ore di sciopero generale del settore convocato per il 5 novembre.
Ora serve un vero sciopero generale
Pensiamo che dopo anni di immobilismo o innocue passeggiate romane, questo possa essere un primo punto di partenza, anche se chiaramente non basteranno quattro ore di sciopero per far cambiare idea ai padroni. Anche se abbiamo detto che Federmeccanica non avrebbe mai accettato una richiesta di aumento salariale, questo non significa che i padroni, molti dei quali hanno visto accrescere il proprio patrimonio sulle spalle degli operai nonostante la crisi, non possano permettersi di concederlo e da questa richiesta dobbiamo partire per costruire una vera mobilitazione. È probabile, lo affermiamo sulla base dell’esperienza degli ultimi anni, che le direzioni del sindacalismo confederale probabilmente non andranno fino in fondo e dopo aver alzato un po' la voce, cercheranno l’ennesimo compromesso con la parte padronale. I lavoratori invece devono sfruttare l’occasione e cercare di non indietreggiare, come hanno fatto con gli scioperi dello scorso marzo per la chiusura delle fabbriche contro la pandemia, dove con la loro organizzazione dal basso costrinsero le direzioni sindacali a sostenere la loro protesta.
Dobbiamo organizzarci nelle fabbriche per costringere queste direzioni ad andare fino in fondo, dobbiamo unire la vertenza dei metalmeccanici con tutte le altre vertenze in corso a partire da quelle delle altre categorie che devono rinnovare il contratto. Bisogna unire i lavoratori e le lavoratrici metalmeccaniche con tutte le lotte in corso nel Paese, dalla lotta dei lavoratori Alitalia e dell’handling a quella contro i licenziamenti, dalle lotte per la salvaguardia del territorio (es. No-Tav) a quelle degli studenti per il clima. Serve un’unità d’azione, al di là dell’appartenenza sindacale o categoriale, solo così potremmo intraprendere quel percorso che potrà portare alla costruzione di un vero sciopero generale con la «S» maiuscola in grado di fermare realmente il Paese.
Note
1) Ipca: indice di calcolo dell’inflazione di tutti gli stati membri dell’UE. Con questo sistema di riferimento inserito in quasi tutti i recenti rinnovi contrattuali, il lavoratore rischia non solo di avere esigui aumenti salariali, ma addirittura di dover restituire lui una parte del salario all’azienda in caso di deflazione(come già successo nel settore gomma plastica).
2) Vedi Progetto Comunista di novembre 2019.
3) Idem.