La sinistra di classe della Cgil, aderente alla Rete 28 aprile, ha elaborato la piattaforma politico-sindacale che potete leggere qui sotto come contributo al dibattito tra i lavoratori e i militanti sindacali che nel corso del XV Congresso Nazionale della Cgil si sono impegnati per mantenere nella Confederazione sindacale una posizione di classe contro la politica neoconcertativa, con governo e padronato, avanzata dalla maggioranza di Patta-Epifani (il primo dei due peraltro si è seduto al governo come sottosegretario).
Il documento sarà presentato sia all'assemblea nazionale della Rete 28 aprile che si terrà nel mese di giugno sia nelle riunioni provinciali e regionali preparatorie all'assemblea nazionale.
Progetto Comunista - Rifondare l'Opposizione dei Lavoratori sostiene questo documento e invita i lavoratori a discuterlo e diffonderlo.
I lavoratori che volessero presentarlo e/o controfirmarlo possono telefonare o scrivere al compagno
Francesco Doro del Direttivo Regionale della Fiom Cgil del Veneto (tel. 3331312748)
oppure scrivere, specificando l'adesione all'appello, al seguente indirizzo e-mail
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o, ancora direttamente all'indirizzo e-mail di PC Rol
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Antonino Marceca (resp. lavoro sindacale di PC Rol)
Assemblea Nazionale Rete 28 aprile in Cgil Roma, 12 giugno 2006
E' trascorso poco più di un anno dalla costituzione della Rete 28 aprile, area di sinistra Cgil, intorno ad un principio fondamentale: autonomia del sindacato dai governi e dal padronato.
Diversi ed importanti sono stati gli eventi che si sono verificati in questo periodo: la presentazione da parte di Confindustria, il 22 settembre 2005, di un documento di proposta per un nuovo modello contrattuale, il XV Congresso Nazionale della Cgil a marzo del 2006, il nuovo governo Prodi.
In questo contesto sono stati firmati alcuni importanti CCNL, tra cui quelli dei metalmeccanici e del pubblico impiego e, da segnalare per il significato generale che assume rispetto alla questione dell'applicazione della legge 30, quello di Atesia.
La componente della Rete 28 aprile in Cgil ha funzionato in questo periodo prevalentemente come un'area consensuale, priva di una reale struttura organizzativa. Proprio per la maggiore responsabilità a cui la sinistra della Cgil è chiamata, in riferimento sia al quadro socio economico di persistente crisi che al nuovo quadro politico emerso dalle elezioni con la vittoria dell'Unione di Prodi, riteniamo improcrastinabile un salto politico e organizzativo della sinistra sindacale in Cgil.
Il quadro sociale ed economico del paese e il nuovo governo dell'Unione
Il nuovo governo Prodi si inserisce sullo sfondo di una persistente crisi del capitalismo italiano, associata al serio dissesto del bilancio pubblico (deficit pubblico al 4,1% del Pil e debito pubblico al 108% del Pil). Una crisi caratterizzata dal grave arretramento della produzione industriale nell'ultimo quinquennio, conseguente alla contrazione assoluta delle quantità di merci esportate nei mercati internazionali. La stagnazione dell'economia italiana è evidenziata dal valore medio dell'incremento del prodotto interno lordo inferiore dell'1% dal 2000 ad oggi. Nei dodici paesi dell'area dell'Euro, fra il 2000 ed il 2004, la crescita è stata del 5,1%, contro il 3,74% dell'Italia. Una crisi che investe tutta l'economia del paese, se si prendono in considerazione i forti legami che sussistono tra i settori dei servizi (trasporti, servizi alle imprese, commercio, credito ed assicurazione) e l'attività industriale. La crisi del capitalismo italiano non può essere meccanicamente ed esclusivamente imputabile all'incapacità del governo Berlusconi e alla priorità data ai suoi interessi, fatti senza altro veri. Essa è il prodotto, da un lato, di peculiarità proprie del capitalismo nel nostro paese, dall'altro, dal contesto di crisi capitalistica di sovrapproduzione mondiale.
Dopo la liquidazione delle grandi aziende a partecipazione statale, a partire dagli anni '90, con l'acquisizione e l'integrazione nei loro gruppi da parte di grandi aziende straniere o con il passaggio a speculatori finanziari con finalità di smantellamento, la presenza di imprese di grandi dimensioni nell'industria italiana è oggi assai limitata.
Il capitale industriale italiano ha preferito investire in aree meno esposte alla concorrenza internazionale e favorite da posizioni monopolistiche o di oligopolio o di cartello mascherato: telecomunicazioni, grande distribuzione, energia, immobiliare, autostrade, assicurazioni, ecc. Tra le grandi industrie manifatturiere con un peso rilevante rimane ormai solo la Fiat, che tra l'altro non è ancora completamente uscita da una fase estremamente difficile. Quest'azienda emerge, assieme ad altre imprese industriali esportatrici, in un panorama di piccole e medie imprese concentrate su produzioni tradizionali o di nicchia (tessile, abbigliamento, mobili, cuoio e calzature) fortemente esposte alla concorrenza delle aree emergenti dell'Asia e dell'Europa centro-orientale (verso dove, dalla metà degli anni '90, si sono verificati inoltre rilevanti processi di de-localizzazione di intere fasi produttive).
Il secondo governo Prodi nasce quindi su questo sfondo, con un ambizioso progetto: rilanciare il capitalismo italiano nel mercato internazionale e fare gli interessi generali della borghesia: l'elenco dei ministri è eloquente. Non a caso il programma dell'Unione -sottoscritto dai partiti della sinistra (Prc, Pdci, Verdi) e fatto proprio dalla Cgil- ha incassato il sostegno della grande industria esportatrice, delle grandi banche, della grande stampa borghese, dei settori centrali dello Stato. Il motivo è chiaro: la crisi capitalistica sarà ancora e sempre pagata dai lavoratori e dalle masse popolari. Le voci del conto le conosciamo bene: nuove liberalizzazioni e privatizzazioni, nuovo modello contrattuale e relativo indebolimento del contratto nazionale, ulteriore innalzamento dell'età pensionabile e scippo del Tfr, risanamento del debito pubblico a spese dei lavoratori e dei cittadini, elargizione di risorse alle imprese (la riduzione del "cuneo fiscale" per le imprese in cambio di nuove tasse per i lavoratori), prosecuzione delle politiche di esclusione per gli immigrati, disoccupazione dilagante nel mezzogiorno, lavoro precario per i giovani, nuove guerre imperialiste. Un programma di "lacrime e sangue", di sacrifici, ma a senso unico, che si presenterà puntuale all'appuntamento con la prima manovra finanziaria e col varo del DPEF. Tutto questo in uno scontato clima di pace sociale, grazie al rilancio della concertazione e con il sostegno della sinistra di governo e della Cgil.
Il documento di Confindustria del 22 settembre
La giunta di Confindustria ha presentato il 22 settembre 2005 le sue proposte sui contratti e sulle relazioni industriali in vista della revisione del patto del 23 luglio 1993, un nuovo patto concertativo da realizzare insieme a Cisl, Uil e Cgil e il governo Prodi.
Il documento della Confindustria pone come obiettivo centrale della nuova concertazione il recupero "di efficienza, produttività e redditività" dell'impresa attraverso sia l'abbattimento del costo del lavoro, che di una maggiore flessibilità e precarietà del lavoro salariato.
Dopo aver proposto un "patto costituzionale" che definisca regole e sanzioni, sul piano dei contratti Confindustria conferma il modello di assetti contrattuali, secondo il protocollo del 23 luglio '93, articolato su due livelli: il contratto nazionale, a cui compete la determinazione degli "aumenti dei minimi tabellari in coerenza dei tassi di inflazione programmata"; la contrattazione di secondo livello, aziendale o territoriale, a cui viene demandato il compito di incrementare la parte variabile del salario in funzione "dei risultati ottenuti nella realizzazione degli obiettivi aziendali concordati" e "della produttività e redditività dell'impresa".
Un meccanismo quello proposto che svuota di contenuto il contratto nazionale, non solo per la riduzione della quota fissa del salario e l'aumento del peso della quota variabile, ma anche attraverso l'utilizzo di "tutte quelle tipologie contrattuali" (somministrazione, part-time, appalti, rapporti di collaborazione) in funzione delle esigenze del mercato e tramite la totale gestione unilaterale e flessibile dell'orario di lavoro, praticata per mezzo di "una maggiore quantità complessiva di ore effettive di prestazione ed anche sulla possibilità di distribuire i nastri orari nell'arco della settimana, del mese, dell'anno, secondo le esigenze del mercato, adeguare la durata media e durata massima settimanale degli orari di lavoro alla diverse esigenze produttive, cosi come le misure di utilizzo del lavoro straordinario, le deroghe in tema di pause, lavoro notturno, ecc, il tutto nel rigoroso rispetto della recente disciplina legislativa di origine europea".
Dopo aver chiesto ai lavoratori di lavorare di più e con meno salario, si vuole impedire la democrazia sindacale e limitare il diritto di sciopero, imponendo "regole precise" che impediscano di mettere "in discussione ad altri livelli" quanto concordato centralmente con governo e sindacati concertativi, proponendo di "rivedere le regole che disciplinano la rappresentanza dei lavoratori nei luoghi di lavoro", e quindi di depotenziare il ruolo delle Rsu, in modo tale da prevenire "una vertenzialità continua ed indifferente alle ragioni dell'economia e del mercato", come verificatosi "nei settori dei trasporti". A questo fine si propone di introdurre procedure "di conciliazione ed arbitrato che, assistite da sanzioni,�creino le condizioni affinché il ricorso alle azioni di sciopero, tanto nell'industria manifatturiera che in quella dei servizi, costituisca l'extrema ratio", le azioni sindacali "a sostegno delle piattaforme aziendali", al di fuori di quanto centralmente stabilito, "si configurano come danno ingiusto" all'azienda passibile quindi di rivalsa giudiziaria. Una camicia di forza stretta attorno alle lotte del movimento operaio.
Il XV Congresso Nazionale della Cgil
"Quasi un anno fa, i dodici segretari confederali indirizzarono una lettera a Romano Prodi esprimendo preoccupazione per la situazione del paese e chiedendo un programma di radicale cambiamento. (�) Oggi che il programma dell'Unione è stato varato, la Cgil può dire di trovarvi una risposta positiva a quella lettera". Queste righe della relazione di apertura del XV Congresso Nazionale della Cgil, fatta da Guglielmo Epifani il primo marzo, esprimono l'essenza di un congresso effettuato ad un mese dalle elezioni politiche: la maggioranza della Cgil ha scelto di stendersi e sperare su Prodi. Epifani nella relazione traccia un quadro di quello che definisce il "declino industriale" del paese, il cui inizio viene individuato nel 1996, quando "l'Italia aveva cominciato a perdere quote industriali nell'export mondiale". Una crisi precipitata, secondo il segretario della Cgil, "soprattutto per responsabilità dell'azione e delle scelte del governo". Date queste premesse ne consegue la proposta, fatta da Epifani e approvata dal XV Congresso Nazionale della Cgil, di "un accordo di legislatura" con il "governo che uscirà dalle elezioni". Un accordo da conseguire assieme a Cisl e Uil, a cui si propone intanto una "comune carta dei valori e degli intenti".
Un accordo di legislatura con il governo Prodi finalizzato a "reperire risorse da destinare agli investimenti", una elargizione di risorse alle imprese pagate, ancora una volta, dai lavoratori. Sul piano strettamente sindacale, Guglielmo Epifani, dopo aver genericamente difeso i due livelli contrattuali, ha aperto, almeno sul piano del metodo, al confronto con Confindustria sul modello contrattuale, previo raggiungimento di una proposta unitaria con Cisl e Uil.
L'avvio strutturato della nuova concertazione si avrà nei prossimi mesi, quando Cgil, Cisl e Uil saranno convocate dal governo Prodi ad un tavolo assieme a Confindustria.
La mancanza, dopo 15 anni, di un documento congressuale alternativo rispetto al documento del blocco concertativo Patta-Epifani, congiunto ad un esito congressuale prestabilito negli sbocchi in apparato e negli organismi dirigenti, ha reso più difficile la battaglia della sinistra sindacale nel corso del congresso. Le due tesi alternative (8a e 9b), presentate da Rinaldini, non potevano colmare questa carenza per la loro compatibilità all'impianto complessivo del documento congressuale di Patta-Epifani.
I militanti della sinistra di classe in Cgil hanno dovuto lottare contro un enorme apparato burocratico riformista, forte sia di un documento complessivo che di un patto di apparato, avendo solo a disposizione una Rete 28 aprile che evidenziava nei fatti notevoli limiti programmatici ed organizzativi. In questa battaglia hanno dovuto utilizzare tutti gli strumenti a loro disposizione per avanzare e legittimare una sinistra sindacale in Cgil.
La stessa burocrazia riformista della Fiom si è limitata per lo più a sostenere le tesi del loro segretario nella categoria, stando ben attenti a non superarne i confini, in evidente accordo con i loro omologhi delle altre categorie. Il peso della presentazione delle due tesi alternative in tutte le categorie è in generale ricaduto sulle spalle dei militanti della Rete 28 aprile, militanti nella maggioranza dei casi in produzione e senza distacco sindacale.
Peraltro la mancanza di un rapporto diretto tra voti alle tesi ed elezione dei delegati, ai vari livelli congressuali e negli organismi dirigenti, ha facilitato la burocrazia sindacale riformista nel suo obiettivo, vista la prospettiva concertativa, di impedire l'affermazione di una sinistra sindacale in Cgil. Rileviamo infine che i 27 voti contrari e i 48 astenuti al documento finale del XV Congresso Nazionale della Cgil esprimono un dissenso importante che purtroppo non si è concretizzato in un documento alternativo, una responsabilità questa che ricade principalmente sulla Rete 28 aprile. Un limite politico e sindacale che necessita di essere superato nella direzione di una coerente opposizione di classe alla linea concertativa varata dal XV Congresso Nazionale.
Gli ultimi contratti firmati
La vertenza dei metalmeccanici per il rinnovo della parte economica del contratto nazionale è iniziata l'11 gennaio 2005 di fronte ad un padronato che vuole scaricare la crisi capitalistica totalmente sui lavoratori: quando l'azienda ha commesse da consegnare gli operai devono lavorare con meno salario e faticando di più, quando i magazzini sono pieni e la capacità produttiva è utilizzata al minimo, li si mette in cassa integrazione, in mobilità, si licenzia. Per i lavoratori metalmeccanici è stato pertanto un anno di dure lotte: i lavoratori hanno sostenuto oltre 60 ore di sciopero. Dopo lo sciopero nazionale del 2 dicembre, che ha portato oltre 250 mila lavoratori sulle strade di Roma, la lotta si è ulteriormente approfondita ed estesa in tutto il paese: dai picchetti ai cancelli, in risposta all'arroganza padronale, si è passati a forme più dure di lotta come i blocchi stradali e ferroviari delle ultime settimane che hanno preceduto la firma dell'accordo, a dimostrazione della volontà dei lavoratori di andare fino in fondo nella difesa del salario, dei diritti e delle tutele.
La piattaforma approvata dai lavoratori metalmeccanici era peraltro insufficiente a garantire il potere d'acquisto dei salari rispetto all'inflazione reale. Comunque, nella piattaforma non era previsto alcun cedimento su orari, turni e flessibilità.
Altre categorie, per responsabilità delle burocrazie sindacali riformiste, avevano firmato accordi che, in cambio di pochi euro di aumento insufficienti persino a salvaguardare il potere d'acquisto, cedevano in flessibilità, recependo la legge 30 e il decreto 66 sugli orari. L'ultimo accordo firmato che cedeva a questo nefasto scambio era stato quello delle telecomunicazioni firmato il 3 dicembre 2005, un contratto che interessa 120 mila lavoratori occupati nelle aziende di telefonia, che comprende grossi gruppi come Telecom, Wind, Vodafone, con attorno una serie di aziende in appalto e subappalto (call center, impianti telefonici, manutenzione) dove regna il precariato e lo sfruttamento bestiale.
Il 19 gennaio i dirigenti sindacali di Fiom Fim e Uilm, spaventati dalla estensione e dalle forme assunte dalla mobilitazione in atto, invece di affondare la spallata chiamando alla mobilitazione tutta la classe fino a costringere governo e padronato a cedere, chiudono le trattative con un accordo che solo apparentemente recepisce la piattaforma. Massimo Calearo, presidente di Federmeccanica, sul Il sole 24 ore di venerdì 20 gennaio ha potuto dichiarare: "i sindacati hanno avuto la vittoria simbolica di chiudere a 100 � e la possibilità di sbandierare l'aumento, ma noi abbiamo dato alle aziende la soddisfazione di sostanza portando a casa il risultato prefisso".
Sulla parte salariale il sindacato ha ottenuto la cifra simbolica dei 100 � lordi per il quinto livello (quando la stragrande maggioranza dei lavoratori sono inquadrati al terzo e quarto), che comunque non garantisce il potere d'acquisto dei salari e che di fatto si riduce per effetto dello scaglionamento in tre tranche e per il prolungamento della durata del contratto di sei mesi fino a giugno 2007, prolungamento che apre la porta allo sfondamento temporale di tutti i contratti.
Nonostante il mandato dato dai lavoratori riguardava esclusivamente il biennio salariale e non prevedeva nessuno scambio tra salario e flessibilità, la firma apposta apre alla richiesta padronale sulla flessibilità nella gestione degli orari di lavoro e nell'utilizzo ed estensione dell'apprendistato.
Gli esiti del referendum, svoltosi il 15, 16, 17 febbraio, sul contratto firmato da Fiom, Fim e Uilm e Federmeccanica hanno evidenziato la presenza di un largo dissenso tra i lavoratori rispetto ad un accordo che determina un ulteriore arretramento della categoria. Il referendum sull'ipotesi di contratto ha visto la partecipazione al voto di quasi mezzo milione di lavoratori su 762 mila presenti nei luoghi di lavoro in quei giorni, il 64,2 % degli aventi diritto. Malgrado l'estremo "impegno" della burocrazia sindacale riformista, il 15.74 % dei lavoratori, circa 76 mila metalmeccanici, ha espresso un parere negativo sull'accordo. La gran parte dei dissensi si sono verificati nelle fabbriche che hanno dimostrato maggiore combattività e radicalità nella lotta durante la vicenda contrattuale. E' questa la base della sinistra sindacale nella Fiom Cgil.
Sulla stessa linea dell'accordo dei metalmeccanici, ha fatto seguito l'8 febbraio, dopo 26 mesi dalla scadenza, l'ipotesi di contratto collettivo nazionale per il personale delle Regioni e delle Autonomie Locali per il biennio economico 2004-2005. Un accordo che non salvaguarda il potere d'acquisto dei salari ma approfondisce le divisioni tra lavoratori del pubblico impiego, depotenziandone la forza di rivendicazione. Alla base del contratto sottoscritto c'è il pessimo protocollo d'intesa tra governo e parti sociali firmato il 27 maggio 2005. In quel protocollo sono stabiliti incrementi retributivi a regime del 5,01% per ciascun comparto di contrattazione, di cui lo 0,5% destinato alla produttività; sono anche ribaditi criteri meritocratici per l'incentivazione della produttività; viene introdotto il tema della "mobilità" per i dipendenti pubblici.
La quota di salario accessorio da contrattare al livello decentrato non sarà, tra l'altro, uguale per tutti. Infatti, questa quota può variare da ente ad ente, a seconda dei relativi bilanci (già si sa che con i tagli finanziari agli enti pubblici sarà molto difficile reperire risorse per il personale�) e sarà inesistente per gli enti in dissesto finanziario. Quindi, ancora una volta, saranno i lavoratori a pagare la distruzione del sistema pubblico. Negli enti dove si risparmieranno più soldi sulla pelle dei lavoratori, assumendo meno e appaltando di più e assegnando carichi di lavoro più pesanti, i dipendenti potranno essere pagati di più.
Non è più sufficiente, quindi, l'umiliazione della "valutazione", come non è più sufficiente raggiungere gli obiettivi dell'ente! Un contratto che nella sua generalità cerca di sgretolare i fondamenti della contrattazione nazionale affidando alla contrattazione decentrata istituti come l'individuazione di chi dovrà usufruire del buono pasto e della pausa pranzo.
Ancora peggio, in termini di tutela del potere d'acquisto dei salari e di difesa dei diritti e delle tutele, è stata la conclusione della vertenza degli edili e dei chimici.
Il 10 maggio è stata raggiunta l'intesa, che interessa 220 mila lavoratori del comparto chimico-farmaceutico, tra Federchimica, Farmindustria e Fulc (Filcem-Cgil, Femca-Cisl e Uilcem-Uil) per il rinnovo del quadriennio normativo e del biennio economico del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), scaduto a fine 2005.
L'accordo dei chimici segna l'inizio dello svuotamento del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro in quanto, per la prima volta, è previsto il principio di deroga aziendale al Contratto Nazionale di Lavoro: una valanga che si riverserà sui lavoratori nelle prossime vertenze contrattuali. Ma andiamo con ordine. Per quanto concerne la parte economica è previsto un aumento parametrato, in base ai diversi livelli, di 100� per la categoria D1, diviso in tre tranches per il biennio 2006-07 (44� il 1� maggio '06, 44� il 1� gennaio '07, 12� il 1� ottobre '07). Un aumento quindi ben lungi dal salvaguardare il potere d'acquisto dei salari. Per quanto concerne la parte normativa, le imprese potranno chiedere alle Rsu aziendali di derogare in peggio al Contratto Nazionale sui limiti relativi all'orario e all'organizzazione del lavoro (ad esempio: maggiorazioni di turno, premi di risultato, erogazione della quattordicesima, orario di lavoro). La deroga dovrà essere approvata all'unanimità da una neo-costituita "Commissione nazionale contrattazione", formata da 2 rappresentanze delle imprese e 3 burocrati sindacali, ognuno per le tre sigle firmatarie; viene prevista una procedura di raffreddamento dei conflitti che, attraverso un tortuoso percorso ad ostacoli (10 giorni in cui le parti devono limitarsi al confronto, al termine di detto periodo le iniziative di sciopero vanno comunicate entro 48 ore dall'effettuazione), limita il diritto di sciopero; viene allungato l'orario di lavoro attraverso il vincolo della formazione; si recepisce la legge 30 (Biagi) con il conseguente peggioramento delle condizioni dei lavoratori precari (i contratti a termine sono prorogabili fino a 48 mesi, incremento percentuale (18%) e temporale (5 anni nell'arco di 78 mesi) dei contratti di somministrazione, raggiungendo un rapporto complessivo di lavoratori precari e fissi del 25 %.
Un contratto a perdere, il solito bidone che, in cambio di pochi euro parametrati e divisi in tre tranches, apre allo svuotamento del Contratto Nazionale, aumenta la flessibilità negli orari e la precarietà, limita lo stesso diritto di sciopero.
L'intesa dei chimici segue l'accordo firmato l'11 aprile scorso tra Cgil, Cisl e Uil e Atesia, il call-center di Roma. Il contratto Atesia, firmato all'indomani delle elezioni politiche, proprio in relazione alla precarietà, segna la mancanza di una reale volontà da parte della maggioranza della Cgil di contrastare le leggi precarizzanti (dal pacchetto Treu alla legge Biagi), una mancanza di volontà che si accentua in questo avvio neo-concertativo. Contro quest'accordo fatto sulla pelle dei lavoratori si è mobilitato il "Collettivo Precari Atesia", rigettando l'accordo stesso e chiedendo il coinvolgimento dei lavoratori nella vertenza per dire basta alla precarietà
Per quanto ci riguarda esprimiamo un giudizio fortemente negativo su tutti gli ultimi contratti firmati (da quello dei metalmeccanici al contratto del pubblico impiego, dal contratto degli edili a quello dei chimici, compreso l'accordo in Atesia).
Chiediamo al sindacato, in particolare alla Cgil, di ritirare la firma dall'accordo Atesia e dal contratto dei chimici. E' ora che i lavoratori si esprimano sulle piattaforme e sui contratti come giustamente chiedono i lavoratori del Collettivo Precari Atesia. I lavoratori chimici hanno il diritto di esprimersi sul merito dell'accordo attraverso un referendum vincolante, un diritto che dovrà essere imposto alla burocrazia sindacale riformista con la lotta.
La necessità di una sinistra sindacale di classe in Cgil
La presenza di una sinistra sindacale in Cgil è urgente e necessaria non solo per contrastare la nuova fase concertativa a cui si avvia la maggioranza di Patta ed Epifani, ma proprio per opporre una reale resistenza alla funzione che il governo Prodi assegna alla burocrazia sindacale riformista -di controllo e pacificazione della classe operaia- a fronte dell'attacco ai salari, alle pensioni, a quanto resta dello Stato sociale e dei servizi.
Si tratta allora di garantire da subito la costruzione di una forte e nuova opposizione contro l'attacco che il governo Prodi si prepara a sferrare al proletariato; un attacco reso mille volte più insidioso dalla rimozione dell'opposizione, garantita sul terreno sindacale dalla Cgil di Epifani e sul terreno politico dalla sinistra di governo.
Questa battaglia richiede la massima unità, a partire dai luoghi di lavoro, tra le sinistre sindacali ovunque collocate, in Cgil come nel sindacalismo di base, superando ogni settarismo di organizzazione e realizzando la massima unità dei lavoratori. La sinistra sindacale in Cgil ha il compito principale di lanciare una proposta rivendicativa di fase.
La battaglia per la difesa del salario dei lavoratori e dei pensionati mediante la rivendicazione della Scala Mobile è un primo importante terreno di collaborazione e confronto. Una rivendicazione -la Scala Mobile che deve essere inserita, per essere credibile, nelle piattaforme sindacali e nei movimenti di lotta di tutte le categorie del lavoro salariato. Accanto alla difesa del salario è necessario rilanciare la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario, a partire dalle 35 ore settimanali, senza flessibilità e annualizzazione, con drastica riduzione dello straordinario. Le stesse proposte di legge d'iniziativa popolare (per la scala mobile e per la stabilizzazione dei lavoratori precari) devono avere il sostegno della sinistra sindacale di classe. Non meno importante è l'impegno sul terreno democratico: le rappresentanze nei luoghi di lavoro devono essere elette proporzionalmente ai voti ricevuti, senza quote garantite; l'uso dello strumento referendario come mezzo per esprimere il giudizio dei lavoratori sulle piattaforme e sugli accordi deve essere reso obbligatorio in tutte le categorie.
Una vertenza unificante dei lavoratori e dei disoccupati, attorno a un programma che includa obiettivi immediati e transitori, a partire dal rilancio delle lotte per un forte aumento salariale uguale per tutti; per la tutela della salute nei luoghi di lavoro, contro gli infortuni e le malattie professionali; per l'abolizione delle leggi precarizzanti (pacchetto Treu e legge Biagi) e l'assunzione a tempo pieno e indeterminato dei giovani lavoratori precari; un salario dignitoso ai disoccupati; l'aumento delle pensioni minime di almeno 500 � mensili, tale da garantire una vita dignitosa ai pensionati; l'abolizione della legge 30 e delle altre norme di flessibilità; l'abolizione delle leggi contro gli immigrati (Turco-Napolitano e Bossi-Fini); l'abolizione delle leggi (legge 12.6.1990 n. 146, modificata dalla legge 11.4.2000 n. 83) che regolamentano e limitano il diritto di sciopero; l'estensione a tutti i lavoratori dell'art.18 e dei diritti sindacali; la difesa del Tfr e delle pensioni pubbliche, della scuola e della sanità pubblica, abrogando leggi come la Moratti sulla scuola; l'apertura sotto controllo operaio dei libri contabili delle aziende che licenziano; la nazionalizzazione, senza indennizzo e sotto controllo operaio, delle fabbriche che licenziano e chiudono; la nazionalizzazione, sotto controllo operaio e senza indennizzo, delle banche investite da bancopoli; lo sviluppo del movimento per il ritiro immediato delle forze d'occupazione dall'Irak e dall'Afganistan, contro ogni imperialismo. E' assolutamente necessario legare ogni rivendicazione immediata dei lavoratori e dei giovani alla necessità di superare questo sistema basato sullo sfruttamento. In conclusione è necessario organizzare, a partire dalle suddette parziali rivendicazioni immediate e transitorie, la risposta operaia e socialista alla crisi capitalistica.
Ecco perché è prioritario che la Rete 28 aprile si dia una struttura democratica proletaria. Una strutturazione confederale, dal livello territoriale (Camere del Lavoro, provinciali, regionali) al livello nazionale, che preveda l'elezione di coordinamenti a tutti i livelli e in tutte le categorie, rispettando il pluralismo politico sindacale espresso nell'area sulla base di piattaforme. Devono inoltre essere previsti momenti certi di verifica degli organismi e discussione collettiva a tutti i livelli, garantendo anche ai lavoratori non presenti in struttura la possibilità di partecipare al dibattito. Il diritto di ogni tendenza dell'area a prevedere momenti di discussione al proprio interno deve essere salvaguardato.
La modalità di costruzione su basi consensuali e lideristiche dell'area deve essere pertanto superata. Il percorso costituente di una sinistra sindacale in Cgil deve aprirsi in tempi certi a partire dai territori, con modalità realmente democratiche di elezione dei delegati e delle delegate. A fronte degli impegni richiesti necessaria una vera discussione nell'area. Una discussione che deve coinvolgere non solo i compagni che ricoprono incarichi sindacali o che sono presenti nelle strutture, ma che deve coinvolgere tutto il corpo militante dell'area nel rispetto del pluralismo interno. Tutte le posizioni e proposte devono avere legittimità di essere conosciute, discusse e votate.
Gli organismi di coordinamento della sinistra sindacale in Cgil dovranno pertanto rappresentare l'insieme del corpo dell'area ed essere sottoposti a verifica. Solo attraverso un reale percorso democratico possiamo evitare o circoscrivere le sempre possibili derive burocratiche. Di una sinistra sindacale di classe i lavoratori di questo paese hanno urgente bisogno.
PER ADESIONI AL DOCUMENTO CHIAMARE:
Francesco Doro del Direttivo regionale del Veneto della Fiom Cgil
al n� tel. 3331312748
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e/o
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Primi firmatari:
Francesco Doro Comitato Direttivo regionale FIOM CGIL Veneto
Irina Costa Comitato Direttivo provinciale FIOM CGIL Padova Rsu Parpas SPA, Direttivo Camera del Lavoro Padova
Stefano Fontana Comitato Direttivo provinciale FIOM CGIL Padova
Sabrina Pattarello Comitato Direttivo provinciale NIDIL CGIL Venezia
Enrico Pellegrini Comitato Direttivo provinciale FILCAMS CGIL Venezia
Antonino Marceca Coordinamento Aziendale Aulss 12 FP medici Cgil Venezia
Patrizia Artizzu SPI Cgil Cagliari
Pia Gigli Rsu Regione Lazio Direttivo Comprensoriale Roma sud FP Cgil
Alberto Cacciatore FP Cgil Roma
Roberto Galvanin Comitato Direttivo Provinciale FIOM Cgil Vicenza
Fabio Frusone Rsu Nexans, Direttivo provinciale Latina, Direttivo regionale Lazio FILCEM Cgil
Davide Margiotta FIOM Cgil Pesaro
Alberto Airoldi Comitato Direttivo provinciale FLC Cgil Milano
Michele Fiorella operaio edile, FILLEA Cgil, Camera del lavoro Barletta
Ruggero Crudele operaio calzaturiero, Direttivo prov. FILTEA Cgil Bari
Antonio Sardano operaio Ipercoop Andria, Rsa, FILCAMS Cgil Bari
Alberto Madoglio Comitato Direttivo Provinciale FISAC Cgil Cremona
Susanna Sedusi Rsa Comune di Padova FP Cgil
Franco Da Boit Direttivo Provinciale FP Cgil Padova
Stefano Castigliego Direttivo Camera del Lavoro di Venezia, Direttivo Provinciale FIOM Cgil Venezia, Rsu Fincantieri Marghera-Ve
Riccardo Rossi Ricercatore ENEA RSU FLC CGIL Brindisi
Mario Visconti FP CGIL Salerno
Bruno Salvatori dipendente trambus FILT CGIL Roma
Silvia Brambilla FP medici CGIL Cremona
Giliola Corradi Comitato Direttivo Camera del Lavoro Provinciale Cgil Verona, Comitato Direttivo Provinciale FISAC Cgil Verona
Luciano Calzavara SPI Cgil Venezia
Simone Lanciotti Fillea GCIL Roma