Per salvare Alitalia serve un piano rivoluzionario
La ripresa della mobilitazione Alitalia e il vaso di pandora del trasporto aereo
Dipartimento sindacale del Pdac
Nelle ultime settimane la vertenza Alitalia ha visto una poderosa accelerazione impressa dai lavoratori stessi con la loro mobilitazione. Già da inizio marzo avevano cominciato a intensificarsi i momenti di lotta, a partire dalla manifestazione nazionale di tutto il trasporto aereo organizzata da un fronte sindacale di base (Cub, Usb e associazioni di categoria) il 3 marzo, quando i lavoratori in presidio hanno occupato la piazza di Porta Pia a Roma: uno dei temi principali della manifestazione era naturalmente la difesa della compagnia di bandiera, che il piano del governo vuole spacchettare e vendere, ma che potrebbe invece diventare, se nazionalizzata e gestita dai lavoratori, un primo baluardo nella lotta di tutto il comparto aeroportuale. Tuttavia, con varie scuse, il governo si è rifiutato di parlare con i lavoratori, proponendo un incontro che poi non si è mai concretizzato. Questo perché evidentemente il governo si preparava a un’accelerazione nel piano di ridimensionamento di Alitalia, dopo la relativa calma (che però preparava questo stesso epilogo) della gestione Conte-De Micheli, e non voleva confrontarsi con la rabbia dei lavoratori. Questo è confermato dalle dichiarazioni del 18 marzo del ministro dello sviluppo economico Giorgetti, in quota Lega, che ha dichiarato che «Per volare, Ita non può essere troppo pesante», considerando i lavoratori un peso e non il valore aggiunto della compagnia, affossata in realtà dalle speculazioni e dall’intervento dei privati, dai «capitani coraggiosi» a Etihad, che non hanno fatto altro che saccheggiare la compagnia e condurla da fallimento a fallimento.
Il piano di Ita, chiesto con forza dall’Unione europea, prevede la vendita dei settori manutenzione e handling (i servizi di terra), un ridimensionamento della flotta che lascerebbe a terra 58 aerei su un totale odierno di 103, un inconsistente investimento nel settore cargo (precedentemente chiuso nel 2009 e rilanciato solo durante la pandemia), e soprattutto una imponente macelleria sociale con circa 7.000 lavoratori che perderebbero il loro posto di lavoro.
L’esplosione della mobilitazione
Che la situazione di Alitalia, pronta ad essere smembrata, fosse grave i lavoratori probabilmente lo intuivano, tuttavia la mobilitazione non è esplosa fino a che non sono diventate «reali» e «concrete» per loro le conseguenze. È così che, a seguito della dichiarazione da parte di Alitalia del 23 marzo che non solo avrebbe smesso di anticipare la Cigs (come sarebbe previsto dalla legge), ma non avrebbe nemmeno pagato regolarmente le ore lavorate dei propri dipendenti, vi è stato un susseguirsi di mobilitazioni e manifestazioni, anche spontanee, da parte dei lavoratori, che hanno anche messo in discussione le normali logiche sindacali, perché a partecipare alla lotta non erano più solo i lavoratori che facevano riferimento ai sindacati di base, ma anche quelli che normalmente seguono i sindacati confederali.
Se infatti, in risposta alla rabbia e alla preoccupazione dei lavoratori, Cgil-Cisl-Uil-Ugl hanno indetto un presidio a Fiumicino il 26 marzo (a cui Cub e Usb hanno subito aderito), la voglia dei lavoratori di lottare si è fatta sentire a tal punto che i confederali hanno dovuto aderire alla manifestazione Cub-Usb del 30 marzo (già precedentemente indetta) sotto il Mise. In entrambe le occasioni ci sono stati anche presidi all’aeroporto di Milano Linate. La settimana successiva ha visto altre tre mobilitazioni indette dai sindacati di base: il 6 un’assemblea con corteo a Fiumicino e in contemporanea un presidio sotto la Regione Lombardia dei lavoratori con base Linate e Malpensa, il 7 un presidio all’aeroporto di Linate e l’8 un presidio al Comune di Fiumicino a cui si sono uniti nuovamente i confederali. Altre iniziative sono già state programmate per le prossime settimane, fino al culmine che sarà lo sciopero nazionale del settore aereo indetto per il 23 aprile.
La presa di coscienza dei lavoratori
Il carattere che la mobilitazione sta prendendo, la sua spontaneità e radicalità, in un settore dove una consistente parte dei lavoratori sono donne, indicano che questa non è una lotta esclusivamente economica per lo stipendio non pagato, ma una vera e propria lotta a difesa del proprio futuro.
La questione dello stipendio è stata solo la molla, la scintilla che serviva per accendere la miccia di una mobilitazione che sta diventando sempre più esplosiva, ma la verità è che i lavoratori, anche grazie alla mobilitazione unitaria, stanno cominciando a capire che il piano proposto da Ita, così come quello proposto dai confederali – che prevede solo alcune differenze numeriche, ma non cambia il senso generale della proposta di smantellamento – non sono assolutamente una soluzione, ma solo una sentenza «di morte» immediata per la maggior parte dei lavoratori e di agonia prolungata per i restanti, che nel giro di pochi anni andrebbero sicuramente incontro a un altro fallimento. E le mobilitazioni di queste settimane sono un segnale dell’«empirismo» dei lavoratori, che si muovono in ogni direzione per trovare una soluzione alternativa credibile che possa salvare il loro posto di lavoro e il loro futuro.
Il problema, per i lavoratori, è che la sola proposta che è reale e credibile per salvare Alitalia è quella che più sembra a prima vista irrealizzabile, e che avanzano soltanto i rivoluzionari: la reale nazionalizzazione della compagnia di bandiera e la sua gestione da parte dei lavoratori stessi, gli unici che possono realmente gestirla secondo le logiche di servizio alla collettività e non secondo le logiche del profitto, che si sono dimostrate più volte fallimentari.
Siamo sicuri che i lavoratori, se riusciranno a ritardare i tagli decisi dal governo e a tenere viva la lotta, arriveranno a capire che qualsiasi compromesso che verrà proposto loro sarà un accordo a perdere. I lavoratori devono mettere il governo con le spalle al muro e costringerlo a prendere misure che non vorrebbe mai prendere, misure opposte a quelle per cui gli è stata data fiducia dai padroni italiani ed europei. Ma i lavoratori di Alitalia, anche nella difficile situazione imposta dalla pandemia, possono sconfiggere il governo se saranno in grado di allearsi e lottare insieme con i lavoratori di tutto il trasporto aereo (e non solo), per avanzare un piano complessivo, rivoluzionario e audace, per il rilancio del settore.
Un settore in crisi?
Il trasporto aereo, sia cargo che passeggeri, è cresciuto esponenzialmente negli ultimi dieci anni, e solo il traffico passeggeri è stato limitato dalla pandemia di coronavirus, mentre per le merci i dati sono in continua crescita (ad esempio a Malpensa, che è il principale aeroporto cargo italiano); eppure gli stipendi sono al palo dal 2015, mentre i carichi di lavoro continuano ad aumentare, ed anche la cassa integrazione viene spesso utilizzata per discriminare i lavoratori, chiamando più spesso dipendenti di agenzie interinali che costano meno alle aziende.
Il comparto aeroportuale italiano, a fronte di immensi profitti fatti negli ultimi anni, vive, soprattutto negli scali più piccoli ma non solo, di false cooperative, subappalti, società che non applicano il ccnl del trasporto aereo (con conseguenti perdite salariali per i lavoratori), lavoratori interinali utilizzati oltre i limiti imposti dalla legge con escamotage tipo i contratti di «staff leasing». A tutto questo bisogna aggiungere i costi della liberalizzazione dei servizi di terra e della privatizzazione delle gestioni aeroportuali, pagati integralmente dai lavoratori, che hanno visto i loro salari reali diminuire perché le aziende dovevano «competere tra loro» per avere i contratti dalle compagnie aeree: in molti casi una vera macelleria sociale sulla pelle dei lavoratori. In una situazione come questa, che senso può avere il piano di Ita che prevede praticamente zero investimenti sul cargo? Qualunque compagnia oggi, prima di vendere un aereo passeggeri, lo convertirebbe per il trasporto merci. Eppure, il governo preferisce svenderli, forse per favorire quegli stessi privati che potranno comprarli e che invece sarebbero danneggiati dalla concorrenza di una divisione cargo della compagnia di bandiera italiana. Senza aerei, Alitalia dovrà lasciare le sue tratte alle compagnie low-cost, che ne approfitteranno per imporre il loro dominio sul mercato italiano, con le conseguenze ben immaginabili: è impossibile entrare nel dettaglio, ma esistono decine di situazioni in cui i subappalti significano mancanza di diritti e salario, il tutto aggravato dalla pandemia, con centinaia di lavoratori che non ricevono soldi dall’Inps, spesso per irregolarità del datore di lavoro. Una situazione molto simile a quella che si trova nelle cooperative della logistica.
La sola risposta per i lavoratori a questa «crisi»
In questo quadro si inscrive il significato della vertenza Alitalia per il trasporto aereo italiano: una forte compagnia pubblica, gestita dai lavoratori e non dai politici, dalle banche e dagli speculatori, sarebbe un primo passo per poter garantire a tutti i lavoratori del settore un trattamento salariale e normativo dignitoso, mettendo un freno alle pratiche di dumping sociale negli aeroporti italiani, favoriti dalle compagnie low-cost che inevitabilmente prenderebbero il controllo di molte delle tratte gestite oggi da Alitalia. Non è solo una questione di solidarietà, è una necessità vitale per tutti i lavoratori degli aeroporti italiani. Nazionalizzare, quindi, senza licenziamenti, ma anzi con investimenti nel ramo cargo e con un piano passeggeri che preveda di utilizzare anche i vecchi slot Air Italy per il lungo raggio (una decina di voli intercontinentali al giorno dalla sola Malpensa).
Dopo questo primo passo, la lotta nei vari scali italiani si dovrà intensificare: non è possibile che i lavoratori restino senza tutele mentre le aziende, soprattutto le gestioni aeroportuali, hanno fatto profitti milionari in questi anni. Gli aeroporti italiani vanno nuovamente nazionalizzati, e i loro lavoratori, da quelli della sicurezza a quelli delle pulizie, devono essere assunti direttamente dalle aziende pubbliche che gestiranno i vari aeroporti, con conseguente parificazioni di salari e diritti.
L’obiettivo della lotta dei lavoratori di tutto il settore dovrà essere, in definitiva, un sistema del trasporto aereo integralmente pubblico, dagli aeroporti fino alla compagnia di bandiera, che dovrà inglobare anche lavoratori e tratte della vecchia Air Italy e delle altre compagnie lasciate fallire di recente: un tale sistema non solo non sarà a carico della collettività, ma sarà una risorsa, una volta tolti i profitti ai privati e utilizzati per finanziare i necessari collegamenti aeroportuali in Italia.
Se il governo non cederà di fronte alla lotta dei lavoratori uniti, l’unica alternativa sarà costruire un governo che sia realmente al servizio dei lavoratori e che applichi le misure necessarie per tutelarli. A qualcuno forse potrà sembrare un’utopia, ma è l’unica strada credibile per salvare i lavoratori Alitalia e di tutto il trasporto aereo italiano