Partito di Alternativa Comunista

Lo sfruttamento ai tempi del Coronavirus Intervista ad alcuni operai e lavoratori di Cremona

Lo sfruttamento ai tempi del Coronavirus

Intervista ad alcuni operai e lavoratori di Cremona

 

 

 

a cura del Pdac Cremona

 

 

 

Il nostro partito ha già scritto e scriverà ancora parecchio riguardo alla pandemia che sta colpendo l’umanità e ogni volta, analizzando la questione da una prospettiva di classe, emerge come a farne le spese siano soprattutto i lavoratori, le lavoratrici e la parte più debole della popolazione. In questo articolo abbiamo voluto dare voce direttamente ai lavoratori delle fabbriche del nostro territorio, uno dei più colpiti dall’epidemia, la provincia di Cremona: le nostre analisi e le nostre denunce trovano riscontro evidente nella realtà delle diverse situazioni lavorative.

 

La parola ai lavoratori

Abbiamo cercato di capire, chiedendo a lavoratori di diversi settori e ambiti lavorativi della città di Cremona, come viene affrontata questa emergenza nei loro luoghi di lavoro, qual è il clima diffuso tra i colleghi di lavoro, cosa ritengano vada fatto per cercare di tutelare veramente la salute dei lavoratori e delle lavoratrici. Precisamente, abbiamo intervistato: un operaio di una grande industria, le acciaierie Arvedi, colosso della siderurgia dove lavorano 1600 operai; un lavoratore della Corazzi, una media impresa con circa un centinaio di dipendenti dove si fabbricano spugne; un dipendente delle poste; un impiegato delle Ferrovie dello Stato. Dalle loro testimonianze, senza distinzione, emergono tre aspetti fondamentali che confermano quanto da noi già scritto in numerosi articoli: primo, le misure sanitarie per contenere il contagio (sanificazione ambienti, distanza di un metro, mascherine) non vengono rispettate (anche perché non sempre è facile rispettarle sul luogo di lavoro); secondo, tutti i lavoratori si sentono in pericolo e chiedono in coro la chiusura totale delle fabbriche e delle attività non essenziali; terzo, soprattutto tra gli operai delle fabbriche, si stanno diffondendo solidarietà reciproca e voglia di ribellione, dopo che si sono sentiti nuovamente traditi e abbandonati dalle loro direzioni sindacali che non hanno voluto proclamare lo sciopero prolungato, assecondando i padroni nella loro richiesta di continuare a produrre.

 

Quali sono le misure anti-contagio adottate nei vostri posti di lavoro?

Lavoratore Arvedi: “Ci misurano la temperatura all’ingresso e ci forniscono le mascherine chirurgiche, i guanti, il gel disinfettante. Fanno sanificazione degli ambienti”.

Lavoratore Corazzi: “Volantini informativi e dispositivi di protezione come occhiali, mascherine chirurgiche e guanti”.

Lavoratore Poste: “Le misure di sicurezza all’ufficio postale sono limitate alla distribuzione di mascherine di carta, spesso non disponibili per tutti gli impiegati. Il disinfettante promesso non è mai arrivato”.

Impiegato FS (Ferrovie): “Sanificazione del posto di lavoro ogni 4 ore, mascherine e guanti da riutilizzare più volte perché disponibili in numero limitato”.

 

Credi che siano misure efficaci?

Lavoratore Arvedi: “Assolutamente no! Quando ho fatto la leva militare, mi avevano insegnato che in caso di contaminazione virale sono veramente isolanti solo le maschere nucleo-batteriologiche (nbc), mentre le mascherine che ci danno in dotazione non garantiscono in maniera assoluta la protezione da un eventuale rischio di contagio. Inoltre, è difficile rispettare sempre la distanza minima di 1 metro, perché, nonostante le aree di lavoro siano ampie, vi sono diversi luoghi di passaggio comuni dove transitano contemporaneamente circa 550 operai per turno”.

Lavoratore Corazzi: “No, alcune norme igieniche sono impossibili da rispettare se si chiede di non diminuire il volume produttivo. Il rischio contagio rimane elevato, anche perché non vengono sanificati gli impianti e per alcune lavorazioni o in alcuni locali tipo gli spogliatoi non sempre si riesce a rispettare la distanza di sicurezza. Inoltre siamo costretti a riutilizzare le mascherine in dotazione per più giorni dal momento che sono difficilmente reperibili”.

Lavoratore Poste: “Assolutamente no! E la cosa è molto grave”.

Impiegato FS: “Non credo, anche se si disinfetta spesso la postazione lavorativa”.

 

Il padrone fa pressione sui lavoratori affinché vadano a lavorare?

Lavoratore Arvedi: “Nessuna pressione diretta ma il solito uso delle lettere paternalistiche dove si invitano i lavoratori a non mettersi in malattia inutilmente. Dopo lo scellerato protocollo governo-padroni-sindacati confederali, diversi colleghi, con situazioni familiari delicate (genitori anziani o con già altre patologie, figli piccoli ecc.), si sono giustamente preoccupati e, siccome non è stata imposta la chiusura della fabbrica, si sono visti costretti a mettersi in malattia. L’azienda ha così scritto a tutti il lavoratori ‘di farsi un esame di coscienza’ (!) dicendo che, a causa dell’elevato ricorso alla malattia, gli altri operai rimasti al lavoro saranno costretti a fare straordinari”.

Lavoratore Corazzi: “Molti lavoratori si sentono minacciati e ricattati”.

Lavoratore Poste: “Nessun tipo di pressione, non essendo un’azienda privata non ne fanno, anche perché sarebbe troppo scandaloso in questo frangente. Fortunatamente il sindacato è ancora presente e riesce vigilare su atteggiamenti di questo tipo”.

Impiegato FS: “Nessuna pressione particolare, ma inviano in continuazione comunicati in cui ringraziano chi resta a lavoro e invitano a rimanere a lavoro”.

 

I tuoi colleghi come stanno reagendo a questa situazione?

Lavoratore Arvedi: “La situazione sanitaria a Cremona è veramente problematica e le condizioni della fabbrica sono pessime, quindi tutti hanno paura e non si sentono al sicuro. Ulteriore panico è stato causato dall'ennesimo tradimento perpetrato dalle direzioni sindacali, Cgil in testa. Dal momento che non produciamo beni di prima necessità, c’era speranza che si arrivasse a imporre la chiusura e parecchi miei colleghi avevano fiducia in Landini. Il protocollo è stato come una doccia fredda e diversi lavoratori hanno dichiarato di voler strappare le tessere del sindacato”.

Lavoratore Corazzi: “Tutti si aspettavano una risposta seria da parte del governo e del padrone. Perfino i più fedeli lacchè chiedevano almeno una chiusura di 15 giorni. Molti lavoratori si sono messi in malattia o in congedo, gli altri volevano fare sciopero. Ho notato uno spirito di unità tra i miei colleghi”.

Lavoratore Poste: “Siamo tutti arrabbiati, e ci mancherebbe! Molti di noi si sono già ammalati, proprio per il lavoro che facciamo che ci espone ad un alto rischio contagio, essendo a contatto con diversa gente tutti i giorni”.

Impiegato FS: “I lavoratori sono tutti arrabbiati poiché si sentono esposti al rischio inutilmente. Inoltre la parziale riduzione dell’orario di lavoro è compensata col furto delle ferie pregresse e, dove non bastassero, anche di quelle dell’anno in corso: questa cosa aumenta i mugugni e i malumori”.

 

Cosa pensi che servirebbe fare davvero?

Lavoratore Arvedi: “Semplicemente che venga imposta la chiusura totale di tutte le fabbriche fino alla fine dell’emergenza”.

Lavoratore Corazzi: “Chiudere le fabbriche per almeno 15 giorni e unità d’intenti tra i lavoratori. Ringrazio il Pdac per l’intervista e per essere sempre al nostro fianco nei momenti di difficoltà”.

Lavoratore Poste: “Serviva chiudere per almeno due settimane secondo me. Che senso ha tenere gli uffici postali aperti? È così necessario e vitale dover pagare una bolletta? I soldi si possono ritirare anche agli Atm esterni senza bisogno di dover entrare in ufficio. Anche assicurazioni, prestiti e buoni postali si potevano sottoscrivere dopo la fine di questa emergenza credo. Per concludere, governo e mass media pubblicizzano con forza lo ‘stare in casa’, ma poi ti costringono ad andare a lavorare. Una cosa vergognosa che ha causato morti inutili. Due miei colleghi di Bergamo sono morti a causa del Coronavirus, se avessero potuto davvero stare a casa sarebbero ancora vivi”.

Impiegato FS: “Bisogna chiudere ogni attività non indispensabile alla mera sopravvivenza. Gli operatori sanitari dovrebbero essere retribuiti di più e godere di ulteriori ferie non appena rientrata questa emergenza. Inoltre vanno garantiti migliori dispositivi protettivi per far sì che non si contagino e dovrebbe essere garantita una forma di assicurazione supplementare per chi si ammala”.

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