Le
intimidazioni padronali
non fermeranno la nostra lotta!
Intervista a Luis Seclen, vittima di un attentato
incendiario
a cura della redazione
web
Siamo ad Agrate
Brianza, nell’hinterland milanese. Insieme a una trentina di persone, tra
operaie e solidali, stiamo picchettando i cancelli della Montrasio, una delle
tante cooperative dove i diritti dei lavoratori, in particolare delle
lavoratrici, vengono ogni giorno calpestati.
Qui con noi c’è Luis Seclen,
dirigente del del Si.cobas, il sindacato che sta organizzando la lotta, e
dirigente di Alternativa Comunista, che ha subito, proprio per aver organizzato
questa lotta, un attentato incendiario che gli ha devastato la
macchina.
Luis puoi raccontarci
quando è iniziata la lotta delle operaie della Montrasio e quali sono i
motivi?
Tutto è iniziato la scorsa estate. Dopo una
serie di segnalazioni fatte all’Inps, si è scoperto che la cooperativa non
versava tutti i contributi pensionistici che spettavano alle operaie. Ulteriori
verifiche hanno fatto emergere, oltre a quelle contributive, delle differenze
salariali: lo stipendio era inferiore a quello che doveva essere corrisposto
secondo il Contratto Nazionale di categoria.
E’ così che il 28 agosto, dopo
aver chiesto inutilmente un incontro con i dirigenti della cooperativa per
sanare le varie irregolarità, le lavoratrici hanno deciso di indire lo stato di
agitazione che ha segnato l’inizio della lotta.
Mi sembra di capire
che le lavoratrici fin da subito si sono dimostrate decise a difendere i loro
diritti, o sbaglio?
No, non ti sbagli. Premetto che dei circa
trenta tra operai e operaie della cooperativa, oltre una dozzina sono iscritti
al Si.cobas, il solo sindacato che qui oggi difende con la lotta, le
mobilitazioni e i picchetti, i lavoratori di un settore in cui i diritti
politici e sindacali sono costantemente negati.
E’ successo anche qui da noi. Dopo una serie
di vicissitudini tre iscritte al nostro sindacato a novembre sono state lasciate
a casa. Dico lasciate a casa perché la cooperativa non le ha licenziate, ha solo
intimato loro di non presentarsi al lavoro.
Perché?
Perché per risparmiare poche decine di euro
di tasse, l’azienda non ha voluto licenziarle formalmente: questo ha impedito
alle lavoratrici di poter chiedere il sussidio di disoccupazione. Sono state
lasciate senza lavoro, senza stipendio, e senza quel minimo di sostegno che oggi
garantisce il sussidio di disoccupazione.
Cosa è successo in
seguito?
E’ successo che il 18 gennaio del 2016,
insieme alle lavoratrici, abbiamo organizzato uno sciopero per il ritiro dei
licenziamenti (nel frattempo saliti a 7). Anche in questo caso la cooperativa ha
continuato con i suoi trucchi: visto il successo dello sciopero ha deciso il
ritiro dei “licenziamenti”, ma solo quattro sono effettivamente tornate al
lavoro. Ma non solo. Abbiamo richiesto nuovamente l’applicazione del Contratto
Nazionale (nel frattempo la cooperativa ha deciso di non fare più
riferimento a quello della logistica ma al contratto dei tessili, più
vantaggioso per lei).
Avevamo raggiunto un accordo per far sì che entro
marzo venissero sanate tutte le irregolarità.
Tieni conto che la cooperativa
paga un salario di 950 euro per 220 ore al mese di lavoro, quando in realtà
dovrebbero essere 1400.
Ma anche questa volta la cooperativa non ha
rispettato l’accordo. I dirigenti hanno inviato una proposta per cui il recupero
salariale veniva spostato a ottobre 2018! Così il 29 febbraio abbiamo fatto un
secondo sciopero.
Gli altri
sindacati, la Cgil ad esempio, che ruolo hanno avuto?
Devi
sapere che da noi, come in molte cooperative, la Cgil non esiste. Solo di
recente i suoi burocrati sono stati contattati dalla cooperativa allo scopo di
tesserare qualche lavoratore appena assunto, quindi facilmente ricattabile, al
solo scopo di consentire alla cooperativa di siglare un accordo formalmente
valido ma in realtà di nessuna garanzia per i lavoratori.
Come in decine di
altre situazione la Cgil ha svolto il ruolo di sindacato di “comodo” al soldo
dei padroni.
E adesso come pensate
di continuare con la lotta? Due giorni fa sei stato vittima di un attentato
incendiario: ti hanno bruciato e distrutto la macchina proprio per il tuo ruolo
di attivista sindacale al fianco degli operai e delle
operaie.
Da parte delle lavoratrici e del Si.cobas
c’è la volontà di resistere un minuto in più dei padroni. Minacce,
intimidazioni, avvertimenti di stampo criminale non ci fermeranno.
Domani
(venerdì 29 aprile, ndr) dovremmo avere un incontro, speriamo chiarificatore,
coi vertici della cooperativa. Ma fin da oggi devono aver chiaro che non
accetteremo più rinvii, trucchi e perdite di tempo. Se pensano di fiaccare la
nostra resistenza si sbagliano di grosso. Da qui non ce ne andremo finché non
vedremo riconosciuti i diritti di tutte le lavoratrici e lavoratori di aver
garantiti i loro diritti alla libertà sindacale, politica, a un salario come a
loro compete, in poche parole senza il riconoscimento della nostra
dignità!
Come Pdac continueremo
a essere al fianco di questa e delle altre lotte che si stanno sviluppando
specialmente in questo settore e nel nord. L'appello a tutti gli attivisti,
politici e sindacali della sinistra, è a sostenere queste lotte, favorendone
l'estensione e il rafforzamento, e ad organizzare l'autodifesa dei picchetti di
sciopero dalle violenze padronali e poliziesche.