Partito di Alternativa Comunista

L’assemblea nazionale della Cub: un bilancio

L’assemblea nazionale della Cub: un bilancio

 

 

 

di Diego Bossi (operaio Pirelli, Allca-Cub)

 

 

Nei giorni 10, 11 e 12 marzo, a Chianciano terme, si sono svolti i lavori della 5° Assemblea nazionale di quello che è, a oggi, uno tra i maggiori sindacati di base in Italia. Fatta questa breve e doverosa premessa, è utile comprendere che i congressi non cadono dal cielo ma sono la fotografia più rappresentativa possibile di un determinato momento di vita di un’organizzazione; e la fotografia della Cub di oggi non è affatto confortante ma, come vedremo, da questa tornata congressuale emergono anche elementi positivi e incoraggianti.

 

Lo stato di salute della Cub

La Cub, oggi, a dispetto delle numerosissime e importanti realtà di lotta che organizza (Alitalia, Stellantis, Pirelli, Telecom, Ikea, Carrefour, Esselunga, scuole, trasporti, sanità ecc.) soffre di una direzione burocratizzata: il settarismo, l’autoreferenzialità, alcune forme di leaderismo e una costruzione che ha sostituito i criteri politici con criteri parentali e personalistici sono solo alcune delle piaghe che non onorano le lotte delle lavoratrici e dei lavoratori iscritti alla Cub. Queste tossine all’interno del sindacato frenano lo sviluppo delle lotte e le isolano, poiché sulla base si riflettono le faide intestine interne alla direzione.
Tra i sintomi che meglio di altri raccontano lo stato di salute, ovvero il livello di burocratizzazione di un sindacato, vi sono l’età media, il ricambio e la composizione degli organismi. Oggi la Cub è un’organizzazione diretta da decenni dalle solite chiome bianche, l’età media dei dirigenti è alta e spesso i lavoratori attivi alla testa di importanti lotte non sono, come dovrebbe essere, alla direzione del loro sindacato. Sarà pur vero che in questo, la Cub, si trova in «buona» compagnia di tutto il sindacalismo di base, ma questo non ci conforta affatto, anzi, aggrava il quadro generale.

 

La spaccatura congressuale

La platea congressuale si è divisa in due tesi, A e B, che proponevano due diverse soluzioni organizzative, dove al centro della contesa, sostanzialmente, vi erano tre questioni proposte dalla tesi A e rifiutate dalla tesi B: l’accorpamento di federazioni in comparti, la costituzione di una federazione del sociale, la sottoscrizione dell’accordo interconfederale del 10 gennaio 2014 in materia di rappresentanza sindacale (Tur).
Per quanto riguarda l’accorpamento in comparti delle categorie, al di là degli aspetti organizzativi che possono essere discussi laicamente, ravvisiamo che a monte c’è l’intento di manovrare le federazioni a favore di una centralizzazione del potere al livello confederale e di un relativo assetto in termini di votazioni negli organismi, con il rischio, paventato da alcuni compagni durante il dibattito congressuale, di modificare l’assetto strutturale rischiando di perdere la cosiddetta «nazionalità», requisito necessario per gli art. 28 (condotta antisindacale) nei tribunali borghesi.
Sul secondo punto, la costituzione di una federazione del sociale, pensiamo che in un sindacato debbano prevalere ed essere determinanti le categorie del lavoro; al contempo, non dobbiamo cadere nell’errore che rappresenterebbe l’estremo opposto, poiché all’interno della nostra classe ci sono settori che subiscono oppressioni, come il maschilismo e il razzismo, che vanno a sommarsi allo sfruttamento del capitale sul lavoro ed è importante che queste lavoratrici e questi lavoratori trovino nella loro organizzazione sindacale degli spazi in cui confrontarsi ed elaborare le loro rivendicazioni.
Infine quella che crediamo essere la questione più spinosa: la sottoscrizione del cosiddetto Tur. Firmare il Tur significa accettare in toto l’intero sistema concertativo delle direzioni di Cgil, Cisl e Uil; significa vanificare un decennio di lotte che i migliori attivisti della Cub hanno fatto nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro, esponendosi in prima persona per promuovere il sindacalismo conflittuale; significa sconfessare, davanti ai padroni, le avanguardie operaie che si sono letteralmente consumate per tenere dritta la barra di classe e difendere valori come la democrazia operaia e l’indipendenza di classe. Non si tratta di scegliere un modello di rappresentanza anziché un altro: quella firma avrebbe un vero e proprio valore politico e programmatico, sarebbe il suggello alla capitolazione, la pietra tombale al sindacalismo conflittuale. A quali interessi corrisponde il Tur? Perché dovremmo entrare nella stanza dei bottoni per rimanere comunque «figli di un dio minore»? Se ciò che più preme è ottenere un posto al tavolo col nemico di classe, barattando la nostra piena libertà di lottare, tanto varrebbe prendere la sedia imbottita della Cgil al posto dello sgabellino fatiscente che spetterebbe alla Cub. I lavoratori hanno bisogno di un’organizzazione conflittuale, realmente democratica e libera dai ricatti di Confindustria e non possono rinunciarvi per permettere a qualche burocrate opportunista di pavoneggiarsi davanti allo specchio del padrone.

 

Alcune lezioni importanti

L’epilogo dell’assemblea nazionale della Cub è ormai nota, specialmente alle attiviste e agli attivisti: ha vinto a maggioranza semplice la tesi A. Seppure da più voci siano stati messi in discussione i numeri dei delegati per categoria, ciò che è oggettivo e indiscutibile è che manca una correzione in senso pluralista del proporzionale, vale a dire una norma che metta un tetto ai delegati per federazione al fine di favorire una più equilibrata rappresentanza di tutte le categorie. Questo sarebbe confacente a una «confederazione» propriamente detta, questo non è.
Ci sono però tre lezioni importanti che possiamo portare a casa da Chianciano.
1) alla spaccatura in due aree tra tesi A e B noi dobbiamo sovrapporre, da marxisti, la più importante separazione trasversale tra la base e la direzione del sindacato. I lavoratori iscritti alla Cub hanno assistito alla vergognosa capitolazione di dirigenti che fino a poco tempo fa tuonavano contro il Tur; al contempo non sono mancati, nemmeno nel campo della tesi B, coloro che il Tur lo avrebbero firmato eccome, sin dalla prima ora! Questa è una lezione importantissima: costoro valutano la sottoscrizione dell’accordo della vergogna sulla base dell’opportunità del momento, per occupare uno spazio politico. Nulla hanno a che vedere con gli operai che il Tur lo avversano perché lo vivono sulla loro pelle! Dal punto di vista politico non c’è grande differenza tra alcuni sostenitori della tesi A e altri sostenitori della tesi B: sono fatti della stessa pasta. Contro i primi faremo una durissima battaglia politica, coi secondi faremo unità d’azione su alcuni punti senza riporre in loro alcuna fiducia, perché la fiducia del proletariato bisogna guadagnarsela sul campo della lotta di classe.
2) Il proletariato industriale, delle grandi multinazionali del commercio e dei grandi settori pubblici come i trasporti, la scuola e la sanità, si è rivelato essere la vera ossatura del sindacato conflittuale: lavoratrici e lavoratori che da anni portano avanti con coraggio battaglie durissime nei luoghi di lavoro: ieri come oggi sono l’avanguardia.
3) Queste avanguardie di lotta che la direzione burocratizzata della Cub vuole mettere in minoranza e isolare, come fossero un impiccio di cui liberarsi, sono il vero patrimonio da cui ripartire per la costruzione sana e democratica di un sindacato di base, di classe e di lotta.
Sappiano coloro che sono al timone della Cub che sulla strada dell’omologazione in sindacato compatibile col sistema dovranno misurarsi con la tenace resistenza di tutte le lavoratrici e i lavoratori che in trent’anni la Cub l’hanno costruita. E questa resistenza è animata dalla lotta contro l’opportunismo, una lotta che il Pdac sostiene con onestà e determinazione in tutti i sindacati.

 

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