Ilva, prove tecniche di accordo tra rabbia operaia
e il solito ricatto: salute o lavoro
di Francesco Carbonara
Al piano di ArcelorMittal gli operai rispondono con 24
ore di sciopero, cortei, picchetti e occupazione del sito genovese. Il Pdac al
loro fianco per rivendicare la gestione operaia delle fabbriche
Il
9 ottobre il tavolo previsto al MISE sulla vertenza Ilva, azienda attualmente
in amministrazione straordinaria, che avrebbe visto impegnati oltre ai
sindacati e alle istituzioni i vertici societari di ArcelorMittal, l'azienda in
procinto di prendere il controllo di Ilva, è saltato perché persino il ministro
Calenda ha ritenuto “irricevibile” l'offerta dell'azienda acquirente a causa
dell'evidente passo indietro di ArcelorMittal sulle garanzie salariali per i
lavoratori presentate dallo stesso gruppo italo-indiano in fase di gara.
«Bisogna
ripartire dall'accordo di luglio, dove si garantivano i livelli retributivi. Se
non si riparte da quell'accordo la trattativa non va avanti» queste le parole
di Calenda, in cui non vi è alcun riferimento alle questioni ambientali e al
numero di esuberi.
Eppure
le istituzioni borghesi mostrarono entusiasmo quando il gigante dell'acciaio
ArcelorMittal appartenente al gruppo AmInvest e Co, gruppo in cui è entrata a far
parte anche la Marcegaglia, si fece largo tra ben ventinove manifestazioni
d'interesse che si proposero durante la gara nonostante, fin da allora, la
compagine societaria dichiarò apertamente migliaia di esuberi per l'attuazione
del nuovo piano industriale .
Insomma, ciò che il governo oggi giudica
“irricevibile” non è altro che la conferma di quanto ArcelorMittal aveva già
annunciato in fase di gara, ossia che per rilanciare l’azienda sarebbero stati
necessari pesanti tagli al personale (4000 esuberi) divisi tra gli stabilimenti di Taranto e Genova e la
riduzione dei salari dei rimanenti lavoratori per mezzo della loro riassunzione
con il Jobs Act, che farebbe risparmiare ai nuovi padroni fino a 7000 euro
annui per ogni lavoratore riassunto, oltre a far perdere loro i diritti
acquisiti fino ad oggi con sangue e sudore. In definitiva, come sempre accade
in queste situazioni, governo e padroni cercano insieme di scaricare i costi di
queste operazioni sui lavoratori.
Il violento attacco alla salute e all'incolumità dei lavoratori
Occorre ricordare che sono decenni che i lavoratori
dello stabilimento tarantino, e non solo, pagano le conseguenze delle politiche
industriali padronali anche in termini di vite umane. È doveroso ricordare,
infatti, che uno studio condotto da Arpa Puglia e Ares Puglia, quindi non
proprio da istituti bolscevichi, mette in evidenza come le polveri sottili
industriali (Pm10) siano responsabili di un aumento del 4% del rischio di
mortalità, in particolare del 5% per tumore polmonare, oltre che del 10% per
infarto del miocardio.
L’anidride solforosa, invece, provoca un aumento del
9% della mortalità, con eccessi più marcati per tumore polmonare (+17%) e
infarto (+29%). Inoltre, nel periodo compreso tra il 2006 e il 2011 entrambi
gli inquinanti sono stati responsabili dell'aumento del rischio di tumore del
polmone tra i residenti: alle polveri è imputabile un +29%, mentre all’anidride
solforosa sarebbe riconducibile un incremento del 42%.
Se si considerano i ricoveri per quartiere di residenza,
emerge un “eccesso di ricorso alle cure ospedaliere” compreso tra il 7 e il 50
per cento a Tamburi e Paolo VI, con dati rilevanti nella fascia d’età compresa
tra gli 0 e i 14 anni. I bambini finiscono più spesso in ospedale se sono
residenti a Tamburi (+24%), Borgo (+16%) e Paolo VI (+26%) e gli incrementi
diventano ancora più elevati quando si considerano le sole infezioni delle vie
respiratorie. Ormai non è più un segreto, in quanto è dimostrato che
l’andamento della mortalità segue di pari passo l'andamento produttivo e di
inquinamento nel quartiere Tamburi che continua a mietere vittime tutt'oggi.
Per quanto riguarda le morti bianche, cioè quelle
avvenute direttamente nei reparti di produzione, i numeri sono altrettanto
inquietanti. Sono 51 le morti bianche a partire dal 1993 ad oggi, mentre
risulta difficile la ricostruzione a partire dall’apertura del centro
siderurgico. Lo scrittore Roberto Nistri, nel suo libro «La città
dell’acciaio», cita 386 morti dal 1960 al 1977 e mancano, quindi, i riferimenti
agli anni che vanno dal 1977 al 1993. Il giornalista e scrittore Angelo Mellone
riporta un'altra fonte sul libro Acciaiomare parlando di circa 500 infortuni
mortali.
Scavalcare le burocrazie sindacali, lottare contro padroni e governi da una prospettiva di classe!
Alla luce di tutto questo, dopo l'ennesimo attacco
nei confronti dei lavoratori, i sindacati, incalzati dal basso, si sono visti
costretti a proclamare 24 ore di sciopero nelle quali hanno preso forma cortei
e picchetti a Genova e Taranto dove è esplosa la rabbia operaia. Mentre in un
secondo tempo, nei giorni scorsi, visto lo stallo della trattativa, gli operai
hanno occupato lo stabilimento di Genova.
Sconcertante è l'atteggiamento delle burocrazie
sindacali che, come sempre, cercano di spostare il campo di battaglia dalle
fabbriche e le piazze ai tavoli concertativi istituzionali, dove lunghe,
inutili ed estenuanti trattative messe su ad arte in accordo con i padroni non
hanno altro scopo che sfiancare gli operai in lotta.
Sulla posizione dei sindacati la dice lunga la
recente dichiarazione di Landini (ex leader dei metalmeccanici) che a riguardo
si limita a chiedere di inserire tra gli azionisti dell’Ilva la Cassa Depositi
e Prestiti come “garanzia” e soluzione della controversia.
Non avendo alcuna intenzione di organizzare una vera
mobilitazione nazionale, i sindacati burocratizzati continuano a
svolgere il loro ruolo di pompieri delle lotte cercando in ogni modo di
contenere la rabbia della classe operaia.
Noi di Alternativa comunista, invece, crediamo che
gli operai debbano auto-organizzarsi e rivendicare la proprietà e la gestione
della fabbrica per poterla chiudere e poi riconvertire per fini civili. In tal
modo, usando il patrimonio confiscato ai Riva (ex padroni dell'azienda), i
lavoratori potrebbero occuparsi personalmente di questo processo, potrebbero
liberare Taranto dalla devastazione ambientale e i suoi cittadini dall'eterno
ricatto salute o lavoro, rompendo con le burocrazie sindacali per far saltare i
piani di governo e padroni che altro non hanno da offrire se non il sacrificio
del proletariato sull'altare del proprio profitto.
Come militanti di Alternativa comunista appoggeremo
ogni iniziativa operaia di lotta contro padroni e governi che vada nella
direzione da noi indicata, all'Ilva e in ogni altra realtà.