Partito di Alternativa Comunista

Il dibattito al seminario nazionale della Rete 28 Aprile

Il dibattito al seminario nazionale della Rete 28 Aprile
UN'ALTRA LINEA E' NECESSARIA
 
 
di Alberto Madoglio
 
Nelle giornate del 7 e 8 settembre, in un località vicino Parma, si è svolto il seminario nazionale della Rete 28 Aprile, area di sinistra nella CGIL, al quale hanno partecipato circa 100 delegati sindacali.
I lavori sono stati introdotti da una relazione di Giorgio Cremaschi, imperniata sul giudizio dell’attività del governo in quest’ultimo anno, alla luce dell’accordo siglato il 23 luglio con le organizzazioni sindacali di cui abbiamo ampiamente parlato in un precedente intervento apparso sul nostro sito web (e su cui torneremo ancora domani in relazione al referendum e alla posizione assunta dalla Fiom).
Per Cremaschi, la Finanziaria dello scorso anno ha segnato il punto di svolta a favore di una politica liberista: da quel momento l’Esecutivo avrebbe sposato definitivamente le indicazioni avanzate dalle forze moderate della coalizione, rappresentate dal ministro Padoa Schioppa; il protocollo  dello scorso luglio sarebbe, al momento, il punto di maggior attacco alle condizioni di vita dei lavoratori e, per la prima volta, ci troveremmo di fronte a una riforma dello stato sociale in cui manca la pur minima impronta keynesiana, in cui solo le classi subalterne sono chiamate a farsi carico dei sacrifici richiesti. E’ opinione del relatore che di fronte a ciò la risposta della Cgil sia stata del tutto insufficiente: intrappolata nella logica del “governo amico”, la maggioranza di Epifani ha accettato di firmare un documento che contraddice le stesse tesi votate dalla maggioranza nell’ultimo congresso della Cgi e che è solo la versione aggiornata del Patto per l’Italia, siglato da Cisl, Uil col governo di Berlusconi.
Davanti alla totale mancanza di autonomia sindacale nei confronti del governo e del costituendo Partito Democratico, Cremaschi ritiene inevitabile per la Rete compiere un "salto di qualità", che consisterebbe in una più ferma e chiara opposizione alla linea di Epifani, avente come assi centrali la decisione di presentare un documento alternativo a quello della maggioranza al prossimo congresso della confederazione, la battaglia per il No al referendum sull’accordo del 23 luglio e la presentazione di una piattaforma sociale di rivendicazioni, da proporre in alternativa alla linea concertativa sindacale, evitando che l’opposizione alla stessa sia solo manifestata nel voto contrario al rinnovo dei contratti di lavoro siglati tra padroni e sindacati: un’azione sindacale che dovrebbe, quindi, rilanciare l’indipendenza e l’autonomia nei confronti del governo, evitando di cedere al ricatto di chi sostiene che opporsi a Prodi significa favorire il ritorno di Berlusconi.
 
Nelle posizioni espresse da Cremaschi si avverte una certa maggiore radicalità, tanto che potremmo essere tentati di salutare una, seppur tardiva, svolta a sinistra nella linea sindacale della Rete 28 Aprile. Purtroppo non è così. Queste posizioni in realtà non rompono con una tradizione riformista delle rivendicazioni sindacali che, al di là della fraseologia di sinistra usata per esprimerle, nella sostanza non è in grado di offrire una soluzione reale alle necessità dei lavoratori.
Quando si afferma, ad esempio, che il governo non fornisce una soluzione di stampo keynesiano (quella che andrebbe applicata secondo Cremaschi) per risolvere la crisi che attraversa oggi la società italiana, si sostiene una posizione che, lungi dall’essere realistica, non tiene conto di quali sono oggi i reali spazi di manovra di un governo borghese nel quadro della più generale competizione internazionale per il controllo dei mercati. Le politiche iperliberiste seguite dai governi delle maggiori potenze mondiali, non sono dovute alla mancanza di buona volontà da parte degli Esecutivi, dal non volere impostare una politica di maggiore equità sociale. Esse sono il solo modo che oggi il capitalismo in crisi ha per aumentare i propri profitti, per rendere remunerativo il capitale investito.
Non comprendere, allora, che nell’attuale fase la sola scelta credibile è quella di una lotta contro il sistema di produzione capitalista, rischia di incanalare il malcontento sociale dei salariati in una lotta destinata alla sconfitta, aumentando anche i rischi di passivizzazione di chi ha combattuto senza ottenere nulla.
Quello che può apparire come un dibattito astratto su questioni di lunga prospettiva ha al contrario delle implicazioni concrete e immediate.
Infatti, nonostante le critiche nei confronti del governo Prodi, non è stata avanzata la chiara parola d’ordine della rottura dei lavoratori col governo confindustriale e con i partiti di sinistra che lo sostengono, Rifondazione in primis. Conseguentemente a questa impostazione di fondo si è scelto di legare le sorti della mobilitazione più importante dei prossimi mesi, quella contro l’accordo del 23 luglio, al solo risultato della consultazione che le burocrazie sindacali stanno organizzando con regole truffaldine (urne aperte, controllo degli apparati, nessuno spazio per il No nelle assemblee, voto dei settori passivi, ecc.) che inevitabilmente incideranno sull'esito (la nostra posizione -che articoleremo in altri articoli nei prossimi giorni- è che si debba comunque sostenere il No al referendum, organizzando però dei Comitati che, qualsiasi sia l'esito referendario, continuino poi la loro attività, preparando lo sciopero generale per la cacciata del governo).
La parola d’ordine dello sciopero generale per fermare l'attacco governativo non è presa nemmeno in considerazione, quando in realtà è l’unica sulla quale si possono mobilitare non solo i settori più combattivi della classe operaia, ma più in generale i larghi strati di lavoratori spossati da anni di continui attacchi alle loro condizioni di vita.

Solo chi scrive, come dirigente del Pdac, ha espresso una posizione alternativa a quella avanzata nella relazione, mentre gli altri interventi hanno accettato l’impostazione di Cremaschi.
Solo sulla decisione di partecipare o meno alla manifestazione del 20 ottobre (indetta dalla sinistra di governo), e se costruire o meno la Rete all’interno della Fiom, vi sono state differenti proposte tra gli interventi. Su questo  secondo punto la scelta di non costruire la Rete, per paura di rompere con Rinaldini, dimostra come la questione delle alleanze con i settori più combattivi della Cgil sia intesa come un’alleanza con questo o quest’altro gruppo dirigente, piuttosto che con una mobilitazione che coinvolga tutti i militanti sindacali.
Anche i compagni di Falce Martello (rimasti di fatto l'unica minoranza del Prc) hanno accettato acriticamente la linea maggioritaria della Rete, arrivando nei loro interventi a sostenere che la battaglia per il No al referendum deve essere certo fatta ma stando però attenti ad evtiare di provocare "reazioni disciplinari" da parte della maggioranza di Epifani; oppure hanno risposto alla nostra concretissima proposta di sostenere l'organizzazione dello sciopero generale, spiegandoci che uno sciopero generale... può essere convocato solo se pone tra le sue parole d’ordine la questione del potere proletario. Verrebbe da inorridire di fronte a tanto banali storpiature del leninismo, se non fosse che la storia ci ha mostrato innumerevoli esempi di organizzazioni subalterne a una politica riformista che cercano di salvarsi la faccia con una presunta ortodossia nelle enunciazioni.
 
Se questo è il quadro, come rivoluzionari  tuttavia non dobbiamo né demoralizzarci né chiuderci in un settarismo auto consolatorio. Sarebbe illusorio credere che i settori più avanzati della sinistra sindacale, come ve ne sono anche tra i militanti della Rete 28 Aprile (oltre che nei sindacati di base, in cui pure militano compagni del PdAC), siano immuni dal subire le pressioni di una situazione che vede le maggiori forze del movimento operaio non solo subalterne ma partecipi in prima persona nell’imporre politiche anti operaie (tra l’altro molti dei presenti all'assemblea sono militanti di questi partiti).
In ogni riunione della Rete, sia a livello di camera del lavoro che di categoria, dobbiamo lottare non solo per propagandare ma anche per vedere affermate le nostre posizioni. Altresì, dobbiamo rivendicare una strutturazione realmente democratica della Rete, in cui i suoi rappresentanti siano eletti e revocabili a ogni livello, avendo ben presente il fatto che alla democrazia “del massimo consenso o della mediazione” (che in realtà è la mancanza di ogni democrazia, perché pochi o uno solo decide per gli altri), deve sostituirsi una vera democrazia operaia, in cui ogni decisione è sottoposta al voto dei militanti.

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