Il 25 a Roma contro l'abolizione dell'art. 18
E' un primo passo, ma serve molto di più!
di Massimiliano Dancelli
Il governo Renzi sta proseguendo la sua politica di austerità e la sua opera di smantellamento dei diritti in perfetta continuità con i suoi predecessori da quando la crisi è cominciata. Non ultima l'attuazione del denominato “Job-act”, una legge delega di riforma del mercato del lavoro che naturalmente non preannuncia niente di buono per i lavoratori. Con l'arroganza che lo contraddistingue il segretario del Pd ha lanciato e fatto votare al parlamento proposte quali il de-mansionamento con conseguente ribasso del salario, per avanzata età e quindi (e diremmo noi naturale) minor produttività del dipendente; aumento della precarietà e smantellamento del contratto nazionale; maggior flessibilità dell'orario di lavoro e del salario legati alla mutevole produttività aziendale; infine cancellazione definitiva (già in parte lo smantellò la Fornero) dell'art.18, cioè la concessa libertà di licenziamento per il padrone.
La manifestazione di Roma
Di fronte a tale attacco anche i sindacati concertativi si sono fatti sentire. La Fiom per prima, proclamando una manifestazione per il 18 ottobre e scioperi locali, poi la Cgil che si è accodata in seguito, facendo confluire anche i metalmeccanici in un’unica manifestazione per il 25 dello stesso mese a Roma. Manifestazione che è stata confermata anche dopo l'incontro avuto con il governo il 7 ottobre, nel quale Renzi ha ribadito la sua volontà senza possibilità di confronto o proposte alternative. L'appello alla manifestazione non è stato accolto dagli altri due sindacati concertativi, Cisl e Uil, che si sono espressi a sfavore del Job-act, ma che considerano ad oggi improduttivo uno scontro con chi sta cercando, a loro modo di vedere, di portare l'Italia fuori dalla crisi.
Serve molto di più
E' senz'altro un fattore positivo che
finalmente si decida di portare in piazza i lavoratori, specialmente di fronte
ad un attacco di tale portata. Purtroppo però, e siamo costretti a ribadirlo
per l'ennesima volta, le azioni messe in campo e la piattaforma rivendicativa (al
solito piena di fantasiose quanto inapplicabili soluzioni per rilanciare il
mercato del lavoro) si rivelano del tutto inadeguate ed insufficienti. Quello
che servirebbe ora non è un’innocua passeggiata autunnale tra le bellezze della
città eterna, o qualche presidio o sciopero locale (come proclamato in Emilia Romagna
ad esempio), ma ci sarebbe bisogno più che mai di chiamare i lavoratori alla
lotta vera, a una strenua resistenza. Per prima cosa andrebbe indicata subito
una data per lo sciopero generale, ma sappiamo (l'esperienza greca insegna) che
anche questo non sarebbe sufficiente, sebbene importante. Quello che serve è
rendere la lotta più radicale e cruenta, dare un segnale forte ai padroni e al
loro governo, ad esempio occupando le fabbriche che de-localizzano e
licenziano. In una recente intervista riguardo i 550 licenziamenti alle
acciaierie di Terni, anche Landini si era espresso per questa possibilità,
salvo correggere il tiro ed abbassare i toni poco dopo. Giudichiamo comunque un
passo avanti quello fatto dalla Cgil e dalla Fiom, che seppure bene attenti a
non pestare troppo i piedi al governo del proprio soggetto politico di
riferimento, il Pd, hanno per lo meno il merito di provare a riunire in un’unica
piazza i lavoratori e di farlo provando a superare le recenti divergenze
congressuali. Purtroppo come dicevamo più sopra, se questa giornata non sarà
l'inizio di un percorso reale di lotta che possa mettere davvero in discussione
le fondamenta di questo sistema, sarà stato solo perso del tempo e disperse
delle energie inutilmente.
Questo andremo a spiegare ai
lavoratori quel giorno, perché noi in piazza ci saremo e staremo al loro fianco
per urlare alla Camusso e a Landini che il tempo delle attese è finito, basta
compromessi. Ora servono la lotta e l'unità dei lavoratori, ora
serve lo sciopero generale, ora serve occupare le fabbriche.