Partito di Alternativa Comunista

Fincantieri, la lotta e la speculazione

Fincantieri, la lotta e la speculazione

 

di Marco Sbandi

Nonostante l’attivo e la reputazione delle navi prodotte, l’azienda pubblica (controllata al 46% dal Ministero del Tesoro) ha deciso di chiudere diversi stabilimenti italiani e quello polacco per speculare sulla crisi e far pagare ai lavoratori un prezzo altissimo.

 

 

fincantieri

 

I lavoratori dei cantieri di Castellammare sono finora quelli che si sono opposti con determinazione al piano di chiusura che riguarda anche Ancona e ha già riguardato lo stabilimento di Riva Trigoso, occupando per una settimana gli stabilimenti e portando la loro protesta a Napoli e Roma, ma è mancato loro il sostegno degli altri operai del gruppo Fincantieri, che non sono stati chiamati alla mobilitazione dalle direzioni sindacali.

 

Il prezzo delle privatizzazioni

Nonostante negli anni abbiano garantito, come ci raccontano i delegati Fiom Smino e D’Auria, i migliori tempi di produzione, oggi i lavoratori di Castellammare si ritrovano in cig in deroga o straordinaria e senza un futuro. Ciò dimostra che la produttività è solo un falso pretesto per spremere i lavoratori e scaricarli quando altri interessi rendono meglio.
Il destino della Tirrenia, soprattutto a Castellammare, è parallelo: gestioni interessatamente disastrose tendenti a favorire la concorrenza privata scaricando sui lavoratori il prezzo dell’abbandono del pubblico. Il mito delle privatizzazioni come soluzione per il rilancio dell’economia nazionale rivela nei settori nevralgici tutta la sua falsità: Ferrovie, Alitalia, Tirrenia, Fincantieri, e altri prima nel settore alimentare ed aeronautico. Neanche garantire una forte produttività da parte dei lavoratori ha portato a investimenti sulla sicurezza. La Fincantieri ha risparmiato e continua a risparmiare sulla salute dei lavoratori: i principali rischi sono lo schiacciamento per i carichi sospesi, e poi agli occhi e alle vie respiratorie per le altre lavorazioni. Negli anni non sono mancati incidenti gravi e mortali sia a Castellammare che negli altri cantieri.

 

Licenziamenti: l’altra faccia del profitto

I profitti garantiti alla azienda non hanno spinto i dirigenti fincantieri a investire per un nuovo bacino di carenaggio, perdendo cosi perfino credibilità nei confronti dei committenti internazionali. Oggi una parte dei lavoratori di Castellammare viene spedita a Marghera, come mero strumento di ammortizzazione sociale, e soprattutto come ennesima misura per dividere e contrapporre i lavoratori dei vari cantieri e mettere i dipendenti diretti contro quelli delle aziende dell’indotto. La maggioranza è in cassa integrazione in deroga e da gennaio in cassa integrazione straordinaria e l’Inps vede già la fine anche di questa come dimostra l’incontro tenutosi in Prefettura tra le parti, dopo l’ennesima ostentazione di disinteresse e disimpegno da parte della Regione oltre che da parte del governo. Circa 2000 famiglie di lavoratori che per generazioni hanno garantito produttività e profitti all’azienda si ritrovano senza lavoro e senza reddito in una regione già spremuta dove già altre migliaia di lavoratori sono stati spremuti per poi essere espulsi dai processi produttivi come rifiuti nelle discariche. Le discariche sono l’unico business al quale governo nazionale e amministrazioni locali sembrano interessati, e che ancora una volta dimostra come il capitalismo non sia altro che una costante rapina e una costante strage compiuta da pochi contro milioni di lavoratrici e lavoratori che, dopo aver pagato in fabbrica, pagano con l’inquinamento dell’ambiente.

 

Unità delle lotte!

Contro questo nemico comune devono unirsi tutti i lavoratori Fincantieri, ed essi a quelli e quelle delle altre fabbriche che speculano sulla crisi, a partire dalla Fiat, l’azienda privata che ha goduto di immani sovvenzioni a fondo perduto da parte dello Stato, ovvero ancora una volta dai lavoratori e dalle lavoratrici. La storia di Fincantieri dimostra anche come il destino dei lavoratori non può essere concepito in base ai confini nazionali, ma deve essere concepito in base ai comuni interessi di classe ovunque nel mondo. L’interesse del capitalismo è cercare ovunque nel mondo lavoratori che accettino condizioni di semischiavitù, la risposta deve essere ovunque nel mondo rifiutare il ricatto della schiavitu in cambio del lavoro. Un primo passo per rilanciare la lotta è l’indizione di un grande sciopero generale di tutte le categorie, che inneschi un percorso di lotte ad oltranza che rivendichi l’esproprio senza indennizzo e sotto controllo operaio di tutte le fabbriche.

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