Il capitalismo in crisi
vuole farci pagare la sua crisi
Fiat: nessun operaio deve essere licenziato!
Fiat: nessun operaio deve essere licenziato!
di Davide Margiotta
(*)
A maggio, nel mezzo dell'operazione
che avrebbe dovuto portare all'acquisizione di Opel da parte di Fiat, il
quotidiano economico tedesco Handelsblatt rendeva noto il cosiddetto
“Progetto Phoenix”, un piano di 46 pagine presentato al governo tedesco
dall'amministratore delegato Sergio Marchionne che prevedeva la chiusura o il
ridimensionamento di diverse fabbriche in tutta Europa: Germania, Spagna,
Svezia, Belgio, Gran Bretagna, Austria e infine Italia.

Gli operai di Termini
Imerese
L'operazione Opel è ad oggi naufragata, ma resta valida la strategia disegnata nel “Progetto Phoenix”: acquisizioni e riorganizzazione (che tradotto significa licenziamenti di massa). Del resto gli effetti delle crisi capitalistiche sono da sempre, innanzitutto, l'aumento della centralizzazione del capitale e delle tensioni commerciali (e quindi politiche e in prospettiva militari). La svalorizzazione provocata dalla crisi favorisce le acquisizioni di imprese: le imprese diventano sempre meno numerose e sempre più gigantesche.
Non sappiamo se Marchionne abbia studiato il Capitale, ma al manifestarsi della crisi dichiarò che sarebbero rimasti nel mondo non più di 6 grandi gruppi automobilistici mondiali.
Il Piano industriale di
Fiat
L'8 luglio si è tenuto al Ministero
dello Sviluppo economico un incontro tecnico per approfondire i contenuti del
Piano Industriale del "Gruppo Fiat" - già illustrato nelle linee generali
dall'amministratore Delegato di Fiat, Sergio Marchionne, lo scorso 18 giugno a
Palazzo Chigi.
Aggiornato il quadro economico ed occupazionale: nel comparto auto, grazie agli incentivi approvati dal Governo italiano, è in atto un significativo recupero delle immatricolazioni che nel 2009 si consolideranno ai livelli dell'anno precedente.
Il quadro appare meno positivo nei diversi comparti dei veicoli industriali e commerciali, nei quali il calo delle vendite è ancora molto alto senza significative previsioni di recupero.
Mentre pubblicamente non è stata presa ancora nessuna decisione per quanto riguarda gli impianti produttivi e quindi il destino di migliaia di lavoratori che rischiano il posto.
Agli operai è chiaro che la volontà di Marchionne sia quella di tagliare teste, e pesantemente. A Termini Imerese, l'impianto maggiormente indiziato di chiudere i battenti, gli scioperi si susseguono incessantemente, con blocchi stradali e ferroviari.
Ufficialmente la Fiat vorrebbe riconvertire la fabbrica, sospendendo la produzione di auto, a partire dal 2012, ma nessuno ci crede. La lotta si profila lunga e dura (incredibilmente questa è tra l'altro la ragione che ha spinto la Fim-Cisl a proporre alle altre sigle confederali di sospendere gli scioperi fino all'avvio del confronto!).
Anche a Melfi si sciopera per il mancato pagamento del premio di produzione, nonostante nello stabilimento si lavori a pieno regime con tanto di straordinari, con cortei all'interno dello stabilimento. Mobilitazioni anche allo stabilimento Cnh di Imola (che dovrebbe chiudere, nonostante sia uno degli impianti più produttivi).
Varie testimonianze raccolte alle carrozzerie Mirafiori, quelle che Marchionne ha definito “intoccabili”, sono concordi nell'affermare che “ tutti qui sanno che nell’obiettivo della dirigenza Fiat ci sono sia Termini Imerese sia Pomigliano”.
Aggiornato il quadro economico ed occupazionale: nel comparto auto, grazie agli incentivi approvati dal Governo italiano, è in atto un significativo recupero delle immatricolazioni che nel 2009 si consolideranno ai livelli dell'anno precedente.
Il quadro appare meno positivo nei diversi comparti dei veicoli industriali e commerciali, nei quali il calo delle vendite è ancora molto alto senza significative previsioni di recupero.
Mentre pubblicamente non è stata presa ancora nessuna decisione per quanto riguarda gli impianti produttivi e quindi il destino di migliaia di lavoratori che rischiano il posto.
Agli operai è chiaro che la volontà di Marchionne sia quella di tagliare teste, e pesantemente. A Termini Imerese, l'impianto maggiormente indiziato di chiudere i battenti, gli scioperi si susseguono incessantemente, con blocchi stradali e ferroviari.
Ufficialmente la Fiat vorrebbe riconvertire la fabbrica, sospendendo la produzione di auto, a partire dal 2012, ma nessuno ci crede. La lotta si profila lunga e dura (incredibilmente questa è tra l'altro la ragione che ha spinto la Fim-Cisl a proporre alle altre sigle confederali di sospendere gli scioperi fino all'avvio del confronto!).
Anche a Melfi si sciopera per il mancato pagamento del premio di produzione, nonostante nello stabilimento si lavori a pieno regime con tanto di straordinari, con cortei all'interno dello stabilimento. Mobilitazioni anche allo stabilimento Cnh di Imola (che dovrebbe chiudere, nonostante sia uno degli impianti più produttivi).
Varie testimonianze raccolte alle carrozzerie Mirafiori, quelle che Marchionne ha definito “intoccabili”, sono concordi nell'affermare che “ tutti qui sanno che nell’obiettivo della dirigenza Fiat ci sono sia Termini Imerese sia Pomigliano”.
I conti
Fiat
Nel terzo trimestre del 2008 l'utile
netto del Gruppo Fiat è cresciuto del 3,1%, arrivando a 468 milioni di euro,
ovvero 14 milioni di euro in più rispetto all'analogo periodo del 2007. I ricavi
sono aumentati del 3,2%, arrivando a 14,3 miliardi di euro. Nei primi nove mesi
del 2008 il fatturato del gruppo è stato di 46,3 miliardi di euro, in aumento
dell'8,4%. Dati positivi insomma, nonostante la crisi e il rallentamento
dell'economia che sul mercato dell'auto aveva cominciato a fare sentire i suoi
segnali già da alcuni mesi. Ora che sì è entrati in una fase recessiva, la Fiat
non varia comunque i propri obiettivi per il 2010 e “conferma il target se entro
il 2009 torna la normalità di mercato”. Nel primo trimestre di quest'anno,
nonostante la crisi, Fiat ha dichiarato profitti per 49 milioni di euro,
garantiti dai licenziamenti dei precari e dall'uso massiccio della Cassa
integrazione (che, ricordiamolo, è pagata per l'80% dai
lavoratori!).
La direzione fallimentare dei
sindacati concertativi, la necessità di un'altra direzione
Fiat ha dichiarato che non
delocalizzerà. Ma lo stesso Marchionne ha affermato esplicitamente che fare
previsioni sul lungo termine, in questo momento critico per il settore, è molto
difficile.
Il settore delle macchine agricole e delle macchine da costruzione soffre della crisi globale e per le aziende del gruppo Fiat di questo comparto sarà necessaria “una razionalizzazione dei siti produttivi” e “un piano per la gestione degli esuberi”.
La direzione maggioritaria delle lotte finora è stata nelle mani dei sindacati concertativi Cgil, Cisl e Uil, che come al solito non intendono mobilitare i lavoratori per strappare dei risultati, ma si limitano alla solita litania di scioperi rituali e simbolici che non offrono nessuna reale prospettiva ai lavoratori. Gli operai della Fiat (come tante volte nella storia italiana) giocheranno nei prossimi mesi un ruolo determinante nello scontro di classe in atto.
Il padronato vuole fare pagare la crisi del capitalismo ai lavoratori. Una vittoria degli operai alla Fiat sarebbe un modello per tutta la classe operaia, il simbolo del capitalismo italiano piegato dalla resistenza operaia.
Ma per fare questo serve una lotta coraggiosa, con obiettivi chiari. La lotta per avere qualche speranza di successo non può essere confinata a un singolo stabilimento e neanche soltanto ai lavoratori del Gruppo Fiat. E' necessario riuscire a costruire, a partire da questa vertenza centrale, l'unità della classe operaia. E' fondamentale riuscire a costruire l'unità delle lotte tra lavoratori, studenti, precari e immigrati contro il progetto del padronato di farci pagare la crisi!
Gli operai della Fiat, per forza, tradizione e organizzazione, possono e devono essere i primi a sperimentare il controllo operaio sulla produzione.
Il settore delle macchine agricole e delle macchine da costruzione soffre della crisi globale e per le aziende del gruppo Fiat di questo comparto sarà necessaria “una razionalizzazione dei siti produttivi” e “un piano per la gestione degli esuberi”.
La direzione maggioritaria delle lotte finora è stata nelle mani dei sindacati concertativi Cgil, Cisl e Uil, che come al solito non intendono mobilitare i lavoratori per strappare dei risultati, ma si limitano alla solita litania di scioperi rituali e simbolici che non offrono nessuna reale prospettiva ai lavoratori. Gli operai della Fiat (come tante volte nella storia italiana) giocheranno nei prossimi mesi un ruolo determinante nello scontro di classe in atto.
Il padronato vuole fare pagare la crisi del capitalismo ai lavoratori. Una vittoria degli operai alla Fiat sarebbe un modello per tutta la classe operaia, il simbolo del capitalismo italiano piegato dalla resistenza operaia.
Ma per fare questo serve una lotta coraggiosa, con obiettivi chiari. La lotta per avere qualche speranza di successo non può essere confinata a un singolo stabilimento e neanche soltanto ai lavoratori del Gruppo Fiat. E' necessario riuscire a costruire, a partire da questa vertenza centrale, l'unità della classe operaia. E' fondamentale riuscire a costruire l'unità delle lotte tra lavoratori, studenti, precari e immigrati contro il progetto del padronato di farci pagare la crisi!
Gli operai della Fiat, per forza, tradizione e organizzazione, possono e devono essere i primi a sperimentare il controllo operaio sulla produzione.
Come scriveva Trotsky:
“Sotto l’influenza della crisi, della disoccupazione e degli accordi di rapina dei capitalisti, la classe operaia, nella sua maggioranza, può trovarsi pronta a combattere per l’eliminazione dei segreti commerciali e per il controllo delle banche, del commercio e della produzione prima di convincersi della necessità della conquista rivoluzionaria del potere.
Impegnato sulla via del controllo sulla produzione, il proletariato sarà spinto inevitabilmente alla conquista del potere e dei mezzi di produzione. I problemi del credito, delle materie prime, del mercato, porteranno senza indugio la questione del controllo aldilà dei limiti delle aziende isolate(…) Le contraddizioni del regime, inconciliabili per loro stessa natura con il controllo operaio, si acuiranno inevitabilmente con l’allargarsi della base e dei compiti di questo controllo e diverranno insopportabili a breve termine.
Bisogna cominciare dal basso, nella fabbrica, nell’officina. Bisogna verificare e sperimentare i problemi del controllo operaio sulla base dell’esempio di qualche impresa industriale, bancaria o commerciale tipica. Bisogna prendere come punto di partenza casi particolarmente probanti di speculazione, di serrata mascherata, di diminuzione fraudolenta dei profitti allo scopo di diminuire i salari, o di aumento fraudolento dei costi di produzione allo stesso scopo.(…) Bisogna cominciare ponendo il problema sul piano puramente tecnico, sulla base degli esempi particolari più probanti, e sviluppare una tenace propaganda per misurare in tal modo la capacità di resistenza del conservatorismo socialdemocratico”
Ovviamente il controllo operaio può essere imposto alla borghesia solo con la forza, e presuppone che il proletariato cessi di subire i piani della borghesia e passi al contrattacco.
Oggi il proletariato italiano non è ancora passato alla fase della controffensiva (e non è detto che lo farà), ma le condizioni oggettive rendono possibile il verificarsi di questa eventualità.
Il compito dei comunisti deve essere quello di propagandare incessantemente le parole d'ordine più audaci e combattive, non certo quello di accodarsi agli umori degli strati più arretrati degli operai.
“Sotto l’influenza della crisi, della disoccupazione e degli accordi di rapina dei capitalisti, la classe operaia, nella sua maggioranza, può trovarsi pronta a combattere per l’eliminazione dei segreti commerciali e per il controllo delle banche, del commercio e della produzione prima di convincersi della necessità della conquista rivoluzionaria del potere.
Impegnato sulla via del controllo sulla produzione, il proletariato sarà spinto inevitabilmente alla conquista del potere e dei mezzi di produzione. I problemi del credito, delle materie prime, del mercato, porteranno senza indugio la questione del controllo aldilà dei limiti delle aziende isolate(…) Le contraddizioni del regime, inconciliabili per loro stessa natura con il controllo operaio, si acuiranno inevitabilmente con l’allargarsi della base e dei compiti di questo controllo e diverranno insopportabili a breve termine.
Bisogna cominciare dal basso, nella fabbrica, nell’officina. Bisogna verificare e sperimentare i problemi del controllo operaio sulla base dell’esempio di qualche impresa industriale, bancaria o commerciale tipica. Bisogna prendere come punto di partenza casi particolarmente probanti di speculazione, di serrata mascherata, di diminuzione fraudolenta dei profitti allo scopo di diminuire i salari, o di aumento fraudolento dei costi di produzione allo stesso scopo.(…) Bisogna cominciare ponendo il problema sul piano puramente tecnico, sulla base degli esempi particolari più probanti, e sviluppare una tenace propaganda per misurare in tal modo la capacità di resistenza del conservatorismo socialdemocratico”
Ovviamente il controllo operaio può essere imposto alla borghesia solo con la forza, e presuppone che il proletariato cessi di subire i piani della borghesia e passi al contrattacco.
Oggi il proletariato italiano non è ancora passato alla fase della controffensiva (e non è detto che lo farà), ma le condizioni oggettive rendono possibile il verificarsi di questa eventualità.
Il compito dei comunisti deve essere quello di propagandare incessantemente le parole d'ordine più audaci e combattive, non certo quello di accodarsi agli umori degli strati più arretrati degli operai.
(*) operaio metalmeccanico;
resp. Dipartimento sindacale Pdac