Dove va la sinistra interna alla Cgil?
Bilancio della riunione nazionale
de “Il sindacato è un'altra cosa”
di Alberto Madoglio
Venerdì 8 luglio a Firenze si è tenuta la riunione nazionale degli aderenti all’opposizione di sinistra in Cgil, "Il sindacato è un’altra cosa". E’ stata la prima riunione dopo gli eventi che hanno sconquassato l’area: le dimissioni del portavoce nazionale Sergio Bellavita e il suo passaggio in Usb e, più importante, l’uscita dall’area e dalla Cgil dei delegati Fiom che nei mesi scorsi, con le loro mobilitazioni, avevano combattuto i diktat aziendali in Fca e per questo erano, di fatto, stati espulsi con una spudorata manovra autoritaria e anti democratica da Landini. Alla riunione erano presenti oltre un centinaio di delegati provenienti da varie realtà territoriali e di fabbrica.
Un bilancio necessario
Se la presenza numerica ha dimostrato che,
pur dopo quanto accaduto, l’area è ancora viva, crediamo che la soluzione della
sua crisi politica e organizzativa sia ancora di là da venire. Senza andare
troppo indietro nel tempo, possiamo affermare che le varie esperienze nate con
l’obiettivo di creare una sinistra di classe nel più grande sindacato italiano
non sono mai state coronate dal successo. Lo stesso possiamo dire, almeno fino
a oggi, per l’area nata sulle ceneri della Rete 28 Aprile allo scorso congresso
della confederazione di Corso Italia.
Tutto ciò è più difficile da comprendere e
giustificare avendo presente la fase storica in cui viviamo. Certo, il basso
livello della conflittualità sociale nel Paese, associato ai forti limiti
settari e burocratici di buona parte del sindacalismo “di base” e conflittuale,
rende impervia la strada per costruire un’alternativa al sindacalismo
concertativo che la Cgil, insieme a Cisl e Uil, continua a voler rappresentare.
Allo stesso tempo, la sempre maggior omologazione da parte di Cgil, e ormai
senza ombra di dubbio anche della Fiom, al quadro economico imposto da padroni
e governo (un quadro fatto di austerità sempre più accentuata, tagli ai salari
e allo stato sociale) amplia gli spazi politici per una alternativa di classe
anche dal versante sindacale. Se il livello della lotta in Italia non ha per il
momento raggiunto i picchi di altri Paesi (da ultimo la Francia), è pur vero
che focolai di esplosione sociale sono stati presenti anche in questi anni.
Il problema è che la sinistra Cgil, alla
prova dei fatti, non solo si è fatta trovare impreparata, ma ha anche seguito
una linea sbagliata.
Nella primavera 2010, quando Marchionne nella
fabbrica dell’allora Fiat (oggi Fca) a Pomigliano lanciava il suo progetto di
imporre un nuovo modello contrattuale, la sinistra Cgil, allora parte della
maggioranza Fiom, sosteneva la linea opportunista di Landini, allora osannato
come nuovo leader di una sinistra non succube alle logiche del liberismo più
sfrenato. Oggi può far sorridere pensare a Landini novello Che Guevara, ma
all’epoca solo il nostro partito resistette a quell’abbaglio collettivo,
continuando a denunciare l'opportunismo del leader della Fiom (che, tra
l'altro, non ha poi esitato a cacciare l'allora portavoce dell'opposizione
interna dalla segreteria nazionale Fiom).
Opposizione sì... ma come?
In questi anni l’opposizione si è spesso
limitata, certo con lodevoli eccezioni dovute ad alcuni coraggiosi delegati di
fabbrica, alla sola discussione negli organismi dirigenti. Un comportamento
che, come prevedibile, non ha portato risultati concreti (gli organismi di quel
sindacato sono di fatto blindati e impermeabili ad ogni riflessione concreta, e
questo a ogni livello, dal direttivo di categoria provinciale fino a quello
nazionale di tutta la confederazione) e allo stesso tempo ha logorato molti
attivisti.
Ciò secondo noi si spiega, principalmente,
con due fattori. Prima di tutto, una incoerenza programmatica. Avere fin da
subito denunciato il carattere reazionario e anti sindacale dell’accordo del 10
gennaio 2014 sulla rappresentanza sindacale (l’accordo della vergogna) è stato
certamente positivo. Ma l’aver poi deciso di presentarsi alle elezioni rsu
accettando quello stesso accordo, di fatto avallandone l'applicazione, ha
impedito che da una opposizione fatta di proclami si passasse a una opposizione
concreta, che avesse la forza di mobilitare i settori più combattivi della
classe operaia con scioperi, picchetti ecc. Questa scellerata decisione ha
probabilmente contribuito, in maniera indiretta, alla capitolazione di alcuni
settori del sindacalismo di base a quell'ignobile accordo (che, ricordiamolo,
cancella di fatto il diritto di sciopero e trasforma i sindacati in mere
agenzie di servizio).
Il secondo fattore è stato il profondo
settarismo dell’area. Nonostante in ogni riunione, incontro, documento non sia
mai mancato un richiamo alla necessità di coordinare le varie realtà in lotta,
tutto questo è rimasto lettera morta. Si è partecipato a sporadiche riunioni
con gli apparati del sindacalismo di base, però con un’ottica di coordinamento
a livello di intergruppo, anziché in quella di unire le lotte.
Lo stesso rifiuto di partecipare al processo
di costruzione del Coordinamento No Austerity, ora Fronte di lotta No
Austerity, unica realtà che si pone l’obiettivo di coordinare le lotte, così
come di aderire alla rete dei sindacati anticoncertativi a livello
internazionale (Rete Sindacale Internazionale di solidarietà e di lotta),
spiega molti dei limiti intrinseci della sinistra Cgil.
Per uscire dalla crisi
Come spesso accade nella vita, delle persone
così come di ogni tipo di associazione, momenti di crisi possono essere il
punto di partenza per un nuovo inizio su basi più solide. Per far sì che ciò
avvenga è necessario rompere con tutto quel passato che ha impedito all’area di
crescere e consolidarsi. E’ indispensabile lanciare una offensiva programmatica
a tutto campo contro la maggioranza che oggi governa in Cgil, non con l’idea
velleitaria di riformare la burocrazia che la domina, ma per creare le
condizioni che permettano alla sinistra Cgil di essere quella credibile
alternativa di classe alla politica fallimentare seguita da Camusso e Landini,
organizzatori di disfatte per il movimento operaio italiano.
Un chiaro programma anticapitalista, che
possa unificare le varie mobilitazioni di oggi (dalla logistica alla
Fincantieri) e del prossimo futuro (la scuola in settembre e i metalmeccanici
nelle prossime settimane tenuto conto dello stallo delle trattative per il
rinnovo contrattuale) non è più rinviabile.
Propedeutico a tutto ciò è un percorso che
porti finalmente la piena democrazia operaia all’interno dell’area. Noi
rifiutiamo la vulgata reazionaria, purtroppo presente anche in settori
dell’area di sinistra, che, facendo di tutta l’erba un fascio, vuole che "i
partiti stiano fuori dal sindacato". Crediamo che il sindacato debba
essere autonomo da ogni partito del
movimento operaio e indipendente e
contrapposto ai partiti borghesi e al governo padronale. Ma questa
indipendenza di classe è possibile solo se il sindacato si organizza sulla base
di una reale democrazia operaia che riconosca il diritto di ogni partito del movimento operaio a intervenire nel
sindacato: purché lo faccia nel rispetto delle scelte e dell'autonomia del sindacato.
Questo però non è quanto è avvenuto finora nell’opposizione
Cgil. Di fatto negli anni il controllo dell’area è stato gestito dall'alto da
organizzazioni politiche che, a prescindere dalla loro reale consistenza nella
lotta di classe e a prescindere dal seguito nell’area (minimale), hanno diretto
l’area in forma anti-democratica, senza che vi fosse mai un reale confronto di
posizioni e senza quindi che i ruoli potessero essere definiti dalla base in
conseguenza del consenso reale sulle diverse posizioni. I gruppi dirigenti sono
sempre stati imposti in virtù della appartenenza di alcuni quadri di questi
gruppi all'apparato sindacale, o per una sorta di diritto consuetudinario, per
cui chi aveva un ruolo nelle vecchie esperienze della sinistra sindacale l’ha
mantenuto per decenni come se ciò gli fosse dovuto; altre volte i dirigenti
sono stati "nominati" non per il loro ruolo reale nelle lotte della
classe, ma solo perché facenti parte di uno dei gruppi che concorreva a questa
gestione.
Ora l'equilibrio di alleanze che reggeva
questa gestione verticistica pare essersi incrinato e ci sono parziali
differenze sulle prospettive dell'area che vedono da una parte alcuni dirigenti
di Sinistra Anticapitalista e del Pcl (il gruppo di Ferrando), dall'altra il
gruppo diretto da Sinistra Classe e Rivoluzione (ex Falce Martello). Tuttavia nessuna
di queste organizzazioni fa un bilancio o mette in discussione le modalità con
cui finora hanno gestito l'area.
E’ giunto il momento che tutto ciò cambi. E'
ora che siano i gli operai e gli attivisti sindacali che lottano nei luoghi di
lavoro a definire, attraverso un percorso democratico, la linea programmatica e
organizzativa dell'area. Per questo i compagni del Pdac, insieme ad altri
compagni, hanno proposto di promuovere un’assemblea nazionale di tipo
congressuale, per imprimere un cambio di rotta. Se la sinistra Cgil vuole
combattere per la democrazia operaia nel sindacato, deve in primo luogo attuare
questa democrazia al proprio interno: in caso contrario a questa crisi
dell'area ne seguiranno altre, così come è già stato negli anni scorsi.
L’approfondirsi della crisi economica e
politica del capitalismo, l'approfondirsi della crisi europea dopo la Brexit,
la ripresa delle lotte di classe in Francia, ci dicono che anche da noi si
avvicina una stagione di grandi mutamenti. E’ un’occasione che non dobbiamo
perdere e che dobbiamo essere preparati ad affrontare, per il futuro della
classe lavoratrice.