Partito di Alternativa Comunista

CONTRIBUTO PER L

CONTRIBUTO PER L’ASSEMBLEA DELLA RETE 28 APRILE

(Milano 15 maggio 2009)

 

presentato da compagne e compagni della Rete 28 Aprile – Per un’area classista

 

 

LA CRISI ECONOMICA

La crisi che sta travolgendo ormai da quasi due anni l’economia capitalista a livello mondiale sta facendo piazza pulita di tutte le teorie che, in special modo dopo il crollo del muro di Berlino, prevedevano che il capitalismo sarebbe stato l’unico sistema politico, economico e sociale in grado di garantire il benessere per l’intera umanità.

Oggi vediamo quanto quegli auspici fossero falsi. Nessun ramo dell'economia è esente dalla crisi che infatti ha colpito sia la finanza che la produzione vera e propria. Negli ultimi tempi, tuttavia, si sente qualche voce ottimista sul futuro. L'amministratore delegato della Fiat, Marcegaglia e Tremonti ad esempio, hanno dichiarato che il peggio è alle spalle. Alcuni dati statistici (come l'aumento delle vendite di nuove case a febbraio e l'acquisto di beni durevoli negli Usa) sembrano suffragare questi auspici, ma in realtà non indicano l'inizio di un'inversione di tendenza, ma sono solo normali fluttuazioni all'interno di un ciclo che rimane in profonda recessione.
Nel 2009 il Pil mondiale calerà (tra lo 0,5 e l'1,5%) per la prima volta dal dopoguerra. L'Italia è in recessione economica e per il 2010 le previsioni dei maggiori centri di studio non lasciano molte speranze per una ripresa significativa. La possibilità di una ripresa economica, e quanto questa possa essere strutturale e non congiunturale, dipende ovviamente da vari fattori, ma per l'Italia le difficoltà rischiano di essere maggiori che per altri Paesi.
Le politiche degli ultimi anni, in particolare quelle iniziate all'epoca dell'ultima recessione economica del 1993, hanno permesso alle classi dominanti del Paese di ottenere delle grandi vittorie a spese delle classi subalterne. L'ingresso nell'Euro è la migliore rappresentazione di questo successo. Tuttavia, questo non ha risolto alcuni problemi di fondo della struttura economico finanziaria del Paese che la crisi attuale rischia di far emergere in maniera prepotente. Il bilancio statale continua a essere in una condizione difficile; quest'anno è previsto un deficit di bilancio del 3,9% e si prevede che il debito pubblico arriverà al 110% del PIL.
Anche la struttura economica nazionale rende le prospettive di ripresa più incerte rispetto alle altre potenze imperialiste. Circa il 90% delle imprese nazionali sono di piccole o piccolissime dimensioni. Questo va ad influire su diversi aspetti, come la capacità di fare un investimento per aumentare la produttività del lavoro, ottenere finanziamenti dalle banche a condizioni favorevoli, ecc. Per quanto concerne la produttività  i dati sono indicativi. Pur avendo una media di ore lavorate per addetto superiore rispetto alla media dei Paesi OCSE (1824 contro 1794), la produttività media oraria è aumentata nel quinquennio 2001-2006 solo dello 0,5%, a fronte di una media dell'1,5.
Infatti negli ultimi anni il capitalismo italiano ha puntato prevalentemente sullo sfruttamento feroce dei lavoratori - piuttosto che su investimenti in tecnologia che aumentassero la produttività lavorativa - e su attività economiche gestite in regime di monopolio quasi assoluto, grazie alla assenza di concorrenza straniera (autostrade, servizi telefonici, di erogazione di luce, acqua, gas, energia elettrica e anche servizi finanziari a imprese e cittadini) i cui prezzi applicati hanno garantito enormi profitti. Tuttavia, in una situazione simile si trovano anche aziende multinazionali considerate il fiore all'occhiello del Paese. La stessa Fiat, che negli ultimi tempi era stata portata ad esempio di come un nuovo management aziendale potesse risollevare un'azienda in crisi, è oggi in una situazione assai meno florida di come la si vorrebbe rappresentare.
Secondo uno studio di CSM Worldwide, la capacità produttiva delle sue fabbriche in Europa passerà dal 70,3% del 2008 al 63,9% del 2009, e in particolare le 5 fabbriche italiane producono grossomodo lo stesso numero di autovetture del solo stabilimento polacco. Secondo alcuni analisti, il valore di Fiat, escluso il settore camion e macchine per l'agricoltura, è uguale a zero, e la fusione con l'americana Chrysler e con la tedesca Opel, è in realtà un disperato tentativo di salvare il salvabile facendone pagare, tra l'altro, le conseguenze ai lavoratori con migliaia di inevitabili esuberi.
Anche per il settore finanziario, che negli ultimi tempi aveva dato vita a una serie di concentrazioni e fusioni al fine di competere con gli istituti bancari esteri per la conquista dei mercati globali, le cose non vanno affatto bene. Unicredit, che per lungo tempo era diventata l'emblema della finanza italiana nel mondo, ha visto crollare di oltre il 70% il suo valore di borsa. Nemmeno l'aumento di capitale da 3 miliardi di euro sembra aver migliorato la situazione dell'istituto. Discorso simile per Intesasanpaolo, che ha dovuto annullare la distribuzione del dividendo agli azionisti, al fine di rientrare nei parametri contabili stabiliti dai trattati di Basilea. In una situazione peggiore si trovano anche banche come il Banco Popolare Italiano e il Monte dei Paschi (roccaforte della cosiddetta finanza rossa legata al Pd) che avevano concentrato i loro affari prevalentemente in Italia, a riprova che la crisi non colpisce solo chi internazionalizza la propria attività.
Da ultimo, la stessa composizione del PIL non fa ben sperare per il futuro. Negli ultimi anni, è stato grazie alle esportazioni (che valgono circa il 20% del prodotto interno lordo) che l'economia italiana ha retto, seppur con molte difficoltà. Oggi però questo rischia di essere un elemento di debolezza visto che uno dei risultati della crisi è una contrazione del commercio mondiale con tendenze protezionistiche nei vari Paesi.
Inoltre l'Italia ha primeggiato in settori "deboli" dal punto di vista tecnologico (abbigliamento, tessile, alimentare) mentre ormai è debole (meccanica) o completamente assente da quelli più avanzati (chimica, farmaceutica ed elettronica, produzione di satelliti ad uso civile ecc.), quindi dovrà subire la feroce concorrenza di Paesi che possono beneficiare di un'enorme manodopera a buon mercato. Le conseguenze della crisi sulle condizioni dei lavoratori sono sotto gli occhi di tutti: basti pensare che nell'industria, ad aprile, si è avuto un aumento della Cig del 27,75% rispetto a marzo, e del 864% rispetto al mese di aprile 2008 con un totale, per industria, artigianato ed edilizia di oltre 205 milioni di ore. Gli stessi pesanti attacchi di governo e padronato ai diritti democratici - dalla limitazione del diritto di sciopero all'inasprimento delle leggi razziste - confermano che i capitalisti sono disposti a difendere i loro interessi di classe attraverso nuovi regimi di stampo autoritario.
E' facile riconoscere, in questi mesi, i classici meccanismi che il capitalismo mette in atto per superare le cause che provocano la crisi, che di fondo è crisi da sovraproduzione:  distruzione di capitali (chiusure di imprese e licenziamenti) e diminuzione di salari col ricatto della disoccupazione  per aumentare così il tasso di plusvalore estratto dalla forza-lavoro; centralizzazioni sempre più grandi delle imprese (vedi fusione Fiat-Crysler-Opel), sfruttamento di altri Paesi, intervento dello Stato ecc., al fine di evitare la caduta del tasso di profitto. Tuttavia, l'unico dispositivo che può sostenere il tasso di profitto in maniera consistente è l'aumento del plusvalore assoluto, cioè un aumento dei ritmi di produzione e di sfruttamento dei lavoratori più grande dell'investimento totale del capitale. Ed in questo senso vanno le controriforme che governo e Confindustria stanno rifilando ai lavoratori.

 

 

LA RIPRESA DELLA LOTTA DI CLASSE

L'uragano che sta devastando l'economia mondiale sta mettendo a rischio la tenuta dell'impalcatura dell'egemonia capitalista. Oltre alla possibilità concreta di vedere in breve tempo svanire la concordia, di facciata, che ha caratterizzato i rapporti tra le varie potenze negli ultimi venti anni (basti pensare alle accuse circa una mancanza di scelte politiche incisive per affrontare la crisi, rivolte dagli Usa all'Europa; le tensioni tra gli stessi Paesi della UE, i duri proclami della burocrazia restaurazionista cinese contro le tendenze protezioniste della Casa Bianca), assistiamo anche a una ripresa della conflittualità di classe a livello mondiale.
Francia, Spagna, Portogallo, Grecia e anche alcune realtà industriali del nostro Paese sono oggi le punte più avanzate di questa ripresa della conflittualità operaia. In tutta Europa, milioni di lavoratori scendono in piazza per dire no alla disoccupazione, per rivendicare il diritto a un salario e a un lavoro dignitosi: significativo è il fatto che lo stesso De Villepin (ex primo ministro francese) parli per la Francia di un "pericolo rivoluzionario", così come è significativo il fatto che, secondo i sondaggi, la maggioranza dei francesi afferma di condividere i sequestri dei manager da parte degli operai. Anche se in Italia le lotte sono meno avanzate, cominciano a sorgere esperienze di lotta ad oltranza per la difesa del posto di lavoro ed esperienze di occupazione di siti produttivi. 

 

 

LE POLITICHE DEL GOVERNO RICADONO SUI LAVORATORI

Il governo Berlusconi ha potuto vincere grazie alla crisi del centrosinistra borghese sostenuto dalla cosiddetta sinistra radicale la quale, attraverso l'illusione di poter rendere permeabile quel governo alle istanze sociali più pressanti, ha decretato la sconfitta del suo disegno politico e la sua scomparsa dal Parlamento. La sfiducia, la demoralizzazione della classe lavoratrice e dei settori sociali più sfruttati - a cui hanno contribuito anche le forze sindacali concertative - hanno rappresentato il terreno su cui la propaganda del centrodestra ha potuto contare per vincere. Il governo Berlusconi, attento sul piano sociale a soddisfare istanze costruite ad arte, come il bisogno di sicurezza e di ordine (che generano forme di discriminazione come stanno a dimostrare i quotidiani numerosi episodi razzisti) sta mostrando un volto "decisionista" e reazionario, mentre sul piano istituzionale tende a rafforzare la figura del premier e a esautorare finanche le istituzioni rappresentative democratico‑borghesi.
Di fatto il governo nella sostanza opera su un terreno già tracciato dal governo Prodi ‑ non a caso i programmi elettorali dei due schieramenti erano molto simili ‑ a dimostrazione che la grande borghesia, nel quadro di crisi nazionale e internazionale del capitalismo, richiede ai governi di centrodestra e di centrosinistra sostanzialmente le stesse ricette. In perfetta continuità con il governo precedente il faro della politica economica di questo governo è rappresentato dagli impegni assunti da Prodi in sede europea e cioè il pareggio di bilancio al 2011. Sono in atto tagli alla scuola e all'università, alla sanità e al pubblico impiego (blocco del turnover, ricorso alla mobilità, sospensione delle stabilizzazioni e disoccupazione per i precari); congelamento dei contratti pubblici; un piano per lo "sviluppo" che prevede privatizzazioni, liberalizzazioni (servizi pubblici locali) ed il ritorno  del "nucleare". Anche le politiche sociali sono basate essenzialmente sul taglio dei costi ed il federalismo fiscale va in questo senso. Si avranno tagli per 7 miliardi per il fondo sanitario delle regioni 2010-2011, di 250 milioni di euro per il fondo sociale, un taglio di 550 milioni di euro per il piano casa e di 350 milioni di euro per i trasporti.
L'altra faccia dei tagli alla spesa in nome della "stabilizzazione della finanza pubblica" è rappresentata dalla politica di "incentivi allo sviluppo e alla crescita dell'economia".
La borghesia italiana, così come ha sostenuto lo scorso governo di centrosinistra, ottenendo peraltro notevoli vantaggi attraverso la detassazione delle imprese e la concertazione, ha dettato anche l'agenda al governo Berlusconi: detassazione degli straordinari e delle parti variabili del salario; aumento dell'età pensionabile; massima flessibilità del mercato del lavoro attraverso licenziamenti, precarietà, e distruzione della contrattazione nazionale; ulteriori detassazioni delle imprese; nuove rottamazioni dei settori auto ed elettrodomestici; creazione di nuovi spazi di mercato attraverso la privatizzazione dei servizi, le grandi infrastrutture e rilancio del nucleare; incentivi per gli obblighi delle industrie sulle emissioni di CO2; svendita di Alitalia sulla pelle dei lavoratori; infine, dopo lo scoppio della crisi finanziaria, disponibilità a ricapitalizzare le banche.

 

 

I SINDACATI CONCERTATIVI DAL GOVERNO PRODI AL GOVERNO BERLUSCONI

Durante il governo Prodi la politica concertativa di Cgil, Cisl e Uil in combutta con la cosiddetta sinistra radicale di governo e la sindrome del "governo amico" hanno determinato il più basso numero di ore di sciopero, a fronte di un pesante attacco ai diritti dei lavoratori. Se nel 2006 si era già verificata una riduzione del 50% delle ore non lavorate a causa di conflitti rispetto all'anno precedente, nel 2007 si è avuto una ulteriore riduzione di circa il 50%. Non uno sciopero generale è stato proclamato da Cgil Cisl e Uil durante i due anni di governo di centrosinistra, nonostante l'attacco ai salari e al lavoro perpetrato da padronato e governo. Nonostante la politica frenante delle burocrazie confederali e della sinistra radicale al governo, si sono avute mobilitazioni tra i settori d'avanguardia del mondo del lavoro: tra queste uno sciopero generale del sindacalismo di base, lotte spontanee e radicali dei lavoratori metalmeccanici contro un rinnovo contrattuale "a perdere", mobilitazioni contro il pesante accordo del 23 luglio 2007, nuovo patto sociale su welfare, mercato del lavoro e pensioni con una battaglia per un No al referendum tra i lavoratori, che ha visto ancora una volta i metalmeccanici della Fiom in prima linea.
La vittoria del governo Berlusconi ed il manifestarsi tangibile dei primi effetti della crisi economica e finanziaria nel 2008, ha messo in campo un risveglio delle lotte. Fin dall'autunno 2008 si sono succeduti scioperi e mobilitazioni: in ottobre il primo grande sciopero generale contro il governo indetto da Cub, Conf. Cobas e Sdl e uno sciopero generale della scuola indetto da Cgil Cisl e Uil, entrambi con una forte partecipazione studentesca; a novembre scioperi e manifestazioni dei lavoratori del Pubblico Impiego indetti dalla Cgil Funzione Pubblica, manifestazione dei lavoratori immigrati contro le politiche razziste del governo, mobilitazioni degli studenti, sciopero dei trasporti, scioperi "selvaggi" dei lavoratori dell'Alitalia, sciopero generale della Cgil e Uil del settore Università e Ricerca con la mobilitazione anche del movimento studentesco, sciopero della categoria del commercio Filcams Cgil, manifestazione nazionale delle donne contro la violenza sessuale; in dicembre sciopero generale della Cgil e di parte del sindacalismo di base; nel febbraio 2009 sciopero generale delle categorie dei metalmeccanici e della funzione pubblica della Cgil, con grande manifestazione a Roma, la grande manifestazione della Cgil del 4 aprile, ecc. A ciò si aggiungono manifestazioni di lotte operaie ad oltranza che, se pur oggi molecolari, denotano una resistenza dei lavoratori da sostenere e generalizzare (Fiat di Pomigliano,  ecc.).
La Cgil, con le numerose mobilitazioni messe in campo, ha dovuto assecondare le istanze provenienti dalla propria base (sostenute anche dai settori di sinistra Rete 28 aprile e Lavoro e società);  la stessa Cgil - che aveva prodotto con Cisl e Uil un documento per la riforma del modello contrattuale che comunque prevedeva la triennalizzazione dei contratti e la subordinazione del salario alla produttività di impresa e che su questa base si accingeva ad andare al tavolo negoziale - è stata indotta a non apporre la propria firma il calce a quell'accordo. Ma la piattaforma della Cgil richiama la concertazione e tenta di riconquistare un ruolo negoziale proponendo un'uscita dalla crisi attraverso un compromesso sociale dal quale i lavoratori avranno tutto da perdere, mentre i settori che sono scesi in piazza in questi mesi hanno dimostrato di essere più avanzati rispetto alle loro direzioni.
Un possibile acutizzarsi del conflitto sociale è ciò che governo e padroni temono di più. Di fronte a questa prospettiva il ruolo che la Cgil gioca è quello di freno delle lotte per assicurare a padroni e governo la pace sociale.
L'accordo quadro del 22 gennaio '09 sulla riforma degli assetti contrattuali, le norme applicative del 15 aprile per il settore privato e quelle, forse peggiori, del 30 aprile per il settore pubblico, danno il colpo di grazia alla contrattazione e al ruolo del sindacato. Si tratta di una sconfitta dei lavoratori di grande portata, preparata dalle politiche di Cgil, Cisl e Uil da più di un trentennio: dalla "svolta" dell'Eur dove fu annientato il sistema contrattuale rivendicativo, all'eliminazione della scala mobile nel '92, alla stagione della concertazione - accordo del 23 luglio '93 - con l'introduzione dell'inflazione programmata per il recupero salariale e la subordinazione della contrattazione aziendale agli obiettivi di impresa.
Lo sciopero generale di Fiom e Funzione Pubblica, l'imponente manifestazione del 4 aprile a Roma e la consultazione - indetta dalla sola Cgil - contro la riforma del modello contrattuale a cui hanno partecipato oltre 3,5 milioni tra lavoratori e pensionati che si sono espressi quasi totalmente per il no, hanno dimostrato il crescente malessere tra i lavoratori a seguito della crisi economica e un reale potenziale di lotta che il più grande sindacato italiano, però, non ha interesse a far crescere e ad organizzare. L'opposizione della Cgil al nuovo modello contrattuale non risulta credibile sia perché di fondo ha sempre sostenuto la subordinazione del salario alla produttività e alla redditività dell'impresa oltre che la triennalizzazione dei contratti (d'altra parte già nel 2006 il contratto dei chimici firmato anche dalla Cgil segnava l'inizio dello svuotamento del CCNL prevedendo deroghe, aumentando la flessibilità negli orari e la precarietà, limitando il diritto di sciopero), sia perché di fronte alla sua emarginazione, voluta dal governo, e agli attacchi di Cisl e Uil, Epifani non ha mai abbandonato il tavolo delle trattative, compreso il 15 aprile. Non solo, a chi gli ha chiesto cosa succederà con i contratti scaduti o in scadenza (Alimentaristi, Metalmeccanici, Telecomunicazioni, Chimici, Edili...) ha risposto che la Cgil non presenterà piattaforme separate per i rinnovi di tutti i settori. Infatti Fai, Flai e Uila hanno già firmato insieme una piattaforma per il rinnovo del contratto per il comparto agroalimentare che recepisce il nuovo modello di contrattazione. Insomma una Cgil che non approva, ma non rompe: non rompe con il governo e con i padroni sperando di riconquistare la "concertazione", non rompe con Cisl e Uil per assecondare il pressing del Pd che auspica una ricomposizione dei tre sindacati, magari tra le maglie del nuovo modello contrattuale. Proprio in una fase come questa, di pesante attacco ai diritti e ai salari, è invece necessario un sindacato di lotta che colga le istanze più profonde dei lavoratori e organizzi una risposta adeguata.

 

 

IL DIRETTIVO DELLA CGIL del 21 e 22 APRILE

Di fronte al pesante attacco di Confindustria e governo (al salario, al diritto di sciopero, alle  condizioni di lavoro e di sicurezza, ...) di fronte all'approdo neocorporativo di Cisl e Uil, il comitato direttivo nazionale CGIL del 21 e 22 aprile ha ignorato ogni indicazione di lotta unificante. Rivendicando la piattaforma unitaria con Cisl e Uil sulla contrattazione, lascia che le singole categorie siano svincolate, nel rinnovo dei contratti, da un reale contrasto all'accordo separato. Un contrasto che si riduce semplicemente nel non citare formalmente l'accordo che nella sostanza invece verrà recepito, così come sta avvenendo per diversi contratti. Si palesa un'apertura verso il contratto "unico" che sancirebbe definitivamente la precarietà del lavoro come strutturale (flessibilità) e seppellirebbe definitivamente l'articolo 18. Si limita la reale spinta dei lavoratori nelle recenti mobilitazioni e nel referendum indetto dalla sola Cgil contro la riforma del modello contrattuale, per legittimare l'obiettivo di riconquistare il tavolo di concertazione al fine di strappare qualche concessione sul piano sociale. Cosa che peraltro risulta del tutto illusoria di fronte all'evidenza che la profonda crisi del sistema non permette alcuna redistribuzione: governo e padroni per sopravvivere alla crisi devono scaricarne i costi sui lavoratori.
Il compito della sinistra Cgil e della Rete 28 aprile non può limitarsi all'astensione nei comitati direttivi o a comunicati stampa, ma è quello di costruire, a partire dalle categorie più combattive come la Fiom (che ha già annunciato che presenterà una propria piattaforma per il rinnovo del contratto, anche se già si sta adeguando ai tempi previsti dal nuovo modello contrattuale), dai settori autenticamente classisti, una risposta contro il freno alle lotte imposto dalle burocrazie, per uno sciopero generale contro la controriforma contrattuale, per la non applicazione del nuovo modello in ogni categoria, rompendo con le burocrazie di Cisl e Uil, conquistando i lavoratori e cercando l'unità d'azione anche con il sindacalismo di base.

 

 

LA NECESSITA' DI UN'AREA CLASSISTA E ANTICAPITALISTA IN CGIL

La Rete 28 Aprile costituitasi come area programmatica dal 2005 sconta, in questi anni, alcuni limiti politici ed organizzativi. Di fronte alla caratterizzazione di una Cgil che da oltre un quindicennio ha abbandonato le pratiche conflittuale a favore della concertazione, che ha assunto il ruolo di pacificatore sociale - in special modo con i governi "amici" - che ha riconosciuto e favorito le esigenze dell'impresa a scapito dei lavoratori e dei loro diritti - tutte cose che hanno acuito la sua burocratizzazione e un drammatico scollamento dalle masse lavoratrici - ; di fronte a tutto questo, fin dal XV congresso sarebbe stato auspicabile presentare un documento alternativo a quello della maggioranza, cosa che avrebbe avuto ricadute positive anche sulla organizzazione dell'area e sulla reale possibilità di una sua espansione. In questi anni la Rete 28 aprile ha alternato momenti di radicalità a momenti di subordinazione alla linea della maggioranza, rinunciando alla costruzione reale di un' alternativa strategica da far crescere a partire dai luoghi di lavoro. La strutturazione organizzativa della Rete, d'altra parte, così come si è delineata (tra l'altro tardivamente), non risponde alle esigenze di crescita dell'area: il metodo del "consenso" ed il rifiuto di porre ai voti le decisioni nei vari coordinamenti, dai locali al gruppo di continuità nazionale, spesso ha paralizzato le iniziative della Rete, o le ha rese meno incisive. Viceversa è necessario superare modalità consensuali e lideristiche a favore di un modello organizzativo centrato sulla democrazia proletaria con delegati eletti fin dalle strutture di base, con un percorso democratico e su mandato revocabile.
L'attuale fase politica e sociale richiede da subito una serrata battaglia di opposizione nella Cgil. Sulla urgente messa in campo di lotte che contrastino la controriforma del modello contrattuale, che definiscano la rottura definitiva con Cisl e Uil fin dai luoghi di lavoro, che difendano i posti di lavoro, salari e diritti, se necessario con occupazioni e forme di lotta ad oltranza, si gioca anche la possibilità di costruire una battaglia congressuale di opposizione in Cgil. Per questo è necessario che la Rete costruisca, per il prossimo congresso, un proprio documento contrapposto a quello di maggioranza, su una propria piattaforma e su rivendicazioni che unifichino i settori di classe in Cgil, anche verso  - all'esterno della Cgil - una convergenza unitaria delle lotte con altri sindacati conflittuali. Una piattaforma di classe basata su rivendicazioni parziali ma anche transitorie che serva a determinare un cambiamento dei rapporti di forza:

  • Per la difesa del diritto di sciopero e di manifestazione! Elezione proporzionale nelle Rsu senza quote garantite e lotta per la costituzione dei consigli di fabbrica!
  • Per la difesa del salario, dei diritti e delle tutele, contro l'Accordo quadro di rinnovo degli assetti contrattuali! Scala mobile dei salari!
  • Ritorno al sistema pensionistico a retribuzione e riduzione dell'età pensionabile per uomini e donne! Aumento automatico delle pensioni in relazione al carovita!
  • No alla cassa integrazione ordinaria e straordinaria, precorritrici in questa fase della mobilità! Nessun lavoratore deve essere licenziato: le ristrutturazioni aziendali le paghino i padroni ridistribuendo i profitti! Occupazione delle fabbriche che chiudono e licenziano!
  • Costruzione in tutte le aziende in crisi e in lotta di comitati eletti dai lavoratori per dirigere la lotta, coordinamento degli stessi a livello provinciale, regionale e nazionale! Assemblea nazionale dei delegati!
  • Organizzazione dell'autodifesa operaia - a partire dai picchetti di sciopero - contro gli attacchi delle forze dell'ordine borghese, dell'esercito, delle "ronde" per la sicurezza.
  • No ai finanziamenti a banchieri e capitalisti! Le aziende che licenziano o chiudono e le banche in crisi devono essere espropriate e poste sotto il controllo dei lavoratori!
  • Stabilizzazione di tutti i lavoratori precari del pubblico e del privato!
  • Permesso di soggiorno e cittadinanza per tutti gli immigrati, con pari diritti politici e sociali dei lavoratori italiani!
  • Scala mobile dell'orario di lavoro a parità di salario, accanto a un piano di opere pubbliche, fino al riassorbimento della disoccupazione! Costruzione di comitati di lotta per il lavoro! Fin da subito, salario sociale, pagato coi profitti dei padroni, equivalente al salario medio, per tutti i disoccupati!
  • Per i diritti sociali: trasporti, scuola, sanità e previdenza pubblici e gratuiti! Per il diritto alla casa: riduzione degli affitti, requisizione delle case sfitte ed esproprio delle grandi proprietà immobiliari!
  • Per il diritto alla salute nei luoghi di lavoro, contro gli infortuni e le malattie professionali, contro il degrado ambientale e le fonti di inquinamento!

 

 

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