Congressi Fiom
e Cgil
La
necessità di una vera battaglia di classe
di Davide Margiotta
(*)
Come noto, il XVI congresso della Cgil (su cui torneremo con prossimi articoli) si è chiuso con la netta vittoria della maggioranza di Epifani, anche grazie ad una incredibile serie di brogli. E' probabile che il primo documento avrebbe vinto anche senza truccare così pesantemente le carte, ma la posta in gioco era troppo alta.

C'era la necessità di schiacciare ogni voce di dissenso all'interno della Cgil,
anche se timida (come timido era il dissenso espresso nel secondo documento),
nella fase cruciale che stiamo attraversando. Per mantenere in vita un sistema
al collasso come il capitalismo, l'unico modo che hanno Confindustria e
banchieri è quello di fare pagare la crisi ai lavoratori. E parte centrale di
questo disegno è il rinnovo del modello contrattuale, su cui la Cgil non ha
ancora apposto la propria firma. L'annientamento del dissenso interno serve a
permettere a Epifani di metterla, quella firma, come preannunciato proprio al
congresso della Fiom chiusosi nelle scorse settimane: “abbiamo aperto una
discussione rispetto a come riconquistare un modello contrattuale degno di
questo nome. Quando la Fiom non firmò l’accordo separato la penultima volta si
pose il problema di come reagire al sopruso e scelse, allora, i pre-contratti,
una lotta epica che portò poi alla riconquista del contratto nazionale di
lavoro. Ma noi non possiamo, invece, immaginare una stagione in cui la Cgil non
possa esercitare la contrattazione”. E ancora: “La Cgil tornerà al tavolo al
termine della sperimentazione sul modello contrattuale. Anzi, lo chiederemo noi.
Perché un sindacato che non contratta perde la sua identità”.
Cosa vi sia da contrattare su un testo che prevede la demolizione del contratto collettivo nazionale di lavoro, resta un mistero comprensibile solo da qualche burocrate con qualche interesse vitale da mantenere (leggi: i propri privilegi di burocrate). Il capitalismo in agonia ha bisogno di svincolarsi da ogni tipo di regolamentazione anche minima per rilanciare i profitti, ecco perchè la battaglia sul rinnovo del modello contrattuale è così importante.
Cosa vi sia da contrattare su un testo che prevede la demolizione del contratto collettivo nazionale di lavoro, resta un mistero comprensibile solo da qualche burocrate con qualche interesse vitale da mantenere (leggi: i propri privilegi di burocrate). Il capitalismo in agonia ha bisogno di svincolarsi da ogni tipo di regolamentazione anche minima per rilanciare i profitti, ecco perchè la battaglia sul rinnovo del modello contrattuale è così importante.
Una domanda di radicalità senza
risposta
Spesso ci si interroga sul perché, a fronte di un attacco
padronale senza precedenti e di una crisi che ha messo in cassa integrazione o a
casa milioni di lavoratori, la classe operaia non abbia risposto ad oggi con una
mobilitazione di massa. Le ragioni sono molte, le più importanti delle quali
sono probabilmente il ruolo degli ammortizzatori sociali e il fatto che la
direzione del movimento operaio è in mano a organizzazioni e partiti che fanno
della collaborazione di classe e dell'inciucio con il nemico il proprio credo.
Con buona pace di certi spontaneisti del movimento operaio, la domanda è: chi
avrebbe dovuto dirigere le mobilitazioni? Quale migliore riprova del fatto che,
in assenza di una direzione, anche in condizioni oggettivamente drammatiche, è
difficilissimo mobilitare la classe?
Eppure, esiste tra i lavoratori una domanda senza risposta di radicalità (almeno in campo economico), una domanda che non viene rappresentata dai grandi sindacati e partiti.
Il congresso Fiom, che pure è una piccola parte dell'universo del movimento operaio, ce lo ha confermato. Il secondo documento non rappresentava una vera alternativa a quello di Epifani, ma era l'unico strumento per esprimere il proprio dissenso in mano ai lavoratori combattivi. Ebbene, pur tra i mille brogli di cui abbiamo parlato, nella Fiom il secondo documento ha vinto, soprattuto nelle grandi fabbriche, dove erano garantite le minime regole democratiche. Dalla Fiat di Termini Imerese alle Carrozzerie di Mirafiori, dalla Ferrari alla Lucchini di Piombino, è un trionfo del documento alternativo.
E' necessario dare continuità alla battaglia iniziata con mille limiti a questo congresso. In questo senso siamo convinti che la costruzione di un'area programmatica all'interno della Cgil sarebbe un passo in avanti. E' probabile che quasi tutti i compagni di viaggio occasionali raccolti per strada in questo congresso abbandoneranno Cremaschi e i compagni della Rete 28 Aprile a costruire questo percorso da soli (cosa prevedibile, visto che molti di questi burocrati hanno interesse solo a contrattare qualche posto e non a costruire una battaglia classista nella Cgil). E nella maggioranza dei casi è meglio così. Resta da capire cosa vorrà fare la Fiom, dove la seconda mozione ha vinto e dove la Rete 28 Aprile è forte. Di certo i compagni del PdAC prenderanno parte attiva a questo percorso rivendicando da subito una vera democrazia operaia all'interno dell'eventuale area, contrariamente a quanto avviene oggi nella Rete 28 Aprile.
Eppure, esiste tra i lavoratori una domanda senza risposta di radicalità (almeno in campo economico), una domanda che non viene rappresentata dai grandi sindacati e partiti.
Il congresso Fiom, che pure è una piccola parte dell'universo del movimento operaio, ce lo ha confermato. Il secondo documento non rappresentava una vera alternativa a quello di Epifani, ma era l'unico strumento per esprimere il proprio dissenso in mano ai lavoratori combattivi. Ebbene, pur tra i mille brogli di cui abbiamo parlato, nella Fiom il secondo documento ha vinto, soprattuto nelle grandi fabbriche, dove erano garantite le minime regole democratiche. Dalla Fiat di Termini Imerese alle Carrozzerie di Mirafiori, dalla Ferrari alla Lucchini di Piombino, è un trionfo del documento alternativo.
E' necessario dare continuità alla battaglia iniziata con mille limiti a questo congresso. In questo senso siamo convinti che la costruzione di un'area programmatica all'interno della Cgil sarebbe un passo in avanti. E' probabile che quasi tutti i compagni di viaggio occasionali raccolti per strada in questo congresso abbandoneranno Cremaschi e i compagni della Rete 28 Aprile a costruire questo percorso da soli (cosa prevedibile, visto che molti di questi burocrati hanno interesse solo a contrattare qualche posto e non a costruire una battaglia classista nella Cgil). E nella maggioranza dei casi è meglio così. Resta da capire cosa vorrà fare la Fiom, dove la seconda mozione ha vinto e dove la Rete 28 Aprile è forte. Di certo i compagni del PdAC prenderanno parte attiva a questo percorso rivendicando da subito una vera democrazia operaia all'interno dell'eventuale area, contrariamente a quanto avviene oggi nella Rete 28 Aprile.
Quale strada per i lavoratori?
Il documento finale del congresso Fiom rivendica “nuova
politica economica ed industriale fondata sull’intervento pubblico, le politiche
industriali dell’innovazione e della ricerca, lo sviluppo del Mezzogiorno, lo
sviluppo dello Stato sociale. Cardine di questa nuova politica economica è la
lotta all’evasione e per la giustizia fiscale e conseguentemente il rifiuto
delle proposte del Governo sul federalismo fiscale e controriforme del fisco.
Proponiamo alla Cgil di convocare per l’autunno una assemblea che porti al
lancio di un vero piano per il lavoro e per un altro modello di sviluppo per
l’Italia da sostenere con un vasto e articolato movimento di lotta per tutto il
Paese;e “'piano del lavoro' che unifichi le lotte per delineare un’altra
strategia per fuoriuscire dalla crisi”...
Oltre a rivendicare la difesa del posto di lavoro: “bisogna difendere ovunque il lavoro, respingendo i licenziamenti, la precarizzazione, la chiusura delle fabbriche e le delocalizzazioni. A tal fine occorre rivendicare il controllo pubblico sulle decisioni delle grandi aziende pubbliche e private, sulle multinazionali, sulla finanza. Va ricostruita una iniziativa generale contro la Legge 30, definendo una nostra proposta precisa per il superamento della precarietà. L’estensione dell’Articolo 18 all’intera platea dei lavoratori e delle lavoratrici dipendenti e l’individuazione di due tipologie di rapporto di lavoro oltre il tempo indeterminato: l’apprendistato ed il contratto a termine con causali precise e definite”.
Senza entrare troppo nel merito delle proposte, è indubbio che sia un passo avanti rispetto al documento epifanano.
Tuttavia, senza pretendere un programma bolscevico dalla Fiom di Rinaldini, possiamo affermare con certezza che tali ricette non sono sufficienti oggi nemmeno per la mera sopravvivenza quotidiana del proletariato, messa in discussione dalla crisi. L'unica strada percorribile per fare pagare davvero la crisi ai padroni è quella di costruire una piattaforma che unifichi le varie vertenze presenti secondo un piano di rivendicazioni transitorie che, partendo dai bisogni elementari delle masse (diritto al lavoro, alla casa, alla salute, all'istruzione e così via) riesca ad innalzare sempre più il livello dello scontro sino a far comprendere ai lavoratori che nessuna di queste cose è mai stata e sarà mai garantita dal capitalismo. In altre parole, noi non pensiamo che la soluzione verrà con un "intervento pubblico" in economia e nemmeno con il “controllo pubblico sulle decisioni delle grandi aziende pubbliche e private”: è necessario piuttosto rivendicare il controllo operaio, l'occupazione delle fabbriche e, infine, l'espropriazione della proprietà privata. Cioè affrontare il problema dal punto di vista degli interessi degli operai: che sono non solo distinti ma anche contrapposti a quelli dei padroni.
Oltre a rivendicare la difesa del posto di lavoro: “bisogna difendere ovunque il lavoro, respingendo i licenziamenti, la precarizzazione, la chiusura delle fabbriche e le delocalizzazioni. A tal fine occorre rivendicare il controllo pubblico sulle decisioni delle grandi aziende pubbliche e private, sulle multinazionali, sulla finanza. Va ricostruita una iniziativa generale contro la Legge 30, definendo una nostra proposta precisa per il superamento della precarietà. L’estensione dell’Articolo 18 all’intera platea dei lavoratori e delle lavoratrici dipendenti e l’individuazione di due tipologie di rapporto di lavoro oltre il tempo indeterminato: l’apprendistato ed il contratto a termine con causali precise e definite”.
Senza entrare troppo nel merito delle proposte, è indubbio che sia un passo avanti rispetto al documento epifanano.
Tuttavia, senza pretendere un programma bolscevico dalla Fiom di Rinaldini, possiamo affermare con certezza che tali ricette non sono sufficienti oggi nemmeno per la mera sopravvivenza quotidiana del proletariato, messa in discussione dalla crisi. L'unica strada percorribile per fare pagare davvero la crisi ai padroni è quella di costruire una piattaforma che unifichi le varie vertenze presenti secondo un piano di rivendicazioni transitorie che, partendo dai bisogni elementari delle masse (diritto al lavoro, alla casa, alla salute, all'istruzione e così via) riesca ad innalzare sempre più il livello dello scontro sino a far comprendere ai lavoratori che nessuna di queste cose è mai stata e sarà mai garantita dal capitalismo. In altre parole, noi non pensiamo che la soluzione verrà con un "intervento pubblico" in economia e nemmeno con il “controllo pubblico sulle decisioni delle grandi aziende pubbliche e private”: è necessario piuttosto rivendicare il controllo operaio, l'occupazione delle fabbriche e, infine, l'espropriazione della proprietà privata. Cioè affrontare il problema dal punto di vista degli interessi degli operai: che sono non solo distinti ma anche contrapposti a quelli dei padroni.
(*) operaio, Fiom. Coordinatore lavoro sindacale
Pdac.