Referendum sul
welfare
BUROCRAZIE, GOVERNO E PADRONI FANNO I
CONTI SENZA GLI OPERAI
Partiamo dall'importante risultato del No
nelle grandi fabbriche per costruire lo sciopero generale
di Antonino
Marceca
I segretari generali di Cgil, Cisl e Uil
avevano appena finito di illustrare i dati, ampiamente attesi proprio per le
modalità di svolgimento della pseudo-consultazione, che il consiglio dei
ministri del 12 ottobre approvava la traduzione in legge dell’accordo del 23
luglio, il Protocollo Damiano sulle pensioni e il mercato del lavoro.
Il premier Romano Prodi, acquisito il
sostegno “forte alla politica del governo”, ha lasciato libertà di “astensione
costruttiva” nel consiglio dei ministri ai membri del Prc e Pdci. E’ bastato
qualche piccolo ritocco all’accordo per scomporre la fragile “cosa rossa” e
acquisire il voto favorevole dei ministri Mussi (Sd) e Pecorario Scanio (Verdi),
mentre come preventivato si confermava l’astensione “costruttiva” di Ferrero
(Prc) e Bianchi (Pdci). Questi ultimi a differenza degli altri due non potevano
esprimere un voto pienamente favorevole, proprio perché il loro voto avrebbe
reso inutile, anche a chi ancora si illude di poter condizionare l’esecutivo, la
manifestazione del 20 ottobre.
La Repubblica, a scanso di
equivoci, precisava che dal 21 ottobre scatta la fase due, essendo allo studio
la possibilità di porre la fiducia sul collegato. Gli aggiustamenti all’accordo
sono stati, come rivelato dal ministro Damiano, precedentemente concordati con
Confindustria e riguardano: l’eliminazione del tetto numerico annuale di
pensionati con mansioni usuranti, ma permane il limite del tetto di spesa;
l’introduzione di una sola proroga di un anno, previa certificazione sindacale,
dopo 36 mesi, anche discontinui, per i contratti a termine nella stessa ditta e
mansione; l’eliminazione di ogni riferimento al tasso di sostituzione (rapporto
tra rendita pensionistica e salario) del 60%; l’aumento dell’aliquota
contributiva di 0,09 punti percentuali a partire dal 2011. Si tratta quindi di
modifiche che non intaccano l’asse dell’accordo e in parte lo peggiorano.
L’intervento a gamba tesa del governatore di Bankitalia, Mario Draghi, sulle
pensioni, gli interventi di Confindustria e Cisl, i rilievi di Epifani
costituiscono nel contempo il gioco delle parti e l’affermazione della forza
acquisita dai poteri forti dopo la pubblicazione dei dati ufficiali della
consultazione: 82% i Si all’accordo e 18% i No.
Una consultazione degna del modello
sindacale aziendalistico e corporativo
Il premier Romano Prodi, subito dopo il consiglio dei ministri di venerdì, ha sottolineato come “il voto sul protocollo è stato favorito anche da un risultato del referendum che è andato oltre le aspettative sia per adesione che per numero di Si”. Ma questa consultazione, peggiore per sfregio delle regole di quella del 1995 sulla riforma pensionistica di Dini, non si è effettuata con le necessarie garanzie di democrazia operaia, per contro tutta l’operazione ha assunto una forma truffaldina direttamente proporzionale alla portata della posta in gioco: l’avvio di un modello sindacale aziendalistico e corporativo e il sostegno alla politica economica e sociale del governo. Infatti non erano stati ancora aperti e rovesciati sui tavoli gli scatoloni pieni di schede che veniva annunciato il clamoroso risultato, d’altronde la burocrazia sindacale non aveva da temere nessuna smentita da commissioni elettorali, centrali e periferici, strettamente controllati e monopolizzati.
Nelle assemblee che hanno preceduto la consultazione non era previsto alcun contraddittorio, nelle commissioni elettorali non era prevista nessuna rappresentanza dei contrari all’accordo, infine la stessa platea degli aventi diritto al voto, al di là dei pensionati, non era chiaramente definita. La mancanza di questi elementi essenziali per una consultazione democratica ha favorito le più diverse manovre banditesche e truffaldine.
Tutta la gestione delle assemblee -dalla convocazione al materiale informativo distribuito, dall’apertura alle conclusioni- era esclusivo appannaggio di una presidenza costituita dalla burocrazia sindacale favorevole all’accordo, solo in quanto delegati e lavoratori è stato possibile intervenire contro l’accordo con tempi contingentati. In diverse categorie, tra cui il pubblico impiego, le assemblee non sono state fatte, oppure sostituite da assemblee territoriali andate deserte.
L’assenza del controllo operaio, se non nelle grandi imprese sindacalizzate con una forte sinistra sindacale, ha reso evidente le più bieche manifestazioni di disprezzo per la democrazia operaia: si sono visti burocrati sindacali che si presentavano alle assemblee con pacchi di schede in bianco e poi andare via introducendo le schede appena votate nelle loro borse; scatoloni ai seggi elettorali privi di qualsiasi garanzia contro le manipolazioni; si sono visti seggi elettorali nelle piazze, nei mercati e persino nelle sedi del Partito democratico (ex Ds); si è votato senza nessuna riservatezza e sotto l’occhio vigile e consigliante del burocrate di turno; si è visto l’utilizzo indegno dei pensionati nei patronati. Infine abbiamo visto all’opera nelle piccole e medie aziende il modello Cisl: collaborazione attiva tra padroni e burocrati sindacali nella gestione del voto. Solo cosi si può spiegare l’altissima partecipazione al voto in generale, e il plebiscito in Sicilia in particolare. In questa terra la collaborazione avviene con la borghesia mafiosa, quella che spara ai comunisti e ai sindacalisti che difendono i diritti e le tutele dei lavoratori.
Il premier Romano Prodi, subito dopo il consiglio dei ministri di venerdì, ha sottolineato come “il voto sul protocollo è stato favorito anche da un risultato del referendum che è andato oltre le aspettative sia per adesione che per numero di Si”. Ma questa consultazione, peggiore per sfregio delle regole di quella del 1995 sulla riforma pensionistica di Dini, non si è effettuata con le necessarie garanzie di democrazia operaia, per contro tutta l’operazione ha assunto una forma truffaldina direttamente proporzionale alla portata della posta in gioco: l’avvio di un modello sindacale aziendalistico e corporativo e il sostegno alla politica economica e sociale del governo. Infatti non erano stati ancora aperti e rovesciati sui tavoli gli scatoloni pieni di schede che veniva annunciato il clamoroso risultato, d’altronde la burocrazia sindacale non aveva da temere nessuna smentita da commissioni elettorali, centrali e periferici, strettamente controllati e monopolizzati.
Nelle assemblee che hanno preceduto la consultazione non era previsto alcun contraddittorio, nelle commissioni elettorali non era prevista nessuna rappresentanza dei contrari all’accordo, infine la stessa platea degli aventi diritto al voto, al di là dei pensionati, non era chiaramente definita. La mancanza di questi elementi essenziali per una consultazione democratica ha favorito le più diverse manovre banditesche e truffaldine.
Tutta la gestione delle assemblee -dalla convocazione al materiale informativo distribuito, dall’apertura alle conclusioni- era esclusivo appannaggio di una presidenza costituita dalla burocrazia sindacale favorevole all’accordo, solo in quanto delegati e lavoratori è stato possibile intervenire contro l’accordo con tempi contingentati. In diverse categorie, tra cui il pubblico impiego, le assemblee non sono state fatte, oppure sostituite da assemblee territoriali andate deserte.
L’assenza del controllo operaio, se non nelle grandi imprese sindacalizzate con una forte sinistra sindacale, ha reso evidente le più bieche manifestazioni di disprezzo per la democrazia operaia: si sono visti burocrati sindacali che si presentavano alle assemblee con pacchi di schede in bianco e poi andare via introducendo le schede appena votate nelle loro borse; scatoloni ai seggi elettorali privi di qualsiasi garanzia contro le manipolazioni; si sono visti seggi elettorali nelle piazze, nei mercati e persino nelle sedi del Partito democratico (ex Ds); si è votato senza nessuna riservatezza e sotto l’occhio vigile e consigliante del burocrate di turno; si è visto l’utilizzo indegno dei pensionati nei patronati. Infine abbiamo visto all’opera nelle piccole e medie aziende il modello Cisl: collaborazione attiva tra padroni e burocrati sindacali nella gestione del voto. Solo cosi si può spiegare l’altissima partecipazione al voto in generale, e il plebiscito in Sicilia in particolare. In questa terra la collaborazione avviene con la borghesia mafiosa, quella che spara ai comunisti e ai sindacalisti che difendono i diritti e le tutele dei lavoratori.
L'importante risultato del No nelle
grandi fabbriche e in tante aziende
Il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, entusiasta come i colleghi di Cgil e Uil, ha sintetizzato il dato politico del risultato: “abbiamo cambiato la storia del sindacato.. la Cgil è uscita cambiata dal referendum”, nel giorno di gloria Guglielmo Epifani aveva perfino ricevuto i complementi del leader confindustriale Cordero di Montezemolo. Anche Walter Veltroni non si esimeva di imprimere il segno del Partito democratico a tutta l’operazione, il risultato “premia la giustezza delle scelte del governo e il coraggio e la lungimiranza dei sindacati”.
Il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, entusiasta come i colleghi di Cgil e Uil, ha sintetizzato il dato politico del risultato: “abbiamo cambiato la storia del sindacato.. la Cgil è uscita cambiata dal referendum”, nel giorno di gloria Guglielmo Epifani aveva perfino ricevuto i complementi del leader confindustriale Cordero di Montezemolo. Anche Walter Veltroni non si esimeva di imprimere il segno del Partito democratico a tutta l’operazione, il risultato “premia la giustezza delle scelte del governo e il coraggio e la lungimiranza dei sindacati”.
In realtà il risultato, frutto di operazioni
di voto prive delle più elementari garanzie, ha soltanto confermato il controllo
della burocrazia sindacale, vera e propria agente della borghesia, sul movimento
operaio. Un fatto che aggiunge elementi a quanto ci avevano segnalato i dati,
resi pubblici dall’Istat, sul crollo delle ore di sciopero dopo l’insediamento
del governo Prodi.
Non di meno riteniamo che i dati della
consultazione vanno studiati e pesati, in questo senso sarebbe importante
conoscere il risultato nelle aziende con oltre 500 dipendenti.
La Fiom Cgil ha diffuso i dati territoriali per aziende metalmeccaniche: il No nelle grandi fabbriche ha raggiunto il 65%, un dato significativo perché evidenzia come nelle aziende dove è stata possibile la presentazione delle ragioni contrarie all’accordo il dissenso operaio ha potuto esprimersi anche in presenza di una consultazione truccata. Il No ha vinto in aziende importanti del gruppo Fiat, da Mirafiori a Termini Imprese, da Cassino a Melfi fino a Pomigliano, nel gruppo Iveco, nel gruppo Piaggio dalla Toscana all’Aprilia in Veneto, alla Ferrari come alla Macerati, all’Elettrolux, alla St-microelectronics di Catania, nel gruppo Fincantieri, che il governo vuole privatizzare, in Campania, in Liguria, in Veneto e in Friuli Venezia Giulia. Nel commercio come all’Ikea di Padova e Milano, alla Carrefur, nei servizi come all’Atm di Milano, ad Atesia, il più grande call-center, nel turismo come ai Musei Civici di Venezia. Nel pubblico impiego dall’Università di Siena all’Università di Torino.
La Fiom Cgil ha diffuso i dati territoriali per aziende metalmeccaniche: il No nelle grandi fabbriche ha raggiunto il 65%, un dato significativo perché evidenzia come nelle aziende dove è stata possibile la presentazione delle ragioni contrarie all’accordo il dissenso operaio ha potuto esprimersi anche in presenza di una consultazione truccata. Il No ha vinto in aziende importanti del gruppo Fiat, da Mirafiori a Termini Imprese, da Cassino a Melfi fino a Pomigliano, nel gruppo Iveco, nel gruppo Piaggio dalla Toscana all’Aprilia in Veneto, alla Ferrari come alla Macerati, all’Elettrolux, alla St-microelectronics di Catania, nel gruppo Fincantieri, che il governo vuole privatizzare, in Campania, in Liguria, in Veneto e in Friuli Venezia Giulia. Nel commercio come all’Ikea di Padova e Milano, alla Carrefur, nei servizi come all’Atm di Milano, ad Atesia, il più grande call-center, nel turismo come ai Musei Civici di Venezia. Nel pubblico impiego dall’Università di Siena all’Università di Torino.
Costruiamo lo sciopero generale, a
partire dal 9 novembre
Questi dati pesano, questi luoghi costituiscono i reparti, la struttura portante delle lotte dei lavoratori e del sindacato nel Paese. Essi esprimono un forte dissenso tra i lavoratori contro la politica economica e sociale del governo e del padronato, ma anche la resistenza a un modello sindacale aziendalistico e corporativo. Anche considerando i dati complessivi pubblicati dalle categorie della Cgil Metalmeccanici, Pubblico impiego, Commercio, Alimentaristi e Agricoltura risulta che il dissenso rispetto agli accordi di luglio sulle pensioni e sul mercato del lavoro comprende almeno il 33% dei lavoratori attivi.
Il 22 e 23 ottobre si riunisce il Direttivo della Cgil, all’ordine del giorno, ha dichiarato Epifani, “ci sarà un giudizio sul referendum e come questo determinerà le scelte future del sindacato”. Bonanni prendendo spunto dalla riconfigurazione del panorama politico con la nascita del Partito democratico annuncia “una stagione di grande rinnovamento”. La Fiom Cgil, che in questa battaglia ha mantenuto un profilo “disciplinato”, inadeguato alla posta in gioco, Lavoro e Società, che ancora fa parte della maggioranza di Epifani, devono sciogliere queste ambiguità. Gli spazi di democrazia all’interno della Cgil tenderanno a ridursi, tutta la sinistra sindacale, compresa la Rete 28 aprile, subirà una forte pressione per adeguarsi. A queste pressioni è necessario rispondere con un salto organizzativo e programmatico costruendo una forte sinistra sindacale di classe collegata con quei delegati e lavoratori che si sono spesi contro quest’accordo infame.
La risposta ancora una volta sta nella lotta, a partire dal rinnovo del contratto dei metalmeccanici, nella partecipazione unitaria allo sciopero del 9 novembre organizzato dalla RdB Cub, SdL, Cobas, nella costruzione dello sciopero generale unitario e di massa contro il governo e il padronato.
Questi dati pesano, questi luoghi costituiscono i reparti, la struttura portante delle lotte dei lavoratori e del sindacato nel Paese. Essi esprimono un forte dissenso tra i lavoratori contro la politica economica e sociale del governo e del padronato, ma anche la resistenza a un modello sindacale aziendalistico e corporativo. Anche considerando i dati complessivi pubblicati dalle categorie della Cgil Metalmeccanici, Pubblico impiego, Commercio, Alimentaristi e Agricoltura risulta che il dissenso rispetto agli accordi di luglio sulle pensioni e sul mercato del lavoro comprende almeno il 33% dei lavoratori attivi.
Il 22 e 23 ottobre si riunisce il Direttivo della Cgil, all’ordine del giorno, ha dichiarato Epifani, “ci sarà un giudizio sul referendum e come questo determinerà le scelte future del sindacato”. Bonanni prendendo spunto dalla riconfigurazione del panorama politico con la nascita del Partito democratico annuncia “una stagione di grande rinnovamento”. La Fiom Cgil, che in questa battaglia ha mantenuto un profilo “disciplinato”, inadeguato alla posta in gioco, Lavoro e Società, che ancora fa parte della maggioranza di Epifani, devono sciogliere queste ambiguità. Gli spazi di democrazia all’interno della Cgil tenderanno a ridursi, tutta la sinistra sindacale, compresa la Rete 28 aprile, subirà una forte pressione per adeguarsi. A queste pressioni è necessario rispondere con un salto organizzativo e programmatico costruendo una forte sinistra sindacale di classe collegata con quei delegati e lavoratori che si sono spesi contro quest’accordo infame.
La risposta ancora una volta sta nella lotta, a partire dal rinnovo del contratto dei metalmeccanici, nella partecipazione unitaria allo sciopero del 9 novembre organizzato dalla RdB Cub, SdL, Cobas, nella costruzione dello sciopero generale unitario e di massa contro il governo e il padronato.