Assemblea Nazionale Rete 28 aprile in Cgil 21 aprile 2007
documento presentato da Francesco Doro (direttivo regionale veneto Fiom Cgil)
Ricostruiamo su basi di classe la sinistra sindacale in Cgil
E’ trascorso quasi un anno dal 12 giugno 2006, quando a Roma abbiamo tenuto l’Assemblea Nazionale della Rete 28 aprile. Un anno in cui il governo di centrosinistra ha potuto espletare la sua politica socio-economica ed estera, ma anche di cambiamenti nella congiuntura economica e di peggioramento delle condizione di lavoro e di vita dei lavoratori, delle lavoratrici, dei pensionati e delle masse popolari.
In occasione dell'Assemblea Nazionale del 12 giugno 2006
abbiamo presentato un documento non a caso intitolato "Ricostruiamo su basi di classe la sinistra sindacale in Cgil", oggi
riteniamo che gli assi centrali di proposta politico sindacale e organizzativa
di quel documento sono stati confermati, da qui il richiamo anche nel nome del
presente documento. Nel contempo riteniamo che vada aggiornata l'analisi e la
proposta di piattaforma sindacale di fase in relazione agli eventi succedutesi
in questo anno di governo di collaborazione di classe.
Per contro riteniamo insufficienti nella proposta e
nell'analisi il documento presentato al dibattito per l'Assemblea Nazionale
della Rete 28 aprile.
- Il diritto al dissenso organizzato nella Cgil
Non è la priva volta nella storia del movimento operaio, non solo in Italia, che quando la
sinistra variamente riformista -centrista, stalinista, socialdemocratica-
collabora, nel governo o nelle maggioranze di governo, con le forze e i partiti
della borghesia liberale il diritto al dissenso organizzato nelle grandi
organizzazioni di massa, quale è il sindacato, viene gravemente limitato,
quando non represso.
E' successo nel nostro paese nel corso dei governi di fronte
popolare durante gli anni 1943-1947, si è ripetuto durante i governi di unità
nazionale nella seconda metà degli anni '70, si ripresenta oggi con il governo
dell'Unione di centrosinistra.
Proprio in presenza del governo dell'Unione la costruzione
nel contempo del Partito Democratico, di ispirazione liberaldemocratica, e del
partito della sinistra (Bertinotti e Mussi), di ispirazione socialdemocratica,
avrà delle ricadute politiche e organizzative nel maggiore sindacato del paese,
spostandolo ancora di più su posizioni di collaborazione di classe. Una
prospettiva che rafforza la necessità e l'urgenza della strutturazione della
Rete 28 aprile come sinistra sindacale di classe anche per contrastare i
tentativi di repressione che la burocrazia sindacale metterà in atto.
Il primo tentativo di repressione del dissenso si è
consumato al Direttivo Nazionale della Cgil, riunitosi il 21 novembre 2006 dopo
lo svolgimento della manifestazione del 4 novembre a Roma contro la precarietà
del lavoro salariato.
La manifestazione nelle intenzioni dei promotori doveva
essere di pura pressione sul governo, ma la contrapposizione alla politica
economica del governo è cresciuta proprio in risposta alla manovra finanziaria
2007 di "lacrime e sangue" e per l'evidente intenzione del governo di non
abrogare le leggi precarizzanti (dal pacchetto Treu alla legge 30, dalla Turco
Napoletano alla Bossi Fini).
La segreteria della Cgil, approfittando della denuncia da
parte della Confederazione Cobas del ruolo svolto dal ministro del lavoro,
Cesare Damiano, in tema di politiche sociali, ha chiesto il ritiro immediato
delle categorie della Cgil che facevano parte del comitato promotore dalla
manifestazione. I segretari della Funzione pubblica e della Conoscenza ritiravano immediatamente la loro adesione
alla manifestazione, mentre confermavano la loro partecipazione la Fiom e due componenti della
Cgil, Lavoro e Società e la Rete
28 aprile.
Nel Direttivo Nazionale si sono confrontati due documenti
provenienti dalla stessa maggioranza della Confederazione, uno di Epifani di
duro attacco ai partecipanti alla manifestazione fino a prospettare sanzioni
disciplinari, l'altro di Lavoro e Società a difesa della partecipazione alla
manifestazione del 4 novembre, ma badando bene a non uscire dalla maggioranza.
Malgrado l'attacco subito la Rete
28 aprile in Cgil si limitava ad interventi nel dibattito, in cui si ribadivano
le ragioni della partecipazione alla manifestazione, mentre insieme al
segretario della Fiom si asteneva nel voto al Direttivo Nazionale, senza
presentare un proprio documento alternativo.
Il secondo atto si consumava nel Direttivo Nazionale della
CGIL del 14 marzo 2007 dove la maggioranza, dopo aver giustamente
rigettato ogni pratica terroristica, invocava un "catalogo" di comportamenti
utilizzabile contro il dissenso interno e soprattutto oscurando il fatto che la Cgil, proprio in quanto
organizzazione dei lavoratori, ha un proprio statuto che ne regola la vita
interna.
La posta in gioco evidentemente è il controllo del crescente
dissenso operaio e popolare contro le manovre economiche e sociali del governo
a partire dallo smantellamento del sistema pensionistico pubblico, della rapina
del Tfr e del tavolo concertativo apertosi il 22 marzo con le associazioni
delle imprese e il governo. Anche perché la burocrazia sindacale è direttamente
coinvolta nella gestione, con imprese e banche, dei Fondi pensione.
Per questo oltre a batterci perché sia mantenuto un quadro di democrazia sindacale in Cgil, come previsto dallo statuto, e quindi del diritto al dissenso organizzato in tendenza programmatica, riteniamo che questo diritto è tale se è associato ad una piattaforma programmatica sindacale di difesa degli interessi dei lavoratori e di pratica sindacale conseguente.
- La necessità di un bilancio del governo Prodi
Il governo dell'Unione ha iniziato la legislatura sulla base
di un voluminoso programma di quasi trecento pagine. Un'ampia parte della
sinistra sindacale e politica, proprio a partire da quel voluminoso programma,
ha illuso i lavoratori e le masse popolari sulla possibilità di condizionare da
sinistra le scelte di governo, un governo considerato, a torto, amico dei
lavoratori. Questi mesi hanno evidenziato che gli atti del governo (dal Dpef
alla Finanziaria 2007, dall'aumento dell'età pensionabile alla rapina del Tfr, dalla
privatizzazione della scuola, sanità e servizi pubblici essenziali alla mancata
abrogazione delle leggi precarizzanti, dall'aumento delle spese militari al
rifinanziamento della missione in Afghanistan e Libano, fino alla concessione
di una nuova e più grande base militare Usa a Vicenza) non si lasciano
condizionare.
Al contrario è sempre più richiesto alla sindacato di farsi
carico di tenere a freno le lotte dei giovani, degli operai e delle masse
popolari contro quelle decisioni. Non solo: attraverso il poderoso
trasferimento del Tfr dei lavoratori ai Fondi pensione vengono cointeressati
all'azione di rapina le burocrazie sindacali, assieme al capitale finanziario.
Un governo della borghesia per la borghesia, questo è stato
il governo Prodi. Un governo che con maggiore determinazione del precedente
governo di centrodestra è proteso a risanare il debito e deficit pubblico e
rilanciare il capitalismo italiano nei mercati internazionali.
L'"incidente" numerico su cui è scivolato il
governo al Senato all'inizio di febbraio non ha modificato il quadro politico,
anzi ha permesso a Prodi di presentare il 22 febbraio un patto di
ferro in dodici punti per la governabilità del paese. I dodici punti
costituiscono l'essenza del programma dell'Unione al tempo delle elezioni,
senza più la lunga prosa delle 281 pagine.
Il primo dei punti non lascia dubbi sulla politica estera:
finanziamento delle missioni militari (a partire dall'Afghanistan, Libano,
Balcani, Iraq), permanenza nella Nato e allargamento della base militare Usa a
Vicenza e Sigonella (Ct), sostegno e valorizzazione del capitale italiano nel
mercato mondiale. Non meno esplicito è il governo in tema di politiche sociali
(punto ottavo) nel prendere di mira ancora una volta il sistema previdenziale
pubblico facendo "grande attenzione alle compatibilità finanziarie",
l'obiettivo dichiarato è l'aumento dell'età pensionabile (gli scalini di
Damiano al posto dello scalone di Maroni) e la revisione dei coefficienti di
trasformazione, tagliando i rendimenti pensionistici di un'ulteriore 6-8% e
così favorendo i Fondi pensione.
Altri punti confermano (terzo punto) la "rapida attuazione
del piano infrastrutturale e in particolare i corridoi europei (compresa la Torino-Lione) e
quindi la Tav;
una nuova ondata di liberalizzazioni e privatizzazioni (quinto punto); infine
una "concreta e immediata riduzione significativa della spesa pubblica" nei settori
dei servizi sociali, della sanità e della scuola pubblica (settimo punto).
Su questi punti il governo non ha perso tempo: prima il
rifinanziamento, il 27 marzo, delle missioni militari all'estero, su cui ha
ricevuto il plauso dell'ambasciatore statunitense a Roma per l'impegno italiano
al fianco degli Usa "in Afghanistan, Libano, nei Balcani e in altri luoghi",
quindi l'approvazione del secondo pacchetto Bersani sulle "liberalizzazioni",
che oltre a colpire la piccola borghesia commerciale e artigianale
(parrucchieri, estetiste), all'articolo 13 apre agli investimenti privati nelle
scuole pubbliche "finalizzati all'innovazione tecnologica, edilizia scolastica
e offerta formativa" prevedendo la loro partecipazione al "consiglio d'istituto
e della giunta esecutiva delle istituzioni scolastiche". Rimane in attesa il
Disegno di legge Lanzillotta sulla privatizzazione dei servizi pubblici
essenziali.
Va da sé
che nei dodici punti non c'è posto per un lavoro garantito e sicuro ai
disoccupati e ai precari, per la
riduzione degli infortuni e delle malattie professionali, per la dignità e i
diritti dei lavoratori immigrati, per i servizi sociali e una pensione pubblica
dignitosa, per una scuola e una sanità pubblica.
Tutto
questo avviene dopo dieci mesi di politiche - di cui la Finanziaria è
l'espressione finale - a favore dei grandi gruppi industriali e finanziari, un
enorme flusso di denaro sotto le varie voci: cuneo fiscale, fondo per
l'innovazione, per la produttività, per la competitività, credito di imposta,
rifinanziamento dell'industria bellica, Fondi pensione.
- La congiuntura economica italiana nel quadro internazionale
Il
rapporto Isae, l'Istituto di studi e analisi economica del ministero
dell'Economia e delle Finanze, di marzo 2007 "le previsioni dell'economia
italiana" conferma il superamento della fase di stagnazione -crescita zero-
della prima metà del decennio (2001-2005) verso dinamiche annuali appena
inferiori al 2% per il 2006-2007 (il prodotto interno lordo da appena lo 0,4%
nel 2005 è passato a 1,9% nel 2006), simili a quelle che caratterizzavano la
seconda metà degli anni '90 del secolo scorso. Questa crescita è stata
supportata dall'industria manifatturiera, in particolare metalmeccanica e
chimica, dove si è riscontrato un aumento della produttività del lavoro
salariato (dal 1% nel 2005 al 1,5 % nel 2006 per addetto) e della produzione e
degli investimenti fissi lordi. La stessa Confindustria segnala inoltre il
rallentamento del costo del lavoro per unità di prodotto (dal 2,9% al 1,3 %),
quindi maggiori profitti. Le esportazioni italiane, prevalentemente
intra-europee, hanno registrato una consistente accelerazione aumentando
nell'ultimo anno del 5,5%. Nell'Unione Europea la crescita economica nel 2006 è
stata del 2,8%, la Germania
ha avuto un incremento del Pil del 2,7%, con un aumento nell'ultimo anno delle
esportazioni in valore di oltre il 13%, continuando a svolgere il ruolo di
locomotiva dell'Europa. Nel contempo si registra una riduzione dell'export
italiano assorbito dagli Stati Uniti d'America, con una riduzione di circa il
5% rispetto all'anno precedente, segno del rallentamento della crescita
economica statunitense (nel 2006 il Pil statunitense è stato del 3,3%, ma
dovrebbe attestarsi nel 2007 intorno al 2%). L'Asia continua a trainare
l'economia mondiale grazie all'espansione di Cina e India, il Giappone cresce
di circa il 2% annuo come i grandi poli imperialistici di Ue e Usa.
Nel
complesso accanto ad una ritrovata convergenza dell'Italia al ciclo europeo si
evidenzia una nuova divisione del lavoro europea, con una perdita di peso di
settori tradizionali dell'industria italiana come il
tessile-abbigliamento.
La
crescita economica, l'aumento delle entrate fiscali, una manovra finanziaria
per il 2007 di "lacrime e sangue", hanno determinato un miglioramento dei conti pubblici: il calo
del deficit pubblico dal 4,1% al 2,4% del Pil, ritornando in linea con i
parametri di Maastricht, mentre si mantiene a livelli consistenti il debito
pubblico (106,8% del Pil a fine 2006).
Il
processo di concentrazione finanziaria che investe le banche del paese non si è
ancora concluso, dopo la fusione tra IntesaSanpaolo, con la costituzione della
settima banca europea, abbiamo assistito in questi ultimi giorni alla fusione
tra l'olandese Abn Amro, che aveva acquisito il controllo di Antonveneta e
mantiene un peso rilevante in Capitalia, con l'inglese Barclays costituendo la
seconda banca europea. Altre banche sono avviate verso processi di fusioni ed
alleanze, Mps e Unicredit tra le maggiori.
Un processo
di centralizzazione e concentrazione che interessa anche il tessuto industriale
del paese: Enel ed Eni per Endesa e Yukos, Alitalia e Telecom di cui ancora non
è definito il destino, mentre il governo vuole mettere sul mercato Tirrenia e
Fincantieri.
Il quadro che emerge da questi dati è che i grandi poli imperialistici (Usa, Ue, Giappone) mantengono una crescita moderata di circa il 2% annuo, grazie ai grandi mercati in espansione di Cina, India, Russia e Brasile. I processi di centralizzazione e concentrazione finanziaria e industriale continuano, le contraddizioni interimperialistiche si accentuano determinando un quadro mondiale di crisi, guerre e rivoluzioni.
- La questione salariale, le pensioni e i contratti
Il salario
La
ripresa economica italiana, i cui indici sono stati sommariamente sopra
descritti, ha alla sua base un forte attacco al salario diretto, indiretto e
differito, oltre che la precarizzazione del lavoro salariato.
Il
rapporto Eurispes, Istituto di studi politici economici e sociali, di marzo
2007 "Povero lavoratore: l'inflazione ha prosciugato i salari" ha confermato
come i salari dei lavoratori nel nostro paese sono i più bassi in termini di
potere d'acquisto d'Europa, appena sopra il Portogallo. Una situazione che
viene collegata al differente trend di crescita dei salari tra il 2000 e il 2005, in Italia nettamente
inferiore a quello medio in Europa.
In
realtà questa situazione è il risultato concentrico da un lato dell'azione di
politica sindacale iniziata almeno nell'aprile 1977, durante il governo di
unità nazionale, con l'assemblea nazionale di Cgil, Cisl e Uil dell'Eur che
porterà alla liquidazione del sistema contrattuale rivendicativo e dall'altro
dalla politica economico sociale condotta dai governi, di centrodestra e di
centrosinistra, congiuntamente alla classe dominante.
L'attacco
al salario inizia nel 1984 con la progressiva liquidazione della scala mobile,
strumento di tutela automatica delle retribuzioni dall'inflazione, fino alla
sua completa eliminazione con l'accordo del 31 luglio 1992. Quindi procede con
l'accordo del 23 luglio 1993 che supera definitivamente il modello contrattuale
rivendicativo e apre la lunga stagione concertativa. Dal '93 la tutela della
retribuzione viene subordinata agli obiettivi economici del governo, tramite il
Dpef, che definisce per legge l'inflazione programmata, sempre al di sotto di
quella reale, entro i quali deve muoversi il recupero salariale. Mentre la
contrattazione aziendale viene subordinata agli obiettivi di impresa (efficienza,
produttività, redditività). Date queste premesse nell'arco di un ventennio il
livello dei salari è precipitato ai livelli descritti dal rapporto Eurispes. Ma
il processo non è affatto concluso, anzi: nel tavolo concertativo apertosi il 22 marzo 2007 Confindustria chiede di
introdurre le differenziazioni salariali territoriali -gabbie salariali-
attraverso lo svuotamento del contratto nazionale. La giunta di
Confindustria già il 22 settembre 2005 aveva presentato le sue proposte sui
contratti e sulle relazioni industriali in vista della revisione del patto del
23 luglio 1993, per un nuovo patto concertativo peggiorativo di quello del ‘93.
A fronte della diminuzione del potere d'acquisto dei salari
in questi anni abbiamo visto lievitare i prezzi non solo al consumo ma anche
per i tagli subiti dallo stato sociale: dall'introduzione dei ticket nella
sanità alla sua privatizzazione strisciante, dall'aumento delle spese per
l'assistenza per gli anziani agli asili nido per i bambini (in gran parte
privati e in mano alle parrocchie), all'aumento dei costi per l'abitazione. In
questo caso ci viene una conferma dal rapporto del Censis pubblicato ai primi
di aprile che illustra come dal 2000 ad oggi gli affitti sono aumentati del
128%, mentre il 42% delle famiglie in affitto paga rette mensili di 700 €. Una
situazione conseguente alla mancanza nel paese, dopo le grandi liberalizzazioni
e cartolarizzazioni, di una politica edilizia sociale. L'edilizia pubblica nel
nostro paese infatti copre una quota di appena il 4,5%, tra le più basse in
Europa.
Le pensioni
Negli anni novanta del secolo scorso inizia anche l'attacco
al salario differito, le pensioni. Nel 1992 il governo Amato iniziava l'attacco
alle pensioni innalzando la pensione di vecchiaia a 65 anni per gli uomini e a
60 anni per le donne e stabilendo un minimo contributivo di venti anni per
andare in pensione, ma era solo l'inizio.
Il primo governo Berlusconi, nel 1994, tenta la prima
spallata introducendo, per la priva volta, l'idea nefasta dei disincentivi per
chi andava in pensione prima dei 60 anni di età. La lotta dei lavoratori
costrinse il governo a retrocedere dall'intenzione di introdurre il tema delle
pensioni nella Finanziaria 1995. Ma è con il successivo governo Dini,
centrosinistra, che i poteri forti del paese sostenuti dalle burocrazie
sindacali di Cgil, Cisl e Uil, demoliscono l'impianto pensionistico pubblico
introducendo il sistema contributivo, all'inizio, proprio per dividere i
lavoratori, solo per i più giovani.
Iniziava quindi lo smantellamento del sistema previdenziale
pubblico retributivo, un sistema che garantiva un tasso di sostituzione
(rapporto tra ultima retribuzione e pensione) dignitoso, intorno al 70-80%,
inoltre costituiva un'importante collante solidaristico generazionale tra i lavoratori.
L'introduzione del sistema contributivo, legato ai
contributi versati, non solo spezza qualsiasi meccanismo di solidarietà
intergenerazionale ma determina una drastica riduzione, nel tempo, del tasso di
sostituzione, fino a scendere sotto il 50%. Una riduzione per i lavoratori
precari ancora più devastante, proprio per l'assenza di qualsiasi garanzia di
continuità occupazionale, ma di fatto tutti i pensionati vedranno precarizzata
la propria esistenza. Con la riforma Dini, inoltre, l'anzianità lavorativa sarà
sempre più legata all'età del lavoratore: 35 anni di contributi e 57 anni di
età, solo con 40 anni di contributi non c'è limite di età.
Il primo governo Prodi, nel 1997, introduce altri ostacoli
alla pensione di anzianità: si va in pensione non quando si matura il diritto
ma in apposite finestre d'uscita. Le nefandezze introdotte dai governi di
centrosinistra ricevono il plauso di Agnelli, ma non dei lavoratori e delle
masse popolari, a questi governi seguirà il governo Berlusconi.
Ma la direzione di marcia non cambia, il secondo governo
Berlusconi, il cui premier è un esperto in scalate finanziarie, nel 2004 sempre
in tema di pensioni introduce lo scalone: nel 2008 non si può andare in
pensione prima dei 60 anni di età, a meno che non si abbiano 40 anni di
contributi. Mentre attorno all'utilizzo del Tfr si gioca uno scontro tra
cordate finanziarie e burocrazia sindacale, tra fondi chiusi e fondi aperti.
In un gioco dell'alternanza borghese, con la vittoria seppur
risicata dell'Unione di centrosinistra, si costituisce nella primavera del 2006
il secondo governo Prodi. Questa volta tutta la sinistra socialdemocratica e
stalinista (Prc, Pdci, Verdi, sinistra Ds) ha i suoi ministri e sottosegretari.
La
Finanziaria 2007 che doveva essere equa e solidale diviene di
lacrime e sangue per i lavoratori e le masse popolari. Tra i vari tagli
previsti alla pubblica amministrazione, scuola, sanità, servizi sociali, non
manca il capitolo pensioni e Tfr.
La manovra finanziaria anticipa, in tema di Tfr, quanto
previsto dal governo Berlusconi nel 2008 con alcune novità dettate soprattutto
dal tentativo di non inimicarsi la piccola e media borghesia.
Dal primo gennaio 2007 scatterà il silenzio-assenso, i
lavoratori che entro il 30 giugno 2007 non avranno fatto dichiarazione scritta
vedranno dirottato il proprio Tfr maturando nei Fondi pensione. Nel caso di
aziende private con oltre 50 dipendenti il Tfr "inoptato", cioè non destinato
ai Fondi pensione, sarà destinato in un fondo dell'Inps gestito dal Ministero
del tesoro, per finanziare grandi opere infrastrutturali. Tutta l'operazione è
avvenuta con il sostegno di Cgil, Cisl e Uil,
che con il Patto per il lavoro pubblico e poi con il memorandum, hanno
chiesto al governo l'avvio anche nel settore pubblico dei Fondi pensione
utilizzando il Tfs (Trattamento di fine servizio) dei lavoratori.
Sempre in Finanziaria 2007 sono stati aumentati dello 0.30%
i contributi previdenziali a carico dei lavoratori dipendenti, mentre Cgil,
Cisl e Uil hanno firmato con governo e padronato il famigerato Memorandum
d'intesa che dovrebbe portare ad un ulteriore aumento dell'età pensionabile e
alla revisione dei coefficienti di rendimento pensionistico (un ulteriore
taglio del 6-8%), giustificato con l'aumento dell'età media della popolazione.
Non c'è dubbio che tutta l'operazione di smantellamento
delle pensioni pubbliche è stata finalizzata al lancio dei Fondi pensione, un
affare di 19-21 miliardi di euro annui.
I Fondi pensione sono di due tipi: Fondi aperti gestiti da
finanziarie, banche e assicurazioni e Fondi chiusi, negoziali di categoria o
aziendali, gestiti dalla burocrazia sindacale e Associazioni padronali.
In questi giorni le burocrazie sindacali stanno
propagandando i Fondi chiusi, dicendo che sono più sicuri e democratici di
quelli aperti, in più utilizzano il ricatto verso i lavoratori su una
prospettiva di una pensione pubblica
ormai da fame e pertanto da integrare. Vediamo con ordine: i Fondi pensione
sono degli investimenti finanziari e come tutti gli investimenti finanziari
sono soggetti a possibili perdite come dimostrano i casi recenti di Enron e, in
Italia, della Comit.
Ed ecco il burocrate sindacale di turno raccontarci che gli
investimenti non saranno fatti in azioni ma bensì in obbligazioni, me queste
vengono emesse da aziende indebitate che hanno difficoltà a reperire crediti
dalle banche, come dimostrano i casi Cirio e Parmalat.
Una volta che il lavoratore ha destinato, consenziente o
meno, il proprio Tfr ai Fondi pensione non potrà facilmente uscirne proprio per
la scarsa flessibilità in uscita dai fondi: in caso di licenziamento ci
vorranno anni per recuperare il Tfr versato. Il rendimento dei Fondi, a
differenza del Tfr versato in azienda o presso l'Inps che è stabilito per
legge, è incerto, soggetto a perdite legate all'andamento di mercato, crisi e
crolli finanziari compresi.
Per i lavoratori precari è una doppia fregatura: la pensione
pubblica a contribuzione si riduce drasticamente fino ad annullarsi, la
pensione integrativa è una pura astrazione.
Infine nelle aziende con meno di 50 dipendenti, in caso di
licenziamenti, siccome il padrone non vuole perdere il Tfr del lavoratore, ha
un maggiore interesse a licenziare proprio il lavoratore che aderisce ai Fondi
pensione.
I Fondi chiusi, di categoria
e aziendali, si sono costituiti a seguito di accordi sindacali fin dal
1997 sia nel settore privato, come il Cometa dei metalmeccanici, sia nel
pubblico, come Espero nella scuola. Ne esistono circa 42 tra aziendali e di
categoria, ma proprio per la loro natura non hanno trovato vasti consensi tra i
lavoratori, e questo spiega tutti gli interventi legislativi sostenuti dagli
interessi convergenti di banche, finanziarie e burocrazie sindacali che
siederanno assieme nei Consigli di gestione dei Fondi.
Il contratto dei metalmeccanici
Nel
mese di giugno 2007 scade il contratto nazionale dei metalmeccanici, le
segreterie di Fiom, Fim e Uilm, dopo aver aperto il confronto al loro interno,
sono pervenuti ad una piattaforma unitaria il 12 aprile, quindi la proposta
verrà sottoposta all'assemblea dei 500 il 17 maggio, poi al voto dei
lavoratori. Non c'e dubbio che questo rinnovo contrattuale alla luce della
grande concertazione apertasi il 22 marzo acquista un evidente significato
politico.
Il
direttore generale di Federmeccanica memore delle dure lotte dell'ultima
tornata contrattuale, quando i lavoratori hanno dovuto ricorrere ai blocchi
stradali e ferroviari per ottenere meno di quanto necessario per un salario
dignitoso (appena 100 € al 5° livello, l'allungamento del contratto di sei mesi
e con l'art. 5 del CCNL l'orario plurisettimanale, un accordo non a caso
respinto dal 16% dei lavoratori e dal doppio di quanti avevano respinto la
piattaforma prima dell'inizio della trattativa), tenta di intimidire i delegati
e i lavoratori utilizzando contro le lotte le ultime vicende giudiziarie che
vedevano coinvolti un numero infimo di delegati ed iscritti Fiom nell'inchiesta
sul terrorismo, mettendo assieme strumentalmente l'avventurismo, privo di
qualsiasi raziocinio, di pochi con le lotte di massa. Una vicenda peraltro
utilizzata da ampia parte della stessa burocrazia sindacale della Cgil contro la Fiom, la sinistra sindacale,
i delegati e i lavoratori più combattivi.
Le
proposte di Fiom (130 € di aumento più 20 € di mancato premio di risultato,
cioè di quei lavoratori che non hanno un contratto integrativo), di Fim (100 €)
e di Uilm (122 € più 30 € per mancato premio di risultato) partivano da una
richiesta salariale assolutamente insufficiente. L'appello di diversi delegati e lavoratori
metalmeccanici, pubblicato sul Il Manifesto il 27 marzo, assieme
all'evidente malessere operaio, non avrà conseguenze sulla richiesta salariale
unitaria: 147 € (di cui 30 € per chi non
ha la contrattazione integrativa) riparametrati, l'aumento medio è di 117 €
mensili per i lavoratori al 5° livello. La proposta non solo è inferiore alla
proposta iniziale di Fiom e Uilm, peraltro insufficiente rispetto al necessario
recupero del potere d'acquisto dei salari, ma assolutamente lontana da un vero
recupero salariale in linea con la media europea.
Sul
mercato del lavoro la piattaforma unitaria accoglie la richiesta Fiom di
limitare il lavoro precario fino ad una quota massima del 15%, vengono
introdotte inoltre delle priorità nell'assunzione di quei lavoratori con
precedenti contratti precari. Mentre si apre in tema di annualizzazione
dell'orario di lavoro (DDL 66/2003) e di applicazione dell'orario
plurisettimanale (art. 5 del CCNL), pur richiamando il ruolo delle Rsu nella
contrattazione. Anche in tema di mercato del lavoro, come indicato dall'appello
citato, riteniamo siano da respingere ulteriori flessibilità, battendosi per
l'abrogazione delle norme flessibilizzanti e precarizzanti.
Tra
l'altro, lo stato dei salari nel comparto manifatturiero e dei servizi
denunciato dall'Eurispes, l'aumento della produzione aziendale (4,6% in un
anno) e la riduzione del costo del lavoro per unità di prodotto (dal 2,9% al
1,3 % in un anno) dimostrano che il padronato macina profitti. In questa
situazione la piattaforma unitaria presentata su cui andare a trattare con
Federmeccanica è nel complesso perdente. E' assolutamente necessaria una
proposta più avanzata in termini di salario e più rigida in termini di
condizioni di lavoro.
L'accordo sul biennio economico degli statali
Il 6 aprile è stato sottoscritto, da Cgil, Cisl e Uil, e per la parte economica anche da RdB Cub, e il governo, l'accordo quadro sul rinnovo del biennio economico 2006-2007, scaduto nel gennaio 2005, e l'avvio di quanto previsto nel memorandum sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni (tranne scuola e università). Sul piano economico l'aumento mensile medio lordo avrebbe dovuto essere di circa 101 €, una cifra puramente indicativa subito rivista al ribasso (92 €) dalla direttiva che il governo ha consegnato all'Aran. Quel che appare certo è che il 2006 verrà coperto solo dalla indennità di vacanza contrattuale (una media di 10-15 € al mese) cancellando un anno di adeguamenti contrattuali e facendo scattare i rinnovi non più ogni due anni ma almeno ogni tre anni, a questo si aggiunge la sospensione della contrattazione integrativa aziendale. Sul terreno normativo dovrebbe iniziare la riorganizzazione delle pubblica amministrazione, come previsto nel memorandum, introducendo criteri quali la meritocrazia, la mobilità, l'incentivazione all'uscita per gli esuberi, la valutazione di qualità. Il governo, nelle parole di Enrico Letta, prima inneggia alla concertazione poi acquisita la firma dà un sonoro schiaffo ai burocrati sindacali che avendo dichiarato, ma non effettivamente preparato uno sciopero per il 16 aprile, sono stati costretti a rinviarlo per metà maggio. Il quadro che emerge è un'assoluta incapacità negoziale dell'attuale direzione sindacale e sul piano contrattuale un insufficiente aumento salariale associato ad una drastica riduzione delle garanzie e delle tutele dei pubblici dipendenti, mentre aumenteranno i poteri di ricatto dei quadri dirigenziali degli apparati amministrativi attraverso la pagella periodica dei servizi e delle sanzioni.
- La grande concertazione
Il 22 marzo 2007 il governo ha dato avvio al tavolo di
concertazione - pensioni, mercato del lavoro, pubblico impiego - con le
associazioni padronali e i sindacati.
Sono quindi seguiti i tavoli tematici: il 28 marzo su
pubblica amministrazione, il 29 marzo su produttività e competitività, sistema
delle tutele, mercato del lavoro e previdenza.
Il vicepresidente di Confindustria, Alberto Bombassei,
appena tre giorni prima dell'inizio
ufficiale del tavolo di concertazione è ritornato a chiedere, dopo la sconfitta
subita nel 2002, l'abrogazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori,
la flessibilità in uscita garantita dalla libertà padronale di licenziare. Con
tutta evidenza si tratta di un'entrata a gamba tesa nella trattativa, forte del
sostegno sia del governo che della Commissione dell'Unione Europea che nel libro
verde sul lavoro chiede la totale disarticolazione dei diritti dei lavoratori.
Nelle intenzioni di Confindustria c'è il proposito di
intervenire sui modelli contrattuali, sul salario, sugli orari di lavoro, sui
diritti e sulle tutele dei lavoratori. L'obiettivo dichiarato è quello di
svuotare di contenuti il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro a favore
della contrattazione aziendale, proponendo a questo livello la detassazione
degli aumenti salariali, in modo da introdurre la diversificazione salariale
tra le aziende e i territori (le gabbie salariali), riducendo la parte fissa e
garantita del salario a favore della parte variabile. Sugli orari l'obiettivo
padronale è quello di svuotare di ogni potere negoziale le Rsu aziendali e per
questa via assumere il totale controllo sull'orario.
In tema di flessibilità in entrata il direttore generale di
Confindustria, Maurizio Beretta, ha ribadito la totale contrarietà padronale a
rinunciare al pacchetto Treu e alla Legge 30, dicendosi disponibile a discutere
la proposta del ministro del Lavoro, Cesare Damiano, sugli ammortizzatori
sociali.
Il governo partecipa al tavolo con l'obiettivo di continuare
a tagliare la previdenza pubblica e le risorse destinate alla pubblica
amministrazione. Il presidente del Consiglio, Romano Prodi, intervenendo
all'apertura del tavolo ha voluto ribadire la necessita di assicurare, in tema
di previdenza, l'equilibrio finanziario dello Stato attraverso "una periodica
revisione dei coefficienti di trasformazione e un innalzamento graduale
dell'età pensionabile" portando ad esempio le misure attuate dai governi
europei. Attraverso la revisione dei
coefficienti, le pensioni subiranno una decurtazione del 6-8 %, mentre lo
scalone di Maroni sarà sostituito dalla scala tutta in salita di Damiano. Non
c'è dubbio che dopo l'avvio dei Fondi pensioni, attraverso la rapina del Tfr,
il governo, gli imprenditori e le burocrazie sindacali considerano, per
evidenti interessi materiali, ormai residuale la copertura pensionistica
pubblica.
Le burocrazie sindacali di Cgil, Cisl e Uil partecipano al
tavolo sulla base di un "documento unitario su welfare, sviluppo e pubblico
impiego", presentato il 6 febbraio a Roma, privo di qualsiasi piattaforma
sindacale in grado di difendere gli interessi immediati dei lavoratori. Anzi,
il documento chiede al governo di affrontare i problemi di produttività ed
efficienza del sistema economico capitalistico e della pubblica
amministrazione, di estendere la previdenza integrativa ai pubblici dipendenti,
scippando il loro Tfs dopo aver scippato il Tfr dei lavoratori del settore
privato. Per il resto si tratta di un documento di estrema vaghezza aperto a
qualsiasi compromesso. Non a caso le prime dichiarazioni degli esponenti più
rappresentativi di Cgil, Cisl e Uil accolgono nella sostanza le richieste di
governo e associazioni imprenditoriali: dalla disponibilità all'aumento
dell'età pensionabile alla accettazione di detassare gli aumenti salariali in
ambito aziendale.
- Cresce il malessere operaio e popolare
Tanta disponibilità deve comunque fare i conti con il
crescente malessere dei lavoratori: il contratto nazionale dei lavoratori
pubblici, scaduto il 31 dicembre 2005, dopo l'accordo quadro firmato il 6
aprile è insufficiente sul piano del recupero salariale e soprattutto apre alla
ristrutturazione liberista della pubblica amministrazione, nel contempo oltre
400 mila lavoratori del settore sono e con molta probabilità rimarranno in
larga parte precari; tra i lavoratori del settore privato l'insoddisfazione è
ancora più profonda dopo lo scippo del Tfr e l'avvio truffaldino dei Fondi
pensione, come dimostrano i fischi indirizzati ai segretari generali di Cgil,
Cisl e Uil e al maggior rappresentante della sinistra di governo, Fausto
Bertinotti, alla Fiat Mirafiori. I delegati e i lavoratori metalmeccanici
esprimono "perplessità e preoccupazione" per una piattaforma salariale,
relativa al rinnovo del contratto nazionale di categoria, assolutamente
insufficiente ad assicurare un aumento salariale dignitoso a tutti i lavoratori,
mentre le aziende ricevono miliardi di euro dallo Stato e macinano profitti. Nelle ferrovie si
annunciano aumenti delle tariffe e nuovi esuberi, almeno 10 mila, dopo che
l'azienda in quindici anni è passata da 220 mila a 95 mila addetti. Mentre i
lavoratori di Alitalia e Telecom temono per il loro futuro occupazionale, il
governa annuncia l'intenzione di mettere sul mercato la Fincantieri. L'ultimo
pacchetto Bersani apre all'ingresso dei capitali privati nella scuola, già
ampiamente presenti nella sanità, mentre il governo intende, attraverso il
Disegno di legge Lanzillotta, privatizzare i servizi pubblici essenziali e
locali.
A fronte di questo stato di fatto vediamo i lavoratori del
settore pubblico andare allo sciopero in ordine sparso e frammentato, il 30
marzo lo sciopero indetto dalla RdB Cub, il 16 aprile quello annunciato da
Cgil, Cisl e Uil (e già sospeso in attesa... della valutazione dei contenuti
delle direttive e dell'atto di indirizzo) e l'11 maggio quello della scuola
della Confederazione Cobas: è necessario unificare e concentrare la lotta.
Le fascine
si accumulano: dalla finanziaria "lacrime e sangue" al finanziamento della
guerra imperialista, dalle liberalizzazioni di Bersani e Lanzillotta ai
miliardi di euro agli industriali, dalle leggi precarizzanti Treu e Biagi alle
norme contro gli immigrati Turco/Napoletano e Bossi/Fini riproposte negli assi centrali del decreto
Ferrero/Amato, dal
contratto dei pubblici dipendenti a quello dei metalmeccanici, dallo
smantellamento delle pensioni pubbliche al furto del Tfr/Tfs.
Altro che
grande concertazione! È urgente e necessario la costruzione di un fronte unico
di lotta tra le forze sociali e politiche del movimento operaio per aprire una
vertenza unificante sostenuta dallo sciopero generale contro il governo e il
padronato.
- La necessità di una piattaforma sindacale di fase, di una vertenza unificante
La presenza di una sinistra sindacale di classe in Cgil è
urgente e necessaria non solo per contrastare la nuova concertazione che
avanza, peggiore di quella apertasi nel '92-'93, ma proprio per opporre una
reale resistenza alla funzione che il governo Prodi assegna alla burocrazia
sindacale -di controllo e pacificazione della classe operaia- a fronte
dell'attacco ai salari, alle pensioni, ai diritti e alle tutele, a quanto resta
dello stato sociale e dei servizi.
Si tratta allora di costruire un fronte unico di lotta di
tutte le forze del movimento operaio, politiche e sindacali, per resistere
all'attacco in atto da parte del governo e del padronato, un attacco reso mille
volte più insidioso dalla rimozione dell'opposizione, garantita sul terreno
sindacale dalla Cgil di Epifani e sul terreno politico dalla sinistra di
governo.
Questa battaglia richiede la massima unità, a partire dai
luoghi di lavoro, tra le sinistre sindacali ovunque collocate, in Cgil, RdB
Cub, nel SdL, nella Confederazione Cobas, nello Slai Cobas, superando ogni
settarismo di organizzazione e realizzando la massima unità dei lavoratori.
La sinistra sindacale in Cgil ha il compito principale di
lanciare una proposta rivendicativa di fase.
La battaglia in difesa del sistema pensionistico pubblico e
del Tfr/Tfs è senz'altro prioritaria e un terreno di collaborazione e
confronto. Una lotta che richiede la costruzione nei territori e nei luoghi di
lavoro di Comitati unitari che unifichino informazione, organizzazione e lotta
contro la truffa messa in atto da governo, banche, aziende e burocrati
sindacali.
Questa battaglia deve coinvolgere i lavoratori precari, i
primi ad essere colpiti dallo smantellamento della previdenza pubblica e dalla
rapina del Tfr, avanzando la richiesta dell'abrogazione delle norme
precarizzanti, sia il pacchetto Treu e la Legge 30, che quelle che colpiscono
specificatamente i lavoratori immigrati, non solo la Bossi/Fini, erede della
Turco/Napoletano, ma anche la proposta di decreto Ferrero/Amato che ne
riproduce gli assi centrali. Ecco perchè è necessario costruire i "Comitati per
la difesa della pensione pubblica, del Tfr e contro la precarietà".
Proprio il rapporto Eurispes mette in evidenza tutta la
centralità della difesa del potere d'acquisto dei salari attraverso la
rivendicazione di forti aumenti salariali in linea quantomeno con la media
europea. Inoltre la battaglia per la rivendicazione della Scala Mobile deve
essere inserita, per essere credibile, nelle piattaforme sindacali e nei
movimenti di lotta di tutte le categorie del lavoro salariato. Accanto alla
difesa del salario è necessario rilanciare la riduzione dell'orario di lavoro a
parità di salario, a partire dalle 35 ore settimanali, senza flessibilità e
annualizzazione, con drastica riduzione dello straordinario.
Non meno importante è l'impegno sul terreno democratico:
le rappresentanze nei luoghi di lavoro
devono essere elette proporzionalmente ai voti ricevuti, senza quote
garantite; l'uso dello strumento
referendario come mezzo per esprimere il giudizio dei lavoratori sulle
piattaforme e sugli accordi deve essere reso obbligatorio in tutte le
categorie.
La piattaforma sindacale di fase deve avere come obiettivo
una vertenza unificante dei lavoratori e dei disoccupati, attorno a un
programma che includa obiettivi immediati e transitori: rilancio delle lotte
per un forte aumento salariale uguale per tutti; per la tutela della salute nei
luoghi di lavoro, contro gli infortuni e le malattie professionali; abolizione
delle leggi precarizzanti (pacchetto Treu e legge Biagi) e l'assunzione a tempo
pieno e indeterminato dei giovani lavoratori precari; salario dignitoso ai
disoccupati; aumento delle pensioni minime di almeno 800 € mensili, tale da
garantire una vita dignitosa ai pensionati; abolizione della legge 30 e delle
altre norme di flessibilità; abolizione delle leggi contro gli immigrati
(Turco/Napolitano e Bossi/Fini) e lotta contro la proposta di decreto
Ferrero/Amato che ne riproduce gli assi centrali; abolizione delle leggi
(legge 12.6.1990 n. 146, modificata dalla legge 11.4.2000 n. 83) che
regolamentano e limitano il diritto di sciopero; estensione a tutti i
lavoratori dell'art.18 e dei diritti sindacali; la difesa del Tfr e delle
pensioni pubbliche, della sanità e della scuola pubblica, contro il pacchetto
Bersani che prevede l'ingresso di capitali privati nella gestione della scuola
pubblica; apertura sotto controllo operaio dei libri contabili delle aziende
che licenziano; nazionalizzazione, senza indennizzo e sotto controllo operaio,
delle fabbriche che licenziano e chiudono; nazionalizzazione, sotto controllo
operaio e senza indennizzo, delle banche, vere depositarie del potere economico
nel paese; sviluppo del movimento per il
ritiro immediato delle truppe d'occupazione europee dall'Iraq, Afganistan,
Libano, Balcani e da tutti i paesi contro ogni imperialismo. E' assolutamente
necessario legare ogni rivendicazione immediata dei lavoratori e dei giovani
alla necessità di superare questo sistema basato sullo sfruttamento. In
conclusione è necessario organizzare, a partire dalle suddette parziali
rivendicazioni immediate e transitorie, la risposta operaia e socialista alla
barbarie capitalistica.
- La riconferma di una proposta organizzativa
Per garantire questa funzione di sinistra sindacale di
classe e presidio democratico nella Cgil, la Rete 28 aprile deve darsi una struttura
democratica proletaria. Una strutturazione confederale, dal livello territoriale
(Camere del Lavoro, provinciali, regionali) al livello nazionale, che preveda
l'elezione di coordinamenti a tutti i livelli e in tutte le categorie,
rispettando il pluralismo politico sindacale espresso nell'area sulla base di
piattaforme. Devono inoltre essere previsti momenti certi di verifica degli
organismi e discussione collettiva a tutti i livelli, garantendo anche ai
lavoratori non presenti in struttura, che spesso non hanno i rimborsi spese, la
possibilità di partecipare al dibattito. Il diritto di ogni tendenza dell'area
a prevedere momenti di discussione al proprio interno deve essere
salvaguardato.
La modalità di costruzione su basi consensuali e
lideristiche dell'area deve essere pertanto superata. Proprio la complessità
della situazione politica e sociale richiede una vera discussione nell'area,
tale da coinvolgere non solo i compagni che ricoprono incarichi sindacali o che
sono presenti nelle strutture, ma tutto il corpo militante dell'area nel
rispetto del pluralismo interno. Tutte le posizioni e proposte devono avere
legittimità di essere conosciute, discusse e votate. Gli strumenti di
comunicazione della Rete 28 aprile (sito web, newsletter, foglio) devono essere
rese accessibili all'insieme del corpo militante.
Gli organismi di coordinamento della sinistra sindacale in
Cgil dovranno pertanto rappresentare l'insieme del corpo dell'area ed essere
sottoposti a verifica. Solo attraverso un reale percorso democratico possiamo
evitare o circoscrivere le sempre possibili derive burocratiche. Di una
sinistra sindacale di classe i lavoratori di questo paese hanno urgente
bisogno, proprio per questo è necessario iniziare la discussione e la battaglia
per la presentazione di un documento alternativo al prossimo congresso della
Cgil.
PER ADERIRE AL DOCUMENTO CHIAMARE:
Francesco Doro del Direttivo regionale del Veneto della Fiom Cgil