18 marzo:
sciopero generale del sindacalismo di base
In migliaia in piazza per dire
In migliaia in piazza per dire
no a guerre,
razzismo e
sfruttamento
di Fabiana
Stefanoni

Migliaia di lavoratori e lavoratrici,
immigrati e immigrate, giovani studenti, disoccupati, comitati di lotta per la
casa sono scesi in piazza venerdì 18 marzo in occasione dello sciopero generale
proclamato da alcune sigle del sindacalismo conflittuale (Cub, Si.Cobas,
Usi-ait, Sgb, settori dello Slai Cobas, con l'adesione nei trasporti anche di
Usb e Filt-Cgil), con il sostegno in Italia del Coordinamento No Austerity e de
Il Sindacato è un'altra cosa (sinistra Cgil) e, sul piano internazionale, della
"Rete sindacale internazionale di solidarietà e di lotta".
Uno sciopero proclamato per gridare un forte
no alla guerra, alle politiche di tagli del governo, al razzismo.
Combattivi e
partecipati i cortei
A Milano migliaia di manifestanti hanno
attraversato le strade della città, con due partecipati e combattivi cortei -
partiti rispettivamente da Largo Cairoli e da piazzale Lodi - che si sono
ricongiunti a Missori per confluire uniti in piazza San Babila.
Tante le categorie di lavoratori presenti in
piazza: dai facchini immigrati alle lavoratrici della scuola, dagli operai della
Pirelli ai metalmeccanici, ai lavoratori della Sanità. Presenti anche tanti
comitati di lotta: da quelli a difesa del diritto all'abitare ai coordinamenti
di lavoratori della scuola (come il coordinamento 3 ottobre), dai comitati di
disoccupati ai coordinamenti di immigrati. In prima fila anche la comunità kurda
di Milano, che, col sostegno degli altri manifestanti, ha dato vita a una vivace
protesta davanti al consolato turco.
Al corteo del Si.Cobas i facchini sono
arrivati in piazza dopo aver picchettato vari stabilimenti del milanese e del
bergamasco. Alla Sogetras di Peschiera Borromeo uno scioperante è stato
investito da un krumiro e ferito: a lui e agli altri facchini in lotta va la
nostra solidarietà.
Altri partecipati cortei si sono svolti a Firenze, Napoli e Bologna.
Altri partecipati cortei si sono svolti a Firenze, Napoli e Bologna.
A Firenze Cub e Usi-ait hanno promosso un
corteo che è partito da piazza Dalmazia per arrivare alla stazione di Santa
Maria Novella, con centinaia di presenze in piazza: lavoratori e lavoratrici del
pubblico impiego, dei trasporti, immigrati e immigrate, collettivi studenteschi
e comitati di lotta. Anche a Napoli in centinaia hanno attraversato la città,
scandendo slogan contro le politiche di guerra e di austerity e di governo:
dipendenti della sanità, lavoratrici delle mense scolastiche, operai e operaie
della Fiat-Fca di Cassino. A Bologna centinaia di facchini immigrati,
provenienti anche da Piacenza, Fidenza e altre città dell'Emilia, hanno animato
un combattivo corteo, dopo aver presidiato con picchetti, dalle prime ore
dell'alba, l'interporto di Bologna e la Bormioli di Fidenza (scontrandosi con un
ampio dispiegamento di polizia funzionale a reprimere lo sciopero).
Tante altre iniziative e cortei si sono
svolti in altre città d'Italia: da Torino a Reggio Emilia, da Cesena a Modena,
da Parma a Caltanissetta.
L'attacco di
Renzi allo sciopero (e al diritto di sciopero)
Nonostante lo scandaloso occultamento
mediatico da parte della stampa e delle tv nazionali, lo sciopero ha avuto alte
adesioni in numerosi settori: sono stati bloccati decine di magazzini
(logistica) in tutto il nord Italia, la metropolitana di Milano e i trasporti
locali nelle varie città funzionavano a singhiozzo, numerosi treni sono stati
soppressi.
Il premier Renzi, in conferenza stampa, ha
cercato vigliaccamente di ridicolizzare lo sciopero e, soprattutto, ha fatto
appello a Cgil, Cisl, Uil e Confindustria a rivedere al più presto le regole
sulla rappresentanza "altrimenti ci pensiamo noi". Non bastano quindi, secondo
il premier, le già pesanti restrizioni al diritto di sciopero esistenti in
Italia: secondo Renzi bisogna colpire ancora e più duramente.
L'Italia è uno dei pochi Paesi al mondo dove, nel pubblico impiego e nei cosiddetti servizi essenziali (sanità, trasporti, cooperative sociali e del settore educativo, persino - abbiamo scoperto di recente - la distribuzione del latte!) non esiste il diritto di sciopero prolungato, a causa di una legge antidemocratica (la legge 146 del 1990, sostenuta da Cgil, Cisl e Uil) che obbliga le organizzazioni sindacali a proclamare lo sciopero con due settimane di anticipo limitando l'astensione dal lavoro a massimo 24 ore... per poi dover attendere altre due settimane prima di convocare un altro sciopero. Oltre a questo, ci sono fasce orarie in cui i servizi devono essere garantiti e le precettazioni sono all'ordine del giorno. Si tratta di misure che mirano a cancellare con un colpo di spugna la possibilità di sciopero prolungato nelle ferrovie e nei trasporti locali: uno dei settori tradizionalmente più combattivi e che i governi hanno voluto colpire per imporre un piano di privatizzazioni selvagge.
Non solo: nel gennaio 2014 è stato siglato un accordo tra organizzazioni sindacali concertative e Confindustria (Testo Unico sulla Rappresentanza, noto anche come "Accordo della Vergogna") che trasforma i sindacati firmatari in agenzie di servizio, vietando lo sciopero (e l'azione di contrasto in generale, anche con azioni legali) contro accordi approvati a maggioranza dalle sigle presenti in azienda e che, addirittura, proibisce lo sciopero durante le trattative! In cambio lascia alle organizzazioni firmatarie una serie di vantaggi economici, come la possibilità di trattenuta della quota sindacale sulle buste paga dei lavoratori e il diritto a eleggere delegati (rsu e rsa). Diritti di cui invece vengono privati i sindacati non firmatari, che conservano però il diritto di sciopero. La firma del Testo unico comporta una trasformazione a 360° del sindacato, che Cgil, Cisl e Uil intendono portare a compimento proponendo la partecipazione dei loro apparati burocratici direttamente nei consigli di amministrazione delle imprese. E' molto grave che anche i dirigenti di alcuni sindacati conflittuali, come Cobas Lavoro Privato e Usb abbiano deciso di sottoscrivere questo accordo scellerato, accettando così, in cambio di piccoli privilegi per il loro apparato, di abbandonare il conflitto (la loro assenza in piazza il 18 marzo è il primo risultato di questa svolta).
L'appello di Renzi a trovare presto delle regole condivise sulla rappresentanza ha un significato chiaro: il governo e i padroni vogliono al più presto una legge per togliere lo status di sindacati (e i conseguenti diritti di sciopero) a tutte le organizzazioni che non hanno accettato di piegare la testa.
L'Italia è uno dei pochi Paesi al mondo dove, nel pubblico impiego e nei cosiddetti servizi essenziali (sanità, trasporti, cooperative sociali e del settore educativo, persino - abbiamo scoperto di recente - la distribuzione del latte!) non esiste il diritto di sciopero prolungato, a causa di una legge antidemocratica (la legge 146 del 1990, sostenuta da Cgil, Cisl e Uil) che obbliga le organizzazioni sindacali a proclamare lo sciopero con due settimane di anticipo limitando l'astensione dal lavoro a massimo 24 ore... per poi dover attendere altre due settimane prima di convocare un altro sciopero. Oltre a questo, ci sono fasce orarie in cui i servizi devono essere garantiti e le precettazioni sono all'ordine del giorno. Si tratta di misure che mirano a cancellare con un colpo di spugna la possibilità di sciopero prolungato nelle ferrovie e nei trasporti locali: uno dei settori tradizionalmente più combattivi e che i governi hanno voluto colpire per imporre un piano di privatizzazioni selvagge.
Non solo: nel gennaio 2014 è stato siglato un accordo tra organizzazioni sindacali concertative e Confindustria (Testo Unico sulla Rappresentanza, noto anche come "Accordo della Vergogna") che trasforma i sindacati firmatari in agenzie di servizio, vietando lo sciopero (e l'azione di contrasto in generale, anche con azioni legali) contro accordi approvati a maggioranza dalle sigle presenti in azienda e che, addirittura, proibisce lo sciopero durante le trattative! In cambio lascia alle organizzazioni firmatarie una serie di vantaggi economici, come la possibilità di trattenuta della quota sindacale sulle buste paga dei lavoratori e il diritto a eleggere delegati (rsu e rsa). Diritti di cui invece vengono privati i sindacati non firmatari, che conservano però il diritto di sciopero. La firma del Testo unico comporta una trasformazione a 360° del sindacato, che Cgil, Cisl e Uil intendono portare a compimento proponendo la partecipazione dei loro apparati burocratici direttamente nei consigli di amministrazione delle imprese. E' molto grave che anche i dirigenti di alcuni sindacati conflittuali, come Cobas Lavoro Privato e Usb abbiano deciso di sottoscrivere questo accordo scellerato, accettando così, in cambio di piccoli privilegi per il loro apparato, di abbandonare il conflitto (la loro assenza in piazza il 18 marzo è il primo risultato di questa svolta).
L'appello di Renzi a trovare presto delle regole condivise sulla rappresentanza ha un significato chiaro: il governo e i padroni vogliono al più presto una legge per togliere lo status di sindacati (e i conseguenti diritti di sciopero) a tutte le organizzazioni che non hanno accettato di piegare la testa.
La lotta
continua: il Pdac al fianco dei lavoratori in sciopero
Quello che i padroni e il governo non hanno
capito è che qualsiasi tentativo di distruggere gli strumenti di lotta dei
lavoratori potrà forse rallentare e ostacolare il conflitto di classe, ma non
fermarlo. La crisi economica continua e le misure di "austerity" del governo
trascinano nella miseria settori sempre più ampi della classe lavoratrice. E'
per questo che le avanguardie operaie e di lotta che sono scese in piazza il 18
marzo rappresentano un punto di partenza importante per rilanciare la
mobilitazione e costruire un ampio e unitario fronte di lotta, di resistenza ma
anche, in prospettiva, offensivo. Per farlo, però, è necessario che la volontà
unitaria e di lotta della base di tutti i sindacati - sia quelli che erano in
piazza il 18 marzo sia quelli che sono rimasti a guardare - prevalgano sulle
tendenze settarie e autoreferenziali (in alcuni casi anche autoproclamatorie)
dei loro vertici.
Il Pdac ha deciso di sostenere attivamente lo sciopero del 18 marzo, partecipando all'organizzazione nelle varie città dove siamo presenti e partecipando alle principali manifestazioni, in particolare a Milano (dove si è svolto il corteo più consistente). Abbiamo dovuto constatare che invece la quasi totalità degli altri partiti della sinistra (che noi defiiamo riformista o quella rivoluzionaria solo a parole) ha preferito disertare le piazze dello sciopero, o parteciparvi con pochissime unità: dirsi a parole contro il governo e contro la guerra, ma limitarsi a qualche innocua azione simbolica senza aderire all'unica giornata di sciopero generale degli ultimi due anni, significa confondere le parole con i fatti. Mentre sappiamo che quello che ciò che conta nella lotta di classe sono i fatti, non le parole.
Alternativa Comunista era in piazza anche per dire che non ci si deve fermare qui: occorre partire dalla giornata del 18 marzo per rilanciare subito un ampio fronte di classe contro gli attacchi del governo e dei padroni, contro le politiche di tagli e di guerra, contro gli attacchi al diritto di sciopero e di rappresentanza sindacale. Le parole di Renzi lasciano chiaramente intendere che il governo e i padroni stanno preparando una nuova offensiva: l'unità di classe e la continuità nella lotta sono mezzi imprescindibili per respingerla.
Il Pdac ha deciso di sostenere attivamente lo sciopero del 18 marzo, partecipando all'organizzazione nelle varie città dove siamo presenti e partecipando alle principali manifestazioni, in particolare a Milano (dove si è svolto il corteo più consistente). Abbiamo dovuto constatare che invece la quasi totalità degli altri partiti della sinistra (che noi defiiamo riformista o quella rivoluzionaria solo a parole) ha preferito disertare le piazze dello sciopero, o parteciparvi con pochissime unità: dirsi a parole contro il governo e contro la guerra, ma limitarsi a qualche innocua azione simbolica senza aderire all'unica giornata di sciopero generale degli ultimi due anni, significa confondere le parole con i fatti. Mentre sappiamo che quello che ciò che conta nella lotta di classe sono i fatti, non le parole.
Alternativa Comunista era in piazza anche per dire che non ci si deve fermare qui: occorre partire dalla giornata del 18 marzo per rilanciare subito un ampio fronte di classe contro gli attacchi del governo e dei padroni, contro le politiche di tagli e di guerra, contro gli attacchi al diritto di sciopero e di rappresentanza sindacale. Le parole di Renzi lasciano chiaramente intendere che il governo e i padroni stanno preparando una nuova offensiva: l'unità di classe e la continuità nella lotta sono mezzi imprescindibili per respingerla.
