La Cgil verso il suo XVII° congresso
Uno scontro tra burocrati
che non serve alla classe operaia
di Massimiliano Dancelli e Alberto Madoglio

Da alcuni mesi si sta celebrando, con le varie assemblee di base nei luoghi di lavoro già svolte, il congresso della Cgil, che vedrà il suo culmine a Bari dal 22 al 25 gennaio del prossimo anno, con l’elezione del nuovo segretario generale che andrà a sostituire Susanna Camusso giunta al termine statutario del proprio mandato.
I due documenti congressuali
Come lo scorso congresso, i documenti congressuali su cui sono stati chiamati ad esprimersi gli iscritti erano due. Quello sostenuto dalla grandissima maggioranza dell’apparato a firma della segretaria uscente Susanna Camusso, «Il lavoro è», e quello presentato dall’area minoritaria di opposizione «il sindacato è un’altra cosa» denominato “Riprendiamoci tutto”. Due documenti che, seppur molto simili nell’analisi della situazione economica e lavorativa attuale e del riconoscimento della perdita di diritti da parte dei lavoratori nell’ultima fase, tracciano due strade completamente diverse per quanto riguarda la linea politica che il più grande sindacato italiano (per numero di iscritti e dimensione dell’apparato) dovrà intraprendere nei prossimi quattro anni. Nel documento della maggioranza, si evince una sostanziale continuità con il percorso fin qui seguito, cioè la mancanza totale della volontà di costruire una mobilitazione che possa costringere i padroni e il governo a fare un passo indietro e consentire ai lavoratori di riprendersi quanto gli è stato tolto, in termini di diritti e salario, da quando imperversa la crisi economica. Continuità che appare tanto più ingiustificata stante l’assenza di spazi economici che consentano un ritorno ai tempi della concertazione che, non dimentichiamolo, aveva prodotto risultati nefasti per i lavoratori. Il secondo documento, seppur in maniera piuttosto debole a livello di rivendicazioni, e non nascondendo i limiti democratici che ne hanno caratterizzato la gestazione (si vedano le nostre critiche, espresse in precedenti articoli, ai limiti politico-organizzativi dell’area di sinistra della Cgil), dice chiaramente che l’unica strada possibile per la «riscossa» dei lavoratori, per consentire a questi ultimi di riappropriarsi del maltolto, non può che essere quella della lotta, da qui il nome «Riprendiamoci tutto». Senza entrare nel merito delle scorrettezze e dei brogli utilizzati, è evidente che la maggioranza, disponendo del sostegno totale dell’apparato, ha potuto costruire, senza patemi d’animo, il risultato congressuale che le interessava: il documento «Il lavoro è», infatti, ha ottenuto la stragrande maggioranza dei voti (circa il 98%). Ma dove è stato possibile presentare ai lavoratori le ragioni del documento di minoranza, il messaggio è passato molto chiaramente: settori non insignificanti della classe operaia cominciano a capire che non è più possibile restare spettatori passivi davanti alle azioni della dirigenza di un sindacato che, a parole, proclama la necessità di recuperare diritti, ma nei fatti sottoscrive accordi e rinnovi di contratti nazionali o aziendali che impongono sempre le solite ricette: sacrifici in termini di salario e diritti, come il recente caso dell’Ilva di Taranto ha dimostrato.
Uno scontro tra burocrazie
Il leitmotive che ha accompagnato tutto il percorso congressuale, dalle assemblee di base alle varie assise provinciali e regionali (ora in corso), è stato quello di raccontare agli iscritti che in questa occasione, forse per la prima volta dopo decenni, si sarebbe trattato di un congresso unitario, con la maggioranza schierata compatta e tutte le categorie allineate e ben diritte sull’attenti. Già la presenza in campo di due documenti, seppur con una forbice molto ampia tra maggioranza e minoranza, lascia intuire che non è effettivamente così, se poi aggiungiamo la presenza di due candidati alla successione al trono della Camusso ecco che la spaccatura è servita. È bastato che la stessa Camusso indicasse Maurizio Landini come suo successore a far venir fuori dalle varie componenti dell’apparato tutti i malumori fino a quel momento tenuti, non troppo velatamente, nascosti sotto la bandiera dell’unità. Il direttivo dello scorso 27 ottobre ha di fatto aperto le danze tra i sostenitori dei due candidati: quelli ritenuti più riformisti, legati all’ex segretario dei metalmeccanici e quelli della linea più conservatrice e nei fatti più intimamente legata al Pd, che indicano in Vincenzo Colla (segretario dello Spi, sindacato dei pensionati) il proprio candidato.
Landini o Colla, stessa Cgil
Ovviamente a noi non interessa entrare nel merito di questo «ballo della sedia», in quanto, restiamo convinti, a differenza di chi ancora ripone delle illusioni di cambiamento in caso di vittoria di Landini, che nulla cambierà nella linea politico-sindacale della Cgil, tutto procederà su binari già tracciati, come dimostrano le recenti dichiarazioni dell’ex Fiom sulla possibilità di chiedere a Cisl e Uil di formare un sindacato unico. Forse questa battaglia di apparato, al di là di chi dovesse spuntarla, lascerà strascichi importanti ai piani alti, ma nulla cambierà per la base e per tutti i lavoratori che, si ritroveranno, come prima, a dover pagare il prezzo delle azioni di chi pensa solo al mantenimento dello status quo. L’attenzione rivolta alla nuova composizione della segreteria e alla nuova redistribuzione delle poltrone, da parte della dirigenza, ha come conseguenza immediata la mancata convocazione di una prima mobilitazione contro questo governo che, al di là delle promesse fatte in campagna elettorale, continua con le politiche di chi lo ha preceduto.
Serve costruire una grande mobilitazione